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EVENTI

TITOLO

" IN NOME DELLA COSTITUZIONE DIALOGO GRAMSCI-MATTEOTTI:
Manifesto politico per un nuovo ordine economico e sociale"

 

"su iniziativa dei compagni
FRANCO ASTENGO E FELICE BESOSTRI proponenti del documento Gramsci-Matteotti
"linee di successione" (di seguito a invito)

DATA

28/12/2019

LUOGO

Genova - sede Circolo - vico Sant'Antonio 5/3a

LINEE DI SUCCESSIONE
DIALOGO GRAMSCI MATTEOTTI
IPOTESI DI MANIFESTO POLITICO
di Franco Astengo e Felice Besostri
PER UNA SINISTRA COSTITUZIONALE
Link Video seminario
https://youtu.be/D2uc1CmPvOk
https://fivedabliu.it/2020/01/08/pensieri-per-la-sinistra-che-verra-besostri-e-astengo-ripartono-da-gramsci-e-matteotti/?fbclid=IwAR0_f6PUJSpMsQalUR-KDXk6ydKxWiK7DSKYVfNDUaYP4mkzxbhKzqe694s


LINEE di SUCCESSIONE
Da molto tempo la sinistra italiana ha bisogno di avviare un processo di vera e propria ricostruzione.
Alcuni punti fermi di una tale rifondazione sono a nostro avviso ben individuabili e costituiscono i presupposti fondamentali della possibile ripartenza:
1) L’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento;
2) la necessità di richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche divisioni. Di qui l’impegno ad evitare d’ora in avanti ogni ridicola diatriba sul “aveva ragione questo” o “aveva torto quello”, come ogni pretestuosa richiesta di scuse davanti alla storia (anzi alla Storia) ecc., ecc.;
3) è ora di riavviare, senza anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali, incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale, peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post- materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo, occorre cambiarlo”;
4) Strettamente connesso a quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo pericolosamente in discussione. Per questo la sua rifondazione è oggi più che mai una priorità per una nuova sinistra che voglia essere all’altezza delle sfide del tempo nuovo;
5) della crisi di sistema appena richiamata sono indizio anche alcune pulsioni che pensavamo ormai accantonate, da quelle nazionalistiche, a quelle imperialiste, al ritorno di fantasmi quali il razzismo e il fascismo. Anche tutto questo ovviamente deve essere inquadrato nel contesto del mutamento delle dinamiche internazionali degli ultimi decenni. La fase presenta infatti elementi di emersione di nuovi livelli di confronto tra le grandi potenze e di profonda modificazione del processo di globalizzazione, così come si era presentato alla fine del XX secolo e, successivamente, nella fase della “grande crisi” del 2007. Sotto quest’aspetto il grande tema rimane quello di un rilancio concreto dell’internazionalismo e della prefigurazione di un modello economico e sociale alternativo a quello neoliberista;
6) in questo quadro un “dialogo Gramsci - Matteotti”, che parta dalla loro analisi dell’avvento del fascismo dopo la fine della Grande Guerra, può essere propedeutico ad un rinnovato discorso culturale e politico di sinistra all’indomani della fine della Guerra Fredda (e in presenza dei ricordati fenomeni di crisi della democrazia e di fascismo di ritorno). Non ci interessa costruire una sorta di Pantheon comune fra compagne e compagni che hanno vissuto passate divisioni e che invece oggi sono unicamente impegnati ad affrontarne sfide nuove ed inedite; molto più interessante semmai una ricerca in mare aperto su quelle che definiamo “linee di successione” rispetto ai grandi del pensiero e dell’azione politica di sinistra del ‘900.
Ritornare a Gramsci e Matteotti dunque. E non solo in ragione del grande valore morale e politico rappresentato dalla loro comunanza di martirio, ma soprattutto per alcuni tratti comuni della loro analisi. Che ci paiono tanto proficue a tanta distanza di tempo ed entro tutt’altra temperie politica e sociale.
Come preziosa ci appare la coerenza e l’intransigenza, scevra di settarismo, che sempre sottese la loro vita.
Sicuramente qualcuno potrà trovare fra i due autori testi o passaggi contradditori tra loro: condanne reciproche, interventi svolti sull’onda del contingente, che in apparenza parrebbero smentire la praticabilità di una ricerca attorno appunto a comuni “linee di successione”, ma si tratterebbe di letture superficiali e strumentali. Non ci si rapporta così ai classici. E Gramsci e Matteotti sono certamente dei classici della nostra modernità politica.
Di certo a noi non interessa indulgere in polemiche di corto respiro.
Molto più utile fissare alcune “linee” di lavoro:

1) intanto l’impegno a sviluppare una adeguata “profondità di pensiero politico”. Potrebbe essere utile in questo senso riscoprire la categoria di “pensiero lungo”, a indicare uno sforzo di analisi e proposta che abbia respiro e profondità; premessa indispensabile tanto alla ricerca delle origini classiche di una teoria critica dell’esistente, quanto alla immaginazione e realizzazione di scenari futuri all’insegna della qualità e della civiltà;
2) recuperare poi la capacità di riflessione e intervento sul presente che fu innanzitutto propria di Gramsci e Matteotti. Se il primo infatti è stato tanto l’organizzatore degli operai di Torino, quanto l’acuto interprete dei termini essenziali della “questione meridionale” (all’epoca coincidente in larga parte con la “questione contadina”), Matteotti è stato il riferimento dei braccianti di una delle zone più povere e d’intenso sfruttamento, quella del Delta del Po, ma anche chi indagò e denunciò le trame spesso oscure che intrecciavano già allora finanza e sfruttamento delle fonti energetiche;
3) ma decisiva è anche la questione morale. In Gramsci essa costituiva una sorta di stile di pensiero e di vita, strettamente connessa alla fatica del pensiero, al rigore degli studi e delle analisi indispensabili all’azione politica di una classe operaia che doveva essere classe dirigente nazionale. Ebbene era la stessa serietà e intransigenza che animava Matteotti, quella che sempre ne sostenne l’azione politica e parlamentare; si pensi solo alla capacità d’inchiesta, alla fermezza con cui agitò proprio la “questione morale” in faccia al fascismo rampante, quella stessa che costituì la vera ragione della sua condanna a morte;
4) ora fu proprio una radicale e coerente capacità di analisi a consentire sia a Gramsci sia a Matteotti di antivedere le dinamiche sociali e politiche che avrebbero portato al regime fascista. La cosa è tanto più significativa perché le loro intuizioni si sviluppavano in un clima nel quale, anche in ambiente antifascista, inizialmente ci si illuse che il movimento mussoliniano potesse essere solo un fenomeno passeggero, una “parentesi”, magari addirittura utile per riportare all’ordine liberale, dopo i drammi della guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. Del resto allora addirittura a sinistra vi fu chi non riuscì a cogliere la pericolosità del fenomeno, considerandolo mero elemento degenerativo del capitalismo, cui ovviare attraverso il mero rilancio della dinamica della lotta di classe.
Ebbene le analisi ben altrimenti approfondite di Gramsci e Matteotti, un certo stile intellettuale e morale, tornarono utili non solo dopo il 1945 per la ricostruzione dei grandi partiti della sinistra dell’Italia repubblicana, ma mantengono un’intatta utilità ancora oggi, in un paese in cui la sinistra è letteralmente scomparsa e ci troviamo di fronte a problemi immani ed inediti di rifondazione e ricostruzione.
Per questo ci sembra indispensabile avviare un processo di “confronto costituente”. Gramsci e Matteotti possono contribuire a trovare la giusta direzione di marcia.
Resta per altro per noi chiaro che quella che ci attende non è una operazione di mero valore scientifico, individuare infatti le linee “di frattura” e “di successione” deve servire a meglio preparare il terreno per lo sviluppo del più alto livello possibile di progettualità sistemica.
Se ancora a cavallo tra il XIX il XX secolo definire cosa fosse il socialismo era abbastanza semplice e la divisione era su come raggiungere l’obiettivo di una società senza classi e con i mezzi di produzione in proprietà collettiva, oggi non solo in quel che resta della sinistra ci sono profonde differenze programmatiche, ma proprio il punto del socialismo è tutt'altro che condiviso. Si tratta dell’ennesima riprova della profondità di una crisi che è politica, teorica, morale, di classi dirigenti.
Di qui l’esigenza, che avvertiamo impellente, di un ripensamento dei fondamenti di una teoria e pratica politica che possano dirsi di sinistra, socialiste, riformiste, radicali, intransigenti.
Partire da Gramsci e Matteotti dunque come modo migliore per riprendere il cammino. Per dare sostanza ad un progetto politico ambizioso: che mira a ridare a poveri e sfruttati il loro partito e alla democrazia italiana una soggettività politica indispensabile. Necessaria alla sua qualità, alla sua rappresentatività, alla sua stessa sopravvivenza.
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Documenti preparatori
ALTERNATIVA E RIFORMISMO di Franco Astengo
Documento preparatorio per il seminario per il quale si rinnova l’invito:
sabato 28/12/2019 con inizio ore 10,30 sede del Circolo Capitini Calogero Vico Sant'Antonio 5/3A – GENOVA (traversa Palazzo Reale - Via Balbi) SEMINARIO " IN NOME DELLA COSTITUZIONE DIALOGO GRAMSCI-MATTEOTTI: Manifesto politico per un nuovo ordine economico e sociale" "su iniziativa di FRANCO ASTENGO E FELICE BESOSTRI "per info: e mail: luigi@fasce.it/cell. 3391904417.
 
Mi rivolgo alle compagne e compagni che si presume siano interessati a una fase di ricostruzione della sinistra anche come proposto dal “Dialogo Gramsci /Matteotti” che avvierà il suo percorso con il seminario di Genova di cui all’invito sovraesposto.
  Seguiranno senz’altro altri appuntamenti nei primi mesi del 2020.
Attraverso diversi documenti preparatori abbiamo cercato di porre alcuni temi all’ordine del giorno: in quest’occasione aggiungo uno spunto di riflessione che mi pare degno di essere preso in considerazione.
Prendo spunto da un passaggio tratto dal testo di Umberto Gentiloni Silveri “Storia dell’Italia contemporanea 1943 – 2019” uscito recentemente per “Il Mulino”.
Vi si legge, infatti, a proposito del “primo” centro sinistra, richiamando la celebre “Nota aggiuntiva al Bilancio” di Ugo La Malfa (1961):
“…Un punto che non si consolida, non riesce a intaccare resistenze e conservatorismi. Poche settimane dopo , la nazionalizzazione dell’energia elettrica sembra un esito immediato del confronto che attraversa le forze politiche. Ma gli effetti a uscire dalle emergenze allungando lo sguardo oltre la sopravvivenza di un incerto quadro politico non avrà grandi fortune. Una ferita profonda che non sarà facile rimarginare. Il peso di un riformismo debole, fugace, incoerente. O se spostassimo la prospettiva e il punto di osservazione, l’incapacità delle classi dirigenti di far fronte a emergenze e interventi che vanno all’ordine del giorno, diventano urgenti e necessari, ma non abbandonano la sfera degli auspici o delle buone intenzioni più o meno condivise. Così facendo le debolezze del centrosinistra assumono un duplice significato che rafforza la centralità di una lunga stagione nel cammino della Repubblica. Il primo dato investe il rapporto contradditorio tra società e politica,ha inizio una silenziosa separazione, una divaricazione che si tramuterà nel corso del tempo in un’incomunicabilità o in un conflitto manifesto. Le speranze di trasformazione rimasero deluse e inespresse e quindi iniziarono a sedimentare rimorsi, aspirazioni impossibili, distanze crescenti tra sogni e realtà. In secondo luogo, i riflessi di lungo corso del riformismo mancato, dell’incapacità di intervenire sui progetti in cantiere, sugli interventi concreti che avrebbero dato a una stagione così laboriosamente preparata uno spessore più significativo”.
Un passaggio molto significativo perché vi s’individua, fin dal primo centro sinistra, una debolezza dell’ipotesi riformista che ha sempre accompagnato la storia del nostro Paese.
Debolezza che ha causato fin dagli anni’60 quello scollamento tra società e istituzioni via via progressivamente allargatosi in presenza del fenomeno definito (già in quei tempi) da Maranini come “partitocrazia”.
Tralascio i successivi passaggi che tutti i miei interlocutori ben conoscono a partire dal “blocco “ del sistema causato dalla contrapposizione bipolare nel mondo e via via gli altri fenomeni che in coda alla globalizzazione ci hanno portato alla situazione attuale.
Una situazione di estrema debolezza sistemica, come si cercherà di analizzare ad affrontare propositivamente nel corso del seminario di cui all’invito.
In quest’occasione mi permetto un solo richiamo posto proprio in relazione al testo sopra riportato: qualunque discussione si voglia impostare sul tema della ricostruzione della sinistra si dovrà tener conto di due fattori:
1)      La priorità assoluta che assume in questa fase il tema della “ debolezza sistemica” del “caso italiano”. Una debolezza che potrà essere affrontata soltanto il recupero di un’offerta di autonoma soggettività da parte della sinistra: autonomia sul piano ideale, culturale, politico da mettere in gioco sul piano di una proposta complessiva di una sinistra innovativa ma capace di richiamarsi ai punti più alti della sua storia:
2)      L’autonomia della sinistra dovrà essere rivolta alla costruzione di un progetto di alternativa (non trascurando il discorso delle alleanze) all’interno di un perimetro ben definito: quello del tipo di democrazia repubblicana dettato dalla Costituzione.
Pensare di metterci in moto sul piano politico per obiettivi diversi magari schiacciati sul politicismo immediato sarebbe inutile e smentirebbe quel richiamo alla preveggenza analitica che sta in quel messaggio che intendiamo lanciare richiamandoci al lascito politico di figure come quelle di Gramsci e Matteotti.
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DIALOGO GRAMSCI-MATTEOTTI RELAZIONE INTRODUTTIVA AL SEMINARIO PREPARATORIO
di Felice Besostri- GENOVA 28 dicembre 2019.
Sono contrario alle relazioni introduttive, preparate prima di sapere chi saranno gli intervenuti e di conoscere perché siano venuti un sabato invernale a Genova, per quanto sia un luogo simbolico, nel pieno delle vacanze del periodo tra il Natale cattolico e quello ortodosso o, se preferite altri riferimenti, tra il solstizio d’inverno e il 147° anniversario della nascita del compositore russo Alexander Scriabin e a 4 giorni dalla notte di San Silvestro.
L’intenzione degli organizzatori è chiara: operare una selezione preventiva. Si tratterà di persone motivate, quindi difficili da accontentare in via anticipata. Spero, mentre scrivo queste note, che qualcuno profitterà della possibilità di mandare un paio di cartelle di contributo alla discussione.
Della mia più che cinquantennale esperienza di relatore ricorderò sempre un’assemblea con scout dell’A.G.E.S.C.I. sulla Costituzione in cui chiesi, e ottenni, che parlassero loro, tutti, per primi. Molti tra noi sanno parlare, ma quelli che sanno ascoltare sono una minoranza. Di questo sono convinto, che sia mancata la capacità di ascolto, ma prima ancora l’interesse ad ascoltare, dei dirigenti delle formazioni di sinistra degli ultimi trent’anni, grosso modo dalla fondazione della Lega Nord (nata come Lega Lombarda nel 1986) per l’Indipendenza della Padania nel 1991. Inizialmente giustificata perché la presenza nelle istituzioni era modesta: nelle istituzioni nazionali si parte con un senatore e un deputato, due europarlamentari, 60 consiglieri comunali, due provinciali, ma già con un forte insediamento territoriale con le elezioni lombarde del 1990. In quell’occasione primo partito ancora la DC con il 28,56% e 25 seggi, ma alle sue spalle la Lega era la seconda formazione con 1.183.493 voti, il 18,94% e 15 seggi. Seguivano il PCI (1.172.059 voti, il 18,76% e 15 seggi) e il PSI (892.998 voti, il 14,29% e 12 seggi). Della sottovalutazione iniziale possono essere ritenuti responsabili solo i rami lombardi e veneti dei partiti nazionali, perché la Lega allora Nord sembrava fenomeno confinato tra la Lombardia ed il Veneto e la sinistra considerata nel suo complesso (PCI+PSI) la sopravanzava con il suo 33,05% lombardo, 29,28% veneto vs. 5,91% leghista, per non parlare del 38,07 % piemontese vs 5,09% e, in omaggio alla regione in cui ci riuniamo, il 42,43% ligure vs. 6,13%. Tuttavia, con le elezioni 1992 la sinistra divisa tra sinistra di governo (PSI, 13,62% e PSDI, 2,71%) e sinistra d’opposizione (PDS, 16,11% e RC, 5,62%) raccoglie ancora un 38,06% vs. 8,65% Lega Nord, ma un sinistra portatrice di progetti opposti da un lato e una Lega al 8,61% e una DC ancora primo partito con il 29,66%. Con le elezioni del 1994, primo partito Forza Italia, si può misurare il radicamento territoriale e sociale della Lega, nel nuovo scenario politico, che ha relegato in soffitta la Prima repubblica e che non si è tuttora stabilizzato. La Lega resta stabile con l’8,36% mentre la sinistra raccoglie il 32,1%, ma frantumata in 6 liste, di cui solo 2, PDS e RC con il 26,41%, rappresentate autonomamente in Parlamento. Per quanto concerne la sinistra il fatto più significativo è la scomparsa del PSI e dell’area socialista di governo: il PSI dal 13,62 al 2,19% (-11,43%) e i socialdemocratici dal 2,71% allo 0,46% (-2,25%).La scomparsa dell’aerea socialista e la successiva frantumazione dell’area della sinistra alternativa, sono i fattori della strutturale debolezza della sinistra italiana, rispetto al periodo in cui si articolava in PCI e PSI, sia all’opposizione, che in area di appoggio al governo. L’area ampia della sinistra del 1994, se la si allarga a potenziali alleati, come i Verdi (2,70%) per la protezione dell’ambiente ed ai radicali (3,51%) per l’estensione dei diritti civili raggiunge il 38,22%: un dato puramente numerico in assenza di un programma comune. Peraltro -e la dimostrazione sarà data nel 1996- con l’Ulivo non basta un programma comune come sommatoria, col senno di poi la definirei accozzaglia, senza una gerarchia di priorità per risolvere i problemi della società italiana, che dovrebbero caratterizzare una sinistra di cambiamento, punto minimo di consenso dialettico tra una sinistra di governo e una sinistra di alternativa, la cui caricatura è una sinistra al governo e una sinistra di contestazione, tra loro incomunicabili. Con il 1994 nel Parlamento italiano viene meno un’autonoma rappresentanza dell’area socialista, cioè con un proprio gruppo parlamentare, poiché non considero tali il gruppo “socialisti e radicali” della XV legislatura Camera e nella stessa il nome “Nuovo PSI” tra altri in un gruppo parlamentare del centro-destra, per il loro carattere episodico e per giudizio politico, e non rappresenta una rinascita, ma semmai un epitaffio, che il nome PSI ricompaia dal 18 settembre 2019 insieme con Italia Viva in un gruppo parlamentare del Senato della Repubblica della XVIII legislatura. Questa legislatura ha teoricamente una durata quinquennale, 2018-2023, ma il suo destino è incerto, incertissimo alla luce dei risultati delle elezioni europee del 2019, delle scelte costituzionali di riduzione drastica del numero dei parlamentari, dell’ammissibilità di un referendum ex art. 76 Cost. per il passaggio ad un sistema elettorale uninominale maggioritario senza turno eventuale di ballottaggio e della formazione di due governi, retti su una maggioranza relativa dei gruppi parlamentari M5S alla Camera (216/630) e al Senato (101/319) in crisi d’identità. La scomparsa di un’autonoma presenza parlamentare non significa che il pensiero socialista non sia stato rappresentato in altre formazioni politiche, ma come apporto di singoli compagni e compagne o di raggruppamenti non di dimensione nazionale. Il venir meno della dicotomia storica della sinistra avrebbe potuto dar luogo ad un processo di unificazione, così non è stato e, forse, nemmeno seriamente tentato, neppure con gli Stati Generali della Sinistra di Firenze nel lontano 12 febbraio 1998 di 22 anni fa, che comunque, lasciava fuori a priori una parte, allora più consistente di oggi, della sinistra, quella che aveva lasciato il PCI dopo il crollo del Muro di Berlino e il primo cambio di nome del PCI in PDS, cui seguirono altri non solo di nome, ma di pelle e natura, ma con costanti politico-psicologiche, che gli hanno impedito dii essere la casa comune di una sinistra riunificata fino all’abbandono formale del progetto, per quanto teorico ed astratto fosse, con la fondazione del PD, anche nel nome.
Il punto, che mi pongo, è come progettare il futuro senza perdersi nei meandri del passato, in un vissuto auto-biografico, per quanto esemplare e significativo sia o possa essere stato, come essere, nel contempo, consapevoli dell’urgenza del compito, che non tollera ulteriori ritardi, e convinti, che proprio la situazione non consenta semplificazioni. Una sola certezza non esseri soli, a cominciare dai presenti, di chi ha letto il documento iniziale, ha dato un suo contributo o lo darà, senza demiurghi, grilli parlanti o mosche cocchiere (ci son sempre animali da evitare o imitare).
Lo stato compassionevole della sinistra italiana è sotto gli occhi di tutti e non si colgono segni di miglioramento. Uso l’espressione sinistra per comodità, perché a mio avviso significa ormai soltanto dove si sta negli emicicli parlamentari, quindi una posizione statica, quando la sua crisi è che non sa in quale direzione andare, manca una dinamica politica. Quando si dice sinistra italiana non c’è nemmeno accordo sulla sua composizione: in particolare alcuni mettono in dubbio che il PD, ne faccia parte. Altri obiettano che senza il PD, o almeno i suoi elettori, la sinistra sarebbe irrilevante, se la sua consistenza fosse pari alla forza, pur sommata algebricamente, ma non politicamente, di LeU, PaP e PC, 4,85%, alle elezioni politiche del 2018. Già essere di sinistra è difficile in Italia, era opinione anche di Fidel Castro, a causa della lingua, gli aggettivi “sinistro” o sinistrorso”, per designare chi faccia parte dell’area, sono anche di significato/suono o malaugurante o foneticamente sgradevole. Nella nostra lingua ”una sinistra sinistra”, è altro che dire in tedesco “eine linke Linke”. Nelle lingue europee che conosco, i sostantivi per designare la sinistra, che siano LEFT, GAUCHE, IZQUIERDA, ESQUERDA, ESQUERRA (le tre versioni iberiche) e LINKE, si associano con una direzione, ma mai, come in italiano, a un segnale di negativo auspicio di uccelli del malaugurio perché provenienti da una tale direzione, avibus sinistris. Alle elezioni 1946 per la Costituente socialisti, comunisti e azionisti erano il 33,74% degli aventi diritto al voto e il 41,06% dei voti validi. Alle prime elezioni politiche del 1948 socialisti e comunisti uniti nel Fronte Popolare erano il 27,94% degli aventi diritto e il 30,97% dei voti validi, pagando la scissione socialdemocratica molto di più del 7,07% della filogovernativa Unità Socialista. Settanta anni dopo nel 2018 la sinistra larga da PD a PC è il 23,33%, quella larghissima con Ferrando e Chiesa/Ingroia 23,46%, un bel – 17,8% per limitare le perdite alla sola sinistra, quindi senza contare cristiano sociali, popolari e sinistra DC, confluiti nel PD. Per ricostruire la sinistra non si può semplicemente ripartire dall’esistente, si deve percorrere un’altra strada che abbiamo voluto designare come Dialogo Gramsci Matteotti scelti come simboli delle due tradizioni maggiori, ancorché non esclusive della sinistra italiana, quella socialista e quella comunista. Le altre accoppiate Turati-Bordiga, Nenni-Togliatti o Craxi-Berlinguer, senza entrare nel merito dei singoli personalmente presi, non contenevano come accoppiata un messaggio di speranza unificatrice. Voglio concludere con due citazioni a prima vista criticamente perplesse. La prima di Fulvio Papi, filosofo: “La costituzione di un gruppo di orientamento socialista con la definizione “Gramsci Matteotti” mi pare molto positiva perché proprio nel suo nome indica un problema storico della sinistra italiana, che è rimasto senza alcuna soluzione unitaria – impossibile praticamente ai tempi di allora – che ora, almeno idealmente, indica una direzione forse praticabile. Anche se io, proprio come filosofo, so che il tempo consuma, ma difficilmente rende qualcosa.” La seconda di Gigi Bettoli, Presidente delle cooperative sociali della Lega delle cooperative: “Condivido nella sua interezza i testi che mi hai mandato. Magari ho qualche perplessità sui due riferimenti ideali, non perché non siano i migliori in assoluto, ma solo per ragioni generazionali: già io, cresciuto negli anni '70, mi trovo a considerarmi talvolta un dinosauro, a fronte dei giovanissimi, che per fortuna trovano anche loro dei riferimenti personali, forse meno densi di pensiero, ma non meno esemplari (stile Greta Turnberg). E' solo un dubbio simbolico, comunque: rispetto alla "vecchia guardia", credo che l'accoppiata sia la migliore.” Fosse solo un problema di nomi di un giovane simbolo avrei fatto quello di Iqbal Masih, assassinato a soli 12 anni, di lui non dico altro basta un accesso ad un motore di ricerca, è un test come quando chiedo chi si ricordi la terza strofa di Bandiera Rossa. Ma senza attenzione mediatica non ci sarebbe un interesse mobilitante internazionale del tipo dei Fridays for Future o nazionale per le “sardine”, tutti da movimenti da capire, studiare e con i quali interloquire come premessa ad un dialogo. Dialogo a sinistra necessario, che abbiamo intitolato a Gramsci e Matteotti, come protagonisti di una possibile ricostruzione della sinistra nello spirito dell’attuazione della Costituzione: è una sfida, che deve essere capace di superare le incomprensioni del loro tempo, del tipo “il cavaliere del nulla”, un segno di una sinistra incapace di un dialogo unitario neppure di fronte alla democrazia in pericolo e del restringimento della libertà.
Senza una chiara presa di coscienza della drammaticità della situazione politica ed istituzionale e del loro progressivo degrado, non ci sarà rinascita della sinistra. Alcuni appuntamenti sono imminenti: ammissibilità del referendum ex art. 76 Cost. per ottenere un sistema elettorale maggioritario di tipo britannico, referendum ex art. 138 Cost. sulla drastica riduzione dei parlamentari, adozione di misure compensative e di una nuova legge elettorale, i cui prodromi non sono rassicuranti. Su tutto pesa il fatto che la legge n. 165/2017, quella che regolerebbe eventuali elezioni anticipate, consente ad una lista o coalizione che superi il 30%, omogeneamente distribuito sull’intero territorio nazionale, di controllare la maggioranza assoluta della Camera dei Deputati e, se viene meno la base regionale dell’art. 57 Cost. per il Senato, il Parlamento in seduta comune. Il Parlamento in seduta comune oltre che eleggere un terzo della Corte Costituzionale e un terzo del CSM decide anche la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica (art. 90. Cost.): uno stravolgimento della forma di governo disegnata dalla Costituzione, cui dare una rapida, decisa, coordinata ed unitaria risposta.
In questa relazione, contravvenendo all’insegnamento di Matteotti, che fu presago delle negative conseguenze del trattato di pace di Versailles e dell’invasione del bacino della Ruhr, che impoverì ed umiliò il popolo tedesco, già stremato dalla sconfitta, non affronto la dimensione europea ed internazionale della crisi, peraltro decisive per ridisegnare una politica estera diversa per il nostro paese. Per essere sintetico i nuovi problemi nascenti dalla globalizzazione possono essere raccolti nelle parole d’ordine del movimento socialista dell’inizio del secolo scorso: PANE (cioè lavoro), PACE e LIBERTA’, le precondizioni per una società giusta e democratica.
Felice Besostri








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Interventi scritti preordinati:
LUIGI FASCE
DIALOGO GRAMSCI MATTEOTTI
per un
“Manifesto politico per un nuovo ordine economico e sociale"





Antonio Gramsci e Giacomo Matteotti precursori della Costituzione italiana.

di Luigi Fasce

Preambolo

Precursori della Costituzione. Pochi ma i significativi riferimenti che rimandano al contributo, certo indiretto, per lungo il lasso di tempo che dista dalle vicende eroiche dei due compagni pensatori della Sinistra italiana, l’uno Giacomo Matteotti (1924) socialista assassinato in modo violento di cui e l’altro, Antonio Gramsci, comunista, fatto morire in carcere dal fascismo nel 1937.

Comincio da Giacomo matteotti per questioni meramente cronollogiche.

“Uccidete me, ma non ucciderete mai l'idea che è in me”, credo convintamente che queste epiche parole, abbiano ispirato le Madri e i Padri della Costituente.

Quale idea ? l'Ideale socialista di Giustizia e Libertà che pervade per intero la Costituzione.

Come mirabilmente espresso qui di seguito:
Jaka Makuc - 12 aprile 2018

L’assiomatica concettuale che definisce l’idealità politica matteottiana è assai articolata e le seguenti (e sommarie) considerazioni non possono esaurirne
la ricchezza; esse hanno invece l’obbiettivo di chiarire al lettore uno dei nodi tematici fondamentali del pensiero politico di Matteotti: l’imprescindibile
convergenza di morale e politica.


Compito del socialismo propugnato da Matteotti[12] fu proprio quello di lavorare per annullare lo iato tra politica e massa lavoratrice (al contrario di Gramsci,
Matteotti opererà non nella fabbrica ma nel contesto agrario); solo attraverso la politicizzazione educativa del proletariato se ne renderà possibile l’elevazione
spirituale e, in ultima istanza, la redenzione storica.

Condizione preliminare per ristabilire tale connessione sarà recuperare l’ambito morale a quello politico:

Oggi dobbiamo ricostituire quella unità morale e politica del proletariato, che minacciava di rompersi; a costo anche di qualche sacrificio delle nostre ideologie[13].

Il binomio ossimorico civile/barbaro è frequente negli scritti matteottiani e lo si può intendere in questi termini: per Matteotti, la storia pare godere di uno
speciale statuto normativo tale da imporre, a chi vive in un determinato periodo storico, di esserne in qualche modo all’altezza. Occorre difatti ricordare che il pensiero di Matteotti rivela una forte caratura positivistica, che determina una credenza incrollabile nel «movimento ascensionale della civiltà»[14]. Naturalmente, il grado massimo di civiltà sarà raggiunto coll’attuazione del socialismo; questa però, al contrario di quanto pensavano Turati e i teorici classici, non si sarebbe realizzata inevitabilmente, ma solo attraverso un costante e inflessibile sforzo volitivo volto all’educazione del proletariato.

Pertanto, la morale non può essere limitata a un singolo perimetro della vita umana, giacché essa permea l’intero insieme delle declinazioni della vita sociale (giurisprudenza, economia etc.)[15]; spetterà quindi alla politica, intrinsecamente moralizzata e moralizzante, raccogliere questo insieme di discipline e impiegarle come instrumenta per realizzare il proprio fine ultimo (che, per Matteotti, coincide naturalmente col socialismo).

Ecco allora che il discorso giuridico, ad esempio, non rimarrà più comprensibile ai soli specialisti della giurisprudenza, ma dovrà sempre essere strumento intrinsecamente morale e politico: se non si accetta questa collimazione concettuale, si svuota di senso e finalità qualsivoglia disciplina sociale[16].

...


...
Saragat seppe cogliere questo passaggio fondamentale quando disse che:

La guerra non è storia, è preistoria, e la sua causa profonda la troviamo -come dice Treves- nell’eredità selvaggia dei tempi, nell’inumano che è sempre
in agguato dalle caverne della preistoria per irrompere
nella città civile[23].

E ancora Gaetano Arfè:

Ora, per tutto un settore assai largo del movimento socialista- e in esso è compreso Matteotti- il motivo pregiudiziale della opposizione alla guerra è di natura
extra-politica, si motiva con una precisa contrapposizione di ideali a ideali, di valori a valori[24].
...
L’anti bellicismo assume, pertanto, lo statuto di principio etico-politico della dottrina socialista matteottiana; esso non è confutabile sul piano della logica
parlamentare o genuinamente politica, ma esige di essere collocato in una gerarchia valoriale che costituisce l’impalcatura teorica e dottrinaria di una fede: la
fede nel socialismo[25].
...
Ma la tragica morte del deputato ne sugella, in qualche modo, la dottrina. La fede nel socialismo ha infatti modo di compiersi in un martirio che segna la nascita di
un mito; il significato più profondo della morte di Matteotti non può essere compreso senza che prima ne siano state intimamente pensate l’idealità e la vita.
Il sacrificio del “Martire” segna l’inizio di quella cultura antifascista che ispira la politica proprio
perché intrinsecamente morale e ideale: la morte di Matteotti compie, dunque, quel ricongiungimento di morale e politica per la cui realizzazione egli spese una vita:

A chiamarlo al sacrificio ─ la storia conosce queste cose e sa quanto incidano nel corso della realtà ─ è una fede per la quale nessuna rinuncia gli par troppo amara.
Perciò si può dire, senza retorica, che con la morte di Matteotti nasce l’etica dell’antifascismo, motivo ispiratore dei venti anni successivi della storia d’Italia, e forse ancora qualcosa in più: la “religione della libertà” quale storicamente si esprime in un largo scorcio del nostro tormentato secolo[30].>

(https://www.pandorarivista.it/articoli/morale-politica-giacomo-matteotti/)

Dunque, etica pacifista ante litteram rispetto anche a quella gandiana di Aldo Capitini, sintetizzata nell'art. 11 della Costituzione e "Discorso giuridico, morale, politico" che permea per intero la nostra Costituzione Italiana del 1948 a cui si conformerà anche il pensiero del "nuovo Partito" Comunista Italiano di Palmiro Togliatti secondo la chiave di lettura di Antonio Gramsci di Marx come vedremo di seguito.



Nel 2014 persino il presidente del Senato Grasso ha voluto commemorare Giacomo Matteotti nel Novantesimo dalla morte e gli accenti posto sulla dirittura morale si sono levati copiosi, da Grasso stesso, queste le sue parole di introduzione
< una luce che dal passato continua a illuminare il nostro presente e, per piu`
ragioni, ad orientare il nostro futuro, una figura che puo` parlare a tutti e
che per tutti, oggi, puo` rappresentare un messaggio di speranza e di progresso. ...>

e da altri senatori di diversi gruppi di cui segnalo il seguente
258ª Seduta 10 giugno 2014 Assemblea - Resoconto stenografico
DE CRISTOFARO (Misto-SEL). Signor Presidente, come Gruppo
Misto e come Sinistra Ecologia e Liberta` vorremmo ricordare Giacomo
Matteotti a novant’anni dal suo assassinio. Lo facciamo innanzitutto associandoci, ovviamente, alle sue parole, Presidente.
...
La figura di Matteotti insegna esattamente questo, cioe` che la politica per ritrovare il senso di una missione deve tornare a dover servire una causa. Questa causa puo` essere soltanto, oggi, nel mondo che viviamo, la battaglia per rimediare alle disuguaglianze sempre piu` profonde che segnano le societa` europee.
I legami tra societa` e politica vanno collocati sempre di piu` in questo
dilemma. Se va ridata una dimensione collettiva alla democrazia, alla politica tocca riguadagnare un orizzonte di senso e finanche un compito storico: l’una e l’altra, democrazia e politica, devono tornare a fondersi in quella sovranita` popolare che magistralmente la nostra Costituzione pone alla base dell’ordinamento democratico.

L’una e l’altra insieme possono neutralizzare le grida di chi e` pronto soltanto a raccogliere la disperazione. Sta qui, tutto qui, nella tensione costante a tenere viva la democrazia, il lascito morale e storico di Giacomo Matteotti.>

Non commento sull’abisso che si riscontra tra parole pronunciate e i comportamenti tenuti dallo stesso Grasso in quella stessa legislatura prona al pensiero unico neoliberista.

Il riferimento alla Costituzione era, forse, nel caso di De Cristofaro, sincero.
La Costituzione è stata ibernata dopo il 1989 e lo è a tutt’oggi ma è di fondamentale averne piena conoscenza perché sulle su fondamenta possiamo riscrivere il nostro “Manifesto politico per un nuovo ordine economico e sociale".

Ora passo a tracciare i meriti di Antonio Gramsci, in continuità a Matteotti come accennato sopra a proposito della Costituzione italiana "discorso giuridico" strumento intrinsecamente morale e politico.
E questo è potuto accadere per la sua capacità di leggere il pensiero di Marx in modo originale e foriero di possibile adattamento al socialismo democratico alternativo al sistema URSS.

giurista 'positivo' il problema del fondamento dei diritti? Queste sono alcune delle decisive questioni alla cui risoluzione il presente volume offre un contributo significativo con riferimento alla Costituzione italiana del 1948. Analizzando le tradizionali concezioni dei diritti dell'uomo (le Dichiarazioni rivoluzionarie francese e americana, la teoria dei diritti pubblici soggettivi di derivazione tedesca) e concentrando l'attenzione sulla formazione filosofica e giuridica dei nostri costituenti, nonché sul processo costituente stesso, Filippo Pizzolato individua nell'idea di finalizzazione dei diritti l'originalità della Costituzione italiana.
(Pizzolato F. Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana" Vita e Pensiero. Università Cattolica - Milano 1999
(
...

...Togliatti stesso, infatti, individua la novità del pensiero gramsciano nel fatto che "il socialismo diventa con Lui non più soltanto un movimento di classi proletarie sfruttate in lotta per il miglioramento delle loro condizioni di esistenza e per la loro emancipazione sociale: diventa moto per il rinnovamento di tutta la società italiana, diventa movimento nazionale progressivo liberatore".> (pag 83 nota fondo 224)

(pag.83) (Pizzolato F. Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana)

Lascio volentieri ad altri migliori conoscitori del pensiero politico di Antonio Gramsci il compito rintracciare specifici contenuti da aggiungere (come per esempio quello della " egemonia culturale" e la concezione della scuola).
Per quanto mi riguarda quanto espresso da Pizzolato ritengo che sia di fondamentale importanza. L'aver fornito al PCI di Togliatti, in punta di teorizzazione politica, la possibilità di contribuire in Costituente commissione dei 75 a scrivere in sicurezza la parte programmatica della Costituzione e sancire il modello di economia mista - via di mezzo tra capitalismo di stato (URSS) e libero mercato (USA) - codificata giuridicamente nella prima parte del titolo terzo. - Rapporti economici. Che lo stesso Togliatti definì con piena consapevolezza "via italiana al socialismo".


Sistema socio-economico-ecocompatibile
I^ Parte
(Rielaborazione attualizzata mia personale su base dell'elaborazione documento di Alleanza Popolare - Genova (2017) TAVOLO MODELLO ECONOMICO ECOCOMPATIBILE-LAVORO componenti: Luigi Fasce, Antonio Bruno, Piergiorgio Pavarino, Eugenio Orlandini, Giuseppe Gonella, Mauro Solari, Ornella Ventullo, Ivaneo Sandei, Gian Luca Terragna, Giorgio Boiani, Davide Ghiglione, Cristina Cazzulo, Sergio Lorenzo Bonanini, Giampiero Fasoli, Andrea Ranieri, Giovanni Magoga, Ulrich Pfeffer, Pietro Lazagna, Francesca Nicora, Nadia Carì, Luigi previati, Filippo Sergio Coppola, Alessio Boni, Giuseppe Laureri, Bruno Pastorino, Alberto Soave, Osvaldo Benevello, Giuliana Parodi, Lukas Mondello, Anna Batochenko, Elena Lozzi, Fabio Cancelliere, Claudio Culotta.)

Cittadini di tutto il mondo, a partire da ogni nazione, sollevatevi contro disuguaglianze, sfruttamento del lavoro e disastro ecologico incombente.

La necessità di un Manifesto della sinistra Costituzionale in Italia che rimetta al centro il sistema socio-economico-ecocompatibile - via di mezzo - tra capitalismo di Stato e l'attuale pervasivo sistema economico-fianziario, parte dalla consapevolezza che dopo il 1989 si è realizzato con la compiacenza delle sinistre storiche il pensiero unico neoliberista tanto a egemonia culturale tanto più pervicace modello economico finanzcapitalista.
La globalizzazione neoliberista ha assunto una tale potenza e pervasività che in questa fase storica è estremamente difficile, per un singolo Paese, fare le proprie scelte in maniera libera e democratica (il caso della Grecia è emblematico).
Sarebbe, quindi, necessario abbattere i pilastri di questa globalizzazione destruens (rappresentati, sostanzialmente, dalla Unione Europea + WTO (attualmente in crisi nel suo modello multilaterale ma tuttora fortemente attivo nelle sue forme oligolaterali, tipo TTIP, CETA, EPA, ecc.) + Banca Mondiale/Fondo Monetario Internazionale, nonché dalla NATO, suo braccio armato) e, nel contempo, prefigurare una globalizzazione construens fondata, tra l'altro, su una Organizzazione delle Nazioni Unite profondamente riformata (unitamente ai suoi organismi) su basi realmente democratiche, in grado di far valere fattualmente i principi di grande civiltà espressi nel suo statuto fondativo e in documenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Dopo recentissimo il fallimento di COP 25 a Madrid la manifesta costernazione del segretario Generale dell’ONU è l’ultimo segnale dell’impotenza di questa Organizzazione mondiale su temi essenziali per l’umanità, sempre guerre diffuse per rivendicazioni imperialiste sopra di tutte quelle degli USA di Trump.
Una tale prospettiva, pur nell’auspicabile dialogo con la componente socialista del Partito Democratico USA e con i fratelli del Labour inglese, di lotta politica che ci deve vedere impegnati non può che svolgersi all’interno del perimetro nazionale nella prospettiva di una Ue solidale e cooperativa.

Per questo dobbiamo perseguire il progetto di “rivitalizzazione della Costituzione” che, a prescindere dai condizionamenti imposti dalle attuali circostanze, cerchi di prefigurare un modello di economia ecocompatibile che costituisca la base fondante per la realizzazione di quella ”uguaglianza sostanziale” dei cittadini prevista dall'art. 3 della Costituzione. L'obbiettivo che si intende perseguire è una virtuosa convivenza sociale e difesa dell’ambiente che possa di nuovo rappresentare quel “sogno Europeo” intravvisto negli anni 70 (Rifkin), interrotto negli anni 90 del secolo scorso, che la politica delle due componenti della tradizione della Sinistra, ha trasformato in incubo neoliberista. Si tratta, in altri termini, di offrire al Paese, e soprattutto alle giovani generazioni, una nuova speranza, un “nuovo disegno di futuro”, da realizzarsi attraverso l'effettiva attuazione della Costituzione.
In questa prospettiva, è necessario prefigurare, promuovere e realizzare con strenua determinazione una forza politica nazionale che si presenti alle elezioni politiche per governare l’Italia con le seguenti linee guida:
che preveda nel suo programma la rinegoziazione di quei vincoli neoliberisti imposti dal Trattato di Maastricht che, dal 1992, in netto contrasto con la nostra Costituzione, hanno condizionato le politiche dei nostri governi, tanto di centrosinistra quanto di centrodestra;
che proceda celermente all'abrogazione di tutte quelle leggi neoliberiste che, attraverso una lunga serie di privatizzazioni, hanno demolito il sistema delle grandi imprese pubbliche (soppressione IRI con Prodi), incluse le banche (legge Amato 1990) ed i settori delle comunicazioni, dei trasporti, delle infrastrutture e dei servizi essenziali, imponendo un modello di economia neoliberista in palese contrasto con quello sancito dalla Costituzione del 1948.

ANALISI DEI PUNTI PROGRAMMATICI
Il punto cardine: l'assoluta attualità e modernità della nostra Costituzione. Una Carta che non solo non è superata ma non è neanche ancora stata attuata nel suo spirito e nel suo progetto di democrazia. In particolare, per quanto riguarda la parte economica (Titolo III), essa è stata sostanzialmente demolita, imponendo, come detto, il modello neoliberista. Inoltre, in molti casi, essa è stata ampiamente fuorviata (ad es. con la c.d. riforma del Titolo V, che, con la scusa dell'ampliamento delle autonomie e della responsabilizzazione degli enti locali, ha visto l'”esplosione” del Sistema Sanitario Nazionale, con la conseguenza che i cittadini delle varie regioni non vedono più garantito in maniera uniforme il diritto alla salute) o, addirittura, stravolta, come nel caso dell'introduzione del vincolo di pareggio del bilancio (art. 81) che ha praticamente svuotato di significato il disegno di “Stato sociale” delineato dai costituenti.
Resta aperta la l’impellente Questione Ambientale obiettivo del giovanile “movimento mondiale Friday For Future”.
A tal proposito, si può proporre una semplice ma significativa modifica dell'art.9 come propone Paolo Maddalena, ma in questo Manifesto aggiungere un preambolo per introdurre concetti come i diritti di Gaia/Madre Terra, il diritto delle future generazioni a ricevere in eredità un pianeta integro e vivibile e, quindi, la necessità rendere ecocompatibile l'economia.
Altri concetti che potrebbero essere inseriti in detto preambolo sono quelli relativi ai beni comuni primari - ossia quelli riconducibili ai quattro elementi primordiali: terra (vale a dire il territorio ed il paesaggio), fuoco (cioè l'energia), acqua e aria – e secondari - ossia quelli immateriali, connessi con i diritti fondamentali dei cittadini (sanità, istruzione e conoscenza, mobilità, abitare).
È, quindi, evidente che la sfida che caratterizzerà i tempi a venire sarà quella di cercare di fermare la corsa verso il baratro della devastazione del pianeta imposta da un capitalismo che imperversa non solo con la distruzione di risorse ambientali per loro stessa natura limitate, ma anche con la modificazione dell'equilibrio ecologico del pianeta (vedi effetto serra e conseguenti, distruttivi cambiamenti climatici), cui si aggiunge un efferato depauperamento sociale e lo sfruttamento del lavoro umano.
Una sfida che, come dimostra l'esperienza degli ultimi decenni (e anche il buon senso...), non può essere lasciata in mano alle “libere forze del mercato” e che, invece, richiede scelte politiche, sociali e industriali coerenti e conseguenti.
Serve, quindi, un deciso intervento pubblico che indirizzi l’economia verso la sostenibilità, dal punto di vista ecologico, sociale e del lavoro.
In questo senso, il modello di economia mista delineato dalla nostra Costituzione del 1948 risulta assolutamente attuale.
E', dunque, necessario che la mano pubblica si riappropri della potestà pianificatrice, al fine di definire le linee di indirizzo che devono essere perseguite per il bene dell’intera comunità nazionale ed individuare le politiche fattive funzionali al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Attualmente, infatti, l’Italia è un Paese praticamente in mano alle politiche neoliberiste sovranazionali e del tutto privo di una politica industriale coerente indirizzata per mezzo degli strumenti programmatori previsti dalla Costituzione. Non esiste, infatti, un “Piano energetico nazionale” degno di questo nome e manca anche un Piano organico di difesa del territorio dalle calamità naturali ed umane, che si occupi, tra l’altro, della bonifica e rinaturalizzazione delle aree compromesse dal punto di vista ambientale. A ciò si aggiunge l’assenza di una politica edilizia a livello nazionale che, abbandonando il continuo e progressivo consumo di territorio, si indirizzi verso il recupero, la messa in sicurezza e l’efficientamento energetico degli edifici esistenti, attraverso un vero e proprio “Piano nazionale per l'edilizia pubblica e la riqualificazione del patrimonio edilizio” (si pensi al piano-INA Casa degli anni 50).
Vanno anche previsti un “Piano nazionale per l’economia circolare” che, partendo dalla gestione dei materiali post-consumo secondo il principio delle “4 R” (Riduzione, Riutilizzo, Riciclo, Recupero), punti alla riduzione e, in prospettiva, alla scomparsa (c.d. Obiettivo Rifiuti Zero) degli sprechi di materie prime, ed un “Piano nazionale per l'emergenza climatica” che individui le politiche e le pratiche più adatte per, prima di tutto, contenere e, quindi, affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. A quest'ultimo si deve ovviamente affiancare un “Piano per la gestione delle risorse idriche” che affronti il problema dei ricorrenti (e, in prospettiva, crescenti) periodi di siccità, nonché della manutenzione delle reti idriche, prevedendo anche la costruzione di impianti industriali di dissalazione di acqua di mare lungo l'intero arco costiero italiano.
Occorre infine rilanciare e rendere realmente operativo un “Piano Generale dei Trasporti e della Logistica” che punti a modificare l’attuale assetto trasportistico per quanto riguarda sia le merci (per es. spingendo in maniera decisa per il trasferimento dalla gomma alle modalità meno impattanti come la ferrovia ed il trasporto marittimo) sia le persone (mobilità sostenibile, rinnovamento del parco veicolare, in particolare per quanto riguarda il trasporto pubblico).
In tale quadro, è evidente che deve essere completamente abbandonata la politica delle “grandi opere” (tesa a favorire soprattutto le solite grandi imprese, con tutto il corollario di corruzione ed infiltrazione della criminalità organizzata), anche attraverso l’abrogazione/revisione delle norme tipo Legge Obiettivo e Sblocca Italia, e, nel contempo, occorre trasferire ingenti risorse a favore delle innumerevoli “piccole opere” necessarie per realizzare gli obiettivi di pianificazione nazionale, le quali possono, tra l'altro, rappresentare un fortissimo volano per il rilancio delle piccole e medie imprese.
Un ulteriore aspetto che va preso in considerazione parlando di pianificazione a livello nazionale è quello delle politiche di sviluppo rurale, con particolare riferimento alla necessità di prevedere un sostegno all’agricoltura “contadina” di piccola scala, soprattutto quella che impiega metodologie di coltivazione a basso impatto ambientale e che fa riferimento ad aree di mercato a corto raggio (Km zero). A tal proposito, non va dimenticato il fondamentale ruolo svolto nella salvaguardia e manutenzione del territorio, specie nelle aree soggette a dissesto idrogeologico, da parte delle piccole e medie imprese agricole: sicuramente devono essere introdotte forme di aiuto economico a tali attività, in considerazione della grandissima rilevanza ecologica e sociale del loro lavoro.
Nel quadro di una nuova politica programmatoria, “per una società diversamente ricca” preconizzata da Riccardo Lombardi degli anni ‘70 del secolo scorso, occorre prevedere sia un intervento diretto nei comparti industriale e dei servizi (anche in maniera esclusiva, soprattutto in quelli che riguardano i citati beni comuni) sia una politica di incentivi/disincentivi che rispettivamente sostengano o scoraggino le attività dell’impresa privata (ad es. sgravi fiscali/contributivi da una parte, in particolare per chi investe a livello locale e chi investe in innovazione, e penalizzazioni fiscali - tipo carbon tax - dall’altra, per chi inquina, o pesanti sanzioni per chi delocalizza). Basta, quindi, con il “lavoro ad ogni costo”, che penalizza ambiente e salute o che si disinteressa di cosa viene prodotto. Deve valere il principio del “cosa produrre, dove produrlo, perché produrlo e come produrlo”, come parametro indispensabile per la valutazione dell’utilità sociale del lavoro.
Un nuovo protagonismo del pubblico in economia deve, comunque, fare tesoro di quanto successo in passato, evitando le distorsioni del sistema emerse soprattutto negli anni 70 e 80 e, dunque, prevedendo, a tutti i livelli, specifici organismi di garanzia e controllo, come già del resto prefigurato dall'art. Art. 46 (“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”) e con il coinvolgimento e la fattiva partecipazione della cittadinanza attiva.
Un altro aspetto da riprendere e rilanciare è quello della costruzione e sviluppo di reti di produttori, soprattutto nelle forme della cooperazione tra lavoratori, per la gestione delle imprese (come previsto all'Art. 45: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato”) e dei consorzi tra imprese (sia nel settore industriale, sia in quelli dell’artigianato ed agricolo), verificando, anche in questo caso, che non si determinino le distorsioni cui si è assistito in questi ultimi anni, per es. con le cooperative fasulle e con i loro lavoratori sfruttati e sottopagati, o il meccanismo perverso dei subappalti, cavallo di troia della criminalità organizzata nel mondo delle imprese.
Un ulteriore aspetto positivo che deriverebbe da un nuovo rilancio dell’impresa pubblica è quello di ricostituire - così come è stato negli anni del boom economico (anni 50-60) con i grandi conglomerati industriali come l’IRI (cui facevano riferimento anche le maggiori banche) - un asse portante dell’economia industriale del Paese, oggi affetta, da un lato, da un vero e proprio “nanismo” imprenditoriale (con quello che ciò significa, in particolare, in termini di scarsa o nulla capacità di innovazione e sviluppo e, quindi, di rispondere alle esigenze del mercato) e, dall’altro, da una nefasta propensione alla finanziarizzazione ed alla speculazione.

È, a questo punto, evidente che un nuovo protagonismo dello Stato nell’economia deve prevedere anche risorse economico/finanziarie adeguate.
È qui che si inserisce la necessità di prevedere una radicale riforma del sistema fiscale, da realizzarsi con un ripristino e rafforzamento della progressività delle imposte sui redditi (prevedendo anche maggiori detrazioni per i redditi da lavoro dipendente ed una maggiore pressione sui redditi alti e altissimi), con la previsione di eque imposte patrimoniali, mirate a colpire soprattutto le rendite parassitarie (in particolare, quelle immobiliari), ed una rimodulazione delle imposte sui consumi, alleggerendone l’onere sui beni di prima necessità (inclusi quelli di carattere culturale e legati al diritto alla conoscenza) e, di contro, appesantendo fortemente il prelievo sui beni superflui e/o di lusso nonché su quelli dannosi all’ambiente (a partire dai veicoli). Un ulteriore elemento da prendere in considerazione nella determinazione delle aliquote d’imposta da applicare ai beni di consumo deve sicuramente essere la loro “nocività” socio-ambientale: ad un prodotto costruito in maniera sostenibile dal punto di vista sia ecologico sia etico deve essere applicata un’imposta molto più bassa rispetto a quella di un prodotto non rispondente a detti criteri.
Un nuovo fisco non può prescindere da una lotta senza quartiere all'evasione fiscale e da un intervento deciso sull'elusione. Occorre inasprire pesantemente le sanzioni (anche penali) per chi evade (magari introducendo l’aggravante di “reato a danno della collettività” per le evasioni non “di necessità”) e corresponsabilizzare i professionisti (prevedendo il reato di “favoreggiamento in evasione fiscale”). Anche l’elusione, che riguarda prevalentemente i professionisti, va ridotta drasticamente prevedendo maggiori limitazioni e più severi controlli.
Contro la speculazione ed il parassitismo delle rendite, va poi realmente messo in pratica quanto previsto dagli artt. 41 e 42 circa “l’utilità sociale” dell’iniziativa economica privata (che “non può svolgersi in contrasto o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”) e la “funzione sociale” della proprietà privata. Occorre, in particolare, mettere in atto in maniera più decisa la potestà espropriatoria dello Stato nei confronti della proprietà improduttiva e parassitaria.

Nel quadro di una politica mirata a ricondurre sotto il controllo pubblico le imprese strategiche di interesse nazionale e a ripubblicizzare le aziende operanti nel comparto dei servizi essenziali, un intervento particolare deve essere previsto per il settore del credito, riconducendolo nell'ambito previsto dall'art.47 (“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”). Ciò al fine, non solo di tutelare veramente il risparmio dei cittadini, ma anche di consentire il controllo pubblico sulle principali leve dell’economia.
Fino agli anni ottanta del Novecento le banche pubbliche rappresentavano il 75% dell'intero comparto. Dagli anni 90 del Novecento (dopo la legge Amato del 1990), purtroppo, abbiamo assistito alla privatizzazione di tutti gli istituti di credito di diritto pubblico.
Il settore deve, pertanto, essere oggetto di un radicale riequilibrio in favore del pubblico. Un riequilibrio che deve prima di tutto partire dal mantenimento in mano pubblica del Monte dei Paschi di Siena. E, di attualità, appena salvata per tutelare risparmiatori, correntisti e risparmiatori (art.47) della Costituzione, quella della Banca Popolare di Bari
In tale quadro, va ripristinata la distinzione tra “banche commerciali” (dedite solo alla raccolta del risparmio ed alla concessione di crediti a privati ed imprese, per favorire l'economia reale) e “banche d’investimento” (focalizzate sul sostegno a medio e lungo termine delle imprese), superando la commistione tra le due attività che ha ampiamente contribuito, a causa di scelte prevalentemente indirizzate alla speculazione finanziaria, all’attuale crisi del sistema bancario italiano. Di conseguenza, in entrambi gli ambiti, va ricostituita una presenza diretta dell’impresa pubblica, a partire dalla rinazionalizzazione di una parte dei maggiori istituti bancari italiani (e, quindi, della Banca d’Italia, da questi controllata) e dalla ridefinizione dei compiti della Cassa Depositi e Prestiti, la cui missione prioritaria deve tornare ad essere quella di ente creditizio per le amministrazioni pubbliche locali.
Anche le politiche monetarie devono ritornare sotto l'egida del potere pubblico. In tal senso, prendendo per dato il mantenimento dell'euro come moneta nazionale, sicuramente bisognerà lavorare in Europa affinché la BCE venga sottoposta al potere pubblico dei governi degli Stati della Ue e non viceversa, come è attualmente.
Infine, l'attuale stratosferico debito pubblico, in cui la componente interessi è ormai decisamente preponderante, deve essere assolutamente ridimensionato mediante un drastico taglio degli interessi stessi (assolutamente non più dovuti in quanto già ampiamente riconosciuti negli anni) pagati agli operatori finanziari/speculativi privati.

Venendo, infine, al tema del lavoro, gli aspetti prioritari da affrontare sono i seguenti.
In primo luogo, il ripristino del diritto ad un lavoro dignitoso, dal punto di vista sia della qualità sia della remunerazione. Ne consegue la necessità di abrogare tutte quelle norme che hanno portato ad una crescente precarizzazione del lavoro salariato (a partire dal Pacchetto Treu, fino al Job’s Act), con la conseguente esplosione del fenomeno dei c.d. “working poors”, ossia di quei lavoratori che non sono in grado di vivere una vita dignitosa a causa dell’esiguità delle retribuzioni percepite. Ovviamente, va ripristinato integralmente lo Statuto dei lavoratori (Legge Brodolini 300/70) e in particolare l’art. 18, attualizzandolo al contesto corrente. Nel contempo, occorre anche abrogare la legge 223/91 e successive modifiche sui licenziamenti collettivi che, praticamente, ha consentito alle aziende, fin dagli anni '90, di aggirare gli ostacoli posti dall'art. 18 superando il concetto di “stato di crisi” ed introducendo quello di “riorganizzazione interna”, con le conseguenze che vediamo anche oggi nell’imbarazzante caso dell’ex ILVA.
Non solo. È necessario porre un freno alle vere e proprie scorribande di imprese multinazionali ed imprese nazionali private, vincolando la concessione di fondi pubblici legati agli investimenti a clausole di salvaguardia occupazionale e prevedendo, in caso di mancato rispetto di dette clausole, l'obbligo di restituzione totale degli incentivi concessi e, al limite, nell'eventualità di violazioni gravi, la stessa nazionalizzazione dell'impresa.
Le tipologie di contratto di impiego devono tornare ad essere solo tre: apprendistato, tempo determinato e tempo indeterminato. Basta con le decine di tipologie contrattuali che si traducono solo in due fatti concreti: precarietà e sfruttamento.
Una particolare attenzione va rivolta, inoltre, alle c.d. “finte partite IVA”, ossia a quei professionisti che sono costretti a vendere le proprie prestazioni spacciandole per “consulenze professionali” mentre si tratta, a tutti gli effetti, di lavoro dipendente, spesso sottopagato e sottoposto a pesanti regimi fiscali. In tale quadro, va sicuramente reintrodotto il “tariffario minimo”, allo scopo di ridurre la competizione a colpi di ribassi delle tariffe.
Un altro importantissimo aspetto di cui va tenuto conto parlando di lavoro è quello connesso con l’impetuosa evoluzione tecnologica (robotica ed informatizzazione spinta), già in atto e sicuramente crescente in prospettiva, ed il suo impatto sull’occupazione. È infatti ormai chiaro che, nei prossimi anni, assisteremo ad una progressiva “scomparsa” del lavoro umano in moltissimi comparti industriali.
Tutto ciò implica la necessità di prevedere adeguate fonti di finanziamento per mantenere un sistema di welfare che garantisca ad ogni cittadino/lavoratore i mezzi sufficienti “ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 della Costituzione).
In tal senso, si pone evidentemente all’attenzione la questione di chi deve beneficiare degli aumenti di produttività consentiti dall’innovazione nei processi produttivi e, conseguentemente, il ruolo dello Stato, come regolatore e garante del benessere dei cittadini, nella redistribuzione del “valore aggiunto” prodotto dai robot, attraverso l’istituzione di forme di garanzia del reddito (nelle modalità che si possono ritenere più funzionali tra “reddito di cittadinanza”, “reddito minimo garantito”, “salario minimo”, ecc.) che consentano detta “esistenza libera e dignitosa”.
Analogamente, bisogna anche pervenire ad una sensibile riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, per cui va sicuramente ripreso il concetto di “lavorare meno, lavorare tutti”, con l'obbiettivo di riconquistare spazi di vita personale per tutti.
Infine, occorre fermare e, possibilmente, invertire la tendenza all’aumento dell’età pensionabile, anche alla luce del fatto che - contrariamente a quanto si continua ad affermare - l’aspettativa di durata della vita media ha iniziato a diminuire e, soprattutto, risulta drasticamente in caduta l’aspettativa di vita “in salute”. Del resto, è una palese contraddizione che ci si lamenti del fatto che i giovani hanno sempre più difficoltà a trovare posti di lavoro degni di questo nome e, nel contempo, si continui a prolungare la vita lavorativa fino quasi ai 70 anni. È necessario anche definire nuove politiche per l’occupazione giovanile, visto che quelle messe in atto fino ad oggi si sono rivelate sostanzialmente fallimentari. Nel contempo, vanno individuate adeguate politiche dell’istruzione che consentano alle giovani generazioni di essere preparate alle sfide del futuro.

II^ Parte
Costituzione e Diritti
(Rielaborazione attualizzata mia personale su basi del lavoro di gruppo di Alleanza Popolare di Genova TAVOLO DIRITTI, PACE, LAICITA' (1997)composta da Matteo Viviano, Norma Bertullacelli, Giorgio Boratto, Luigi Fasce, Graziella Bevilacqua)

La Carta Costituzionale elenca una lunga serie di Diritti, di cui al primo posto, tra i Principi Fondamentali, quello del Lavoro a convalida solenne del modello economico di cui al titolo terzo rapporti economici (da art.35 a art.47).
Sappiamo quanto importante sia questo diritto: un diritto fondamentale per lo sviluppo della persona e della società. Oggi conosciamo quanto questo diritto venga negato soprattutto ai giovani. Il lavoro è la cartina di tornasole che misura la caduta del benessere economico della nostra società.
Lo stesso vale per il diritto allo studio che è sancito dall'articolo 33-34 della Costituzione italiana. Mentre la scuola distorcendo le finalità è diventata funzionale allo sbocco lavorativo esempre più selettiva negando la possibilità di accesso a questo fondamentale diritto ai ceti sociali più poveri.
Un altro diritto è quello alla Salute, specie nella prevenzione, che è facile constatare non è uguale per tutti. Ancora chi ha redditi bassi viene penalizzato nelle attese di esami e nelle cure.
Altri importanti diritti contenuti nella Costituzione sono quelli di espressione, di opinione, di pensiero, di voto (diventato oggi di estrema attualità al pari di quello di cittadinanza).
Sui Diritti altri due importanti documenti pienamente integrati nella Costituzione, la "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo", adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 e la Convenzione dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.
Dichiarazione Universale dei Diritti Dell'Uomo che dalla sua promulgazione e a tutt'ora l'ONU non è riuscita a garantirne ancora l'attuazione.

POVERTA’ ASSOLUTA
Nel Mezzogiorno e nelle aree metropolitane più famiglie e individui poveri
Nel 2018, si stimano oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7,0%),
per un totale di 5 milioni di individui (incidenza pari all’8,4%). Non si rilevano variazioni significative
rispetto al 2017 nonostante il quadro di diminuzione della spesa complessiva delle famiglie in termini
reali.
...
Quasi 1,3 milioni i minori in povertà assoluta
Nel 2018, la povertà assoluta in Italia colpisce 1.260.000 minori (12,6% rispetto all’8,4% degli individui
a livello nazionale). L’incidenza varia da un minimo del 10,1% nel Centro fino a un massimo del
15,7% nel Mezzogiorno; rispetto al 2017, si registra una sostanziale stabilità. Disaggregando per età,
l’incidenza presenta i valori più elevati nelle classi 7-13 anni (13,4%) e 14-17 anni (12,9%) rispetto
alle classi 0-3 anni e 4-6 anni (11,5% circa).
8https://www.istat.it/it/files/2019/06/La-povert%C3%A0-in-Italia-2018.pdf)

A partire dal secolo scorso nuove soggettività si sono imposte nella visione globale, in particolare quella femminile. In alcune Conferenze Mondiali, promosse dall'ONU, sono state elaborate Carte dei Diritti della Donna, la cui condizione in alcuni continenti è drammatica.  Una sensibilità nuova si è rivelata verso l'ambiente e verso il mondo vegetale e animale, attenzione che è stata recepita in alcune Carte costituzionali di recente stesura, come quella dell'Ecuador, con la consapevolezza che la salvezza della nostra madre terra passa attraverso questa visione nuova del rispetto dell'universo e del vivente.
Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare per rendere effettivi questi diritti e tradurli da principi etici in norme e prassi politiche e sociali.
Le ondate migratorie, infine, ci pongono nuove sfide ed elaborazioni inedite per una positiva integrazione : accanto ai diritti dei richiedenti asilo occorre, in parallelo, mettere a fuoco i diritti di chi accoglie e qui le istituzioni transnazionali debbono essere il fulcro per la realizzazione di un nuovo paradigma, che metta al centro la qualità della vita, le scelte urbanistiche e di welfare, per il benessere di tutti/e.

MIGRANTI

Art. 10 COSTITUZIONE "L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha
diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

TEMI
Una politica attiva di accoglienza; cittadinanza; convivenza; integrazione attiva e nel rispetto della cultura di provenienza; corridoi umanitari.
Nessuna distinzione capziosa tra immigrati economici e rifugiati politici ai fini dell'accoglienza, certamente regolata e supportata dall'intera Ue.
Nessuna distinzione ben sapendo che la causa degli esodi degli immigrati economici è dovuta a noi USA-Ue portatori di guerre distruttive di massa di popolazioni inermi Italia in prima linea con nostri soldati sparsi sugli scenari di guerra diffusa e permanente imposta dal sistema predatorio neoliberista mediante la mano armata della Nato che dal 1989 avrebbe dovuto dichiarata la scomparsa della sua funzione difensiva contro il pericolo comunista dell’URSS. Guerre, che oltre a dilaniamento in massa di persone inermi, distruzione di intere città e sconvolgimento climatico, desertificazione e enorme emissioni di Co2 che determina accrescimento di effetto serra.


A cui si aggiungono espropriazione di interi territori dell’Africa da parte di Multinazionali (Monsanto ecc.) e pure di Stati stranieri (Cina).


PACE

Art. 11.
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce
le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Siamo contro l'attuale politica guerrafondaia dell'attuale governo Gentiloni e della ossequiente ministra della guerra Pinotti nei confronti della Nato in totale sudditanza di USA e multinazionali.
Pertanto siamo per l'uscita dell'Italia dalla NATO, per il ritiro immediato dei soldati italiani da tutti i teatri di guerra, per la riconversione nel civile dell'industria bellica.

TEMI
Ruolo dell´Italia per promuovere in ambito ONU per il diritto di "fraternità" tra i Popoli della Terra, la pace e la cooperazione nel contesto internazionale; riconversione dell´industria bellica; No NATO; divieto a finanziare Stati in guerra.
NO bombe atomiche nel pianeta Terra Rafforzare e non contrastare come fa l'attuale governo Gentiloni la deliberazione per il bando delle armi nucleari di assoluta attualità:
Approvato all'ONU il Trattato di messa al bando delle armi nucleari.
Senzatomica e Rete Disarmo: "Inizia una nuova era per il disarmo nucleare"
Nonostante l´assenza dell´Italia, Senzatomica e Rete Italiana per il Disarmo sono ottimiste: "Ora che il Trattato è stato adottato, ci impegneremo affinché il Governo lo ratifichi, manifestando così il volere della maggior parte della popolazione italiana".
Fonte: Senzatomica - Rete Italiana per il Disarmo - 07 luglio 2017
Con uno storico voto nell'ambito della Conferenza indetta dall´Assemblea Generale con la risoluzione 71/258 del 26 dicembre 2016, le Nazioni Unite hanno adottato il Trattato di messa al bando delle armi nucleari.
(http://www.disarmo.org/ican/a/44563.html)


LAICITA'
Sul tema della Laicità si ricorda che per la nascita di un nuovo soggetto politico la laicità sia un punto fondativo inalienabile.
La laicità che non significa laicismo è quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione. La laicità è la medicina più efficace contro ogni tipo di fondamentalismo religioso, razziale, xenofobo, omofobo. La laicità è rispetto dell'altro, degli stili di vita diversi, delle diversità di genere e di orientamento sessuale.
(Guido Calogero)
In Italia purtroppo l'avere posto il concordato con il Vaticano in Costituzione (art. 7) ha creato un vulnus al primato della laicità e assegnato alla chiesa cattolica ingiustificati privilegi economici.>
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ALFONSO GIANNI
Care compagne e cari compagni,
avendomi l’amico e compagno Luigi Fasce più volte sollecitato ad esprimermi in merito alla proposta avanzata da Franco Astengo e Felice Besostri nel documento da essi firmato “Per la ricostruzione della sinistra italiana: linee di successione”, lo faccio volentieri nel modo più semplice e diretto attraverso queste poche righe, avvertendo che ovviamente parlo a titolo squisitamente personale.
Condivido in pieno la finalità espressa dal documento e finanche l’uso del termine “ricostruzione” riferito alla sinistra. Infatti non ci troviamo nella condizione di potere rinnovare quello che già c’è. La crisi della sinistra nel nostro paese non è solo evidenziata dal fatto che quel poco che può definirsi ancora tale è frantumato e disperso, ma soprattutto dall’assenza di una cultura politica di sinistra. A me pare questo il dato principale. Ed è quindi da qui che bisognerebbe ripartire.
Nello stesso tempo sarebbe un errore pensare di ricominciare da una tabula rasa. Nel nostro paese abbiamo avuto una sinistra forte, che ha espresso una cultura politica che viene oggi apprezzata e ripresa in varie parti del mondo, si pensi alla “fortuna” del pensiero di Gramsci nelle Americhe, in particolare in quella del Sud. Abbiamo conosciuto il più grande partito comunista d’Occidente e una grande e originale esperienza socialista. Abbiamo una grande storia sindacale, non solo alle spalle. Criticare l’attuale linea del movimento sindacale nelle sue varie componenti si può e si deve, ma senza perdere di vista la dimensione sociale che esso ha anche al giorno d’oggi. Abbiamo avuto, soprattutto agli esordi della storia del movimento operaio, a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo, esperienze straordinarie di mutualismo, di solidarietà, di autogoverno e di autogestione. Abbiamo visto il nascere di una Repubblica democratica frutto della lotta resistenziale contro il nazifascismo che ha partorito una delle migliori e ancora attualissime Costituzioni del mondo, che abbiamo difeso e dobbiamo continuare a farlo, anche come premessa per un allargamento e un approfondimento della democrazia stessa.
Insomma non veniamo dal nulla. Siamo nani, questo sì, ma seduti sulle spalle di giganti. Dobbiamo ricostruire con la tenacia e l’umiltà di chi sa imparare da un grande passato.
Per me rifarsi contemporaneamente a Gramsci e Matteotti ha un unico senso, che va al di là delle concordanze che si possono trovare tra le due figure storiche. E’ quello di considerare superata nei fatti la storica divisione fra comunisti e socialisti, fra rivoluzionari e riformisti. Di fronte alle vecchie e nuove contraddizioni di un capitalismo che ha saputo, nella globalizzazione e nella crisi, rinnovare se stesso, mantenendo però fermo il suo dominio sulla società e il suo sistema di sfruttamento del lavoro umano, non vedo possibile alcun processo rivoluzionario che non si sostanzi di un percorso – anziché risolversi in un atto – fatto di conquiste parziali che si consolidino come le famose “casematte” nel corpo della società. Né intravedo un riformismo che non si ponga concretamente il problema di una trasformazione complessiva dell’attuale sistema sociale, pena l’inanità dei suoi sforzi di migliorarlo. Sarebbe interessante aprire un dibattito in sede storica su quanto è avvenuto nell’ultimo quarto del secolo scorso. Si vedrebbe, forse, che vi sono nessi fra il crollo dei paesi del cosiddetto “socialismo reale”, il delinearsi di processi di crisi nella socialdemocrazia europea, la complessificazione nella costruzione delle società nei paesi postcoloniali, le aporie interne alla stessa nascita e alla storia dell’Unione europea e l’affermarsi vittorioso del neoliberismo quale ideologia della globalizzazione capitalista. E come la grande crisi economica partita dagli Usa nel 2007 rimetta in discussione alcuni fondamenti di quella globalizzazione cominciata negli anni Ottanta e delinei nuove configurazioni del sistema capitalista, dei modi della accumulazione e della strutturazione della catena del valore, delle stesse istituzioni politico-economiche che costituivano l’impalcatura di un possibile, e da alcuni apertamente vagheggiato, governo mondiale del grande capitale.
Per queste ragioni più di fondo e assai dense di molteplici implicazioni, non credo affatto che la ricostruzione della sinistra possa giungere dal rimettersi insieme degli attuali pezzetti sopravvissuti, anche se qualche concreto atto unitario sarebbe utile, pur se non bastevole, per dare un segnale che si può invertire la tendenza alla divisione dell’atomo.
Allo stesso tempo pur guardando con estremo interesse al delinearsi di nuovi movimenti, da ultimo quello cosiddetto delle sardine, so, anche per esperienze movimentiste della gioventù, che il tema del soggetto politico della sinistra non può essere dimenticato né raggiunto per questa via. Infatti da un lato non bisogna pretendere che i movimenti forniscano risposte politiche generali, dall’altro ritenere che la ricostruzione della sinistra possa avvenire senza parteciparvi e restarne a nostra volta positivamente contaminati.
Anche le esperienze europee ci confermano che la ricostruzione della sinistra avviene pur sempre come un incontro tra un pensiero politico fondato sull’analisi della realtà – ai giorni nostri per forza di cose della realtà mondiale – e nuovi movimenti che si sviluppano nella società a causa del maturare delle contraddizioni che in essa covano. Non fu forse così anche per Gramsci e Matteotti nei difficili e durissimi tempi loro?
Ricostruire la sinistra significa aprire un largo processo costituente nel quale fare convergere elaborazioni teorico-politiche ed esperienze pratiche e di lotta, nel quale nessuno può pensare di essere il centro, ma dove ognuno deve sentirsi parte di uno sforzo collettivo nell’elaborazione innovativa sul piano teorico e nelle pratiche di organizzazione e di lotta.
Vaste programme? Ebbene sì.
Buon lavoro, quindi, a tutti noi.
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RENATO GATTI -ROMA (Socialismo XXI Secolo)
PER LA RICOSTRUZIONE DELLA SINISTRA ITALIANA
Condivido appieno la determinazione di superare in avanti le antiche divisioni e lasciar campo al pensiero lungo, allo sforzo di analisi e proposta che abbia respiro e profondità. Sono laureato alla Bocconi e sono interessato agli aspetti economici e fiscali del pensiero politico, in particolare la mia attenzione si è concentrata da qualche tempo sulla rivoluzione 4.0, sulle nuove tecnologie e sulle conseguenze sovrastrutturali conseguenti alle modifiche strutturali connesse
con i futuri assetti economici conseguenti dalle nuove tecnologie.
Le domande sono:
La rivoluzione tecnologica (d’ora in poi “il robotismo”) con l’eliminazione, prima, del lavoro materiale e intellettuale di tipo ripetitivo, ed in futuro, con il pieno sviluppo dell’intelligenza artificiale, anche del lavoro non ripetitivo, costituisce un “nuovo modo di produzione”?
Se consideriamo una proiezione finale del robotismo possiamo immaginare una società dove non esista più il lavoro, dove tutto è prodotto, meglio e in maggior misura, dalle macchine; non esistendo più lavoro salariato finisce il modo di produzione capitalistico e si prospetta, a mio parere un nuovo modo di produzione.
Se è plausibile pensare ad un nuovo modo di produzione, quali potranno essere le ripercussioni sul modello redistributivo conseguente?
Entriamo cioè nella dialettica struttura sovrastruttura e ci si pone davanti l’immediata constatazione che il nuovo modello redistributivo richiede di sciogliere il nodo di chi sono i proprietari dei mezzi di produzione, di chi ha il potere robotico perché questo punto prelude alla risposta che si può dare alla domanda che ci siamo posti. Ne discende, a mio avviso, la necessità di un processo che porti alla socializzazione dei mezzi di produzione.
Quali sono le ragioni che giustificano la socializzazione dei mezzi di produzione?
La tecnologia è il fenomeno causale della rivoluzione robotica; la tecnologia non è un frutto del capitale ma nasce nel sistema scolastico, universitario, degli enti di ricerca, dei ricercatori, nei progetti ad alto rischio che difficilmente il capitale osa affrontare; peraltro basti pensare dove sono nati: internet, GPS, IOT, A.I., basta ricordare quanto scrisse ne Lo stato innovatore Mariana Mazzucato per concludere che la tecnologia è un prodotto sociale finanziato e ricercato in quel clima socio-culturale che Marx chiamava general intellect.
Come e quando affrontare questo tema?
La robotizzazione è in atto già da tempo, basti pensare alle catene di montaggio di qualche decennio fa e quello che sono adesso; il processo accelererà in futuro facendo calcolare, come fatto da studi pubblicati, una forte riduzione dei posti di lavoro in disparate aree produttive; ciò ci fa pensare che il tema vada affrontato subito perché quando diverrà evidente nelle vite di ciascuno di noi, sarà troppo tardi per intervenire.
Il tema non è nuovo (lo ha affrontato Marx e più recentemente Sylos Labini, James Meade e altri) è tempo, credo, diventi uno dei punti centrali del programma di un
movimento politico. Accludo, come primo contributo, un mio articolo “Americanismo e robotismo” disponibile, se richiesto a presentare altri miei scritti in proposito,
tra i quali le mie proposte al tavolo di lavoro della convention di Rimini organizzata da Socialismo XXI secolo.
---allegato

AMERICANISMO E ROBOTISMO
Quando si affronta il tema di un nuovo modo di produzione, nello specifico la rivoluzione 4.0, non si può non riandare al testo gramsciano di “Americanismo e fordismo”, alle sue tematiche e soprattutto alla logica dialettica che pervade tutto quel testo che analizza appunto il mutamento di un modo di produzione.
“Americanismo e fordismo” esamina i rapporti strutturali di un nuovo modo di produzione (il fordismo) e le conseguenti ripercussioni sovrastrutturali a livello di formazione e plastica riplasmazione dell’uomo (il taylorismo). “Si può dire genericamente che l’americanismo e il fordismo risultano dalla necessità immanente di giungere all’organizzazione di un’economia programmatica e che i vari problemi esaminati dovrebbero essere gli anelli della catena che segnano il passaggio – appunto – dal vecchio individualismo economico all’economia programmatica: questi problemi nascono dalle varie forme di resistenza che il processo di sviluppo trova al suo svolgimento, resistenze che vengono dalle difficoltà insite nella societas rerum  e nella societas hominum ”.
E ancora l’americanismo è quell’epoca della storia del capitalismo segnata “dal passaggio dal vecchio individualismo economico all’economia programmatica, dal capitalismo di libera concorrenza al capitalismo monopolistico. Un’epoca di rivoluzione passiva, contrassegnata dalla necessità di rinnovare (l’organizzazione del lavoro e della produzione, e conseguentemente la politica e la cultura) per conservare (l’assetto classista della società). Cuore dell’americanismo è il fordismo, cioè un modo di produzione che diventa egemonico, informando di sé la società e la sua ideologia.”
L’«economia programmatica» diventa sinonimo di «razionalizzazione» della produzione, razionalizzazione che richiede, tra l’altro:
1) una nuova organizzazione del lavoro, il taylorismo;
2) un nuovo tipo di uomo;
3) una nuova funzione dello Stato nel sistema capitalistico. 
Gramsci riconosce esplicitamente la razionalità intima del fordismo destinato a soppiantare il vecchio modo di produzione, anche se per la sua generalizzazione “sia necessario un processo lungo in cui avvenga un mutamento delle condizioni sociali e un mutamento dei costumi e delle abitudini individuali (…)”
Ed il maggior mutamento che il fordismo richiede, “il maggior sforzo collettivo verificatosi finora per creare con rapidità inaudita e con una coscienza del fine mai vista nella storia, un nuovo tipo di lavoratore e di uomo.” E la definizione di questo nuovo tipo di lavoratore e di uomo che il fordismo persegue, si trova con cinismo brutale nelle parole di Taylor: “gorilla ammaestrato”. ”Sviluppare nel lavoratore al massimo grado gli atteggiamenti macchinali e automatici, spezzare il vecchio nesso psico-fisico del lavoro professionale qualificato che domandava una certa partecipazione attiva dell’intelligenza, della fantasia, dell’iniziativa del lavoratore e ridurre le operazioni produttive al solo aspetto fisico macchinale”. “Avverrà ineluttabilmente una selezione forzata, una parte della vecchia classe lavoratrice verrà spietatamente eliminata dal mondo del lavoro e forse dal mondo tout court.”
Così come il fordismo elimina spietatamente quella parte della vecchia classe lavoratrice che immetteva nel suo lavoro una partecipazione attiva, la sua intelligenza, la sua fantasia, la sua iniziativa, per privileguare una nuova forza lavorativa di cui si utilizzano gli atteggiamenti macchinali ed automatici (e il pensiero va al Charly Chaplin di Tempi moderni), la rivoluzione 4.0 robotizzando tutte quelle mansioni macchinali ed automatiche elimina spietatamente dal mondo del lavoro tutte quei “gorilla ammaestrati” che aveva allevato nella fase fordista.
In una prima fase quindi, il robotismo elimina tutta la mano d’opera macchinale  e ritrova, come ai tempi precedenti il fordismo, la mano d’opera che produce intelligenza, fantasia, iniziativa, tutto quel bagaglio cioè che serve per progettare, dotare di software, gestire i robots, anzi, andando ancora più in là il compito di questi lavoratori del cervello, sono chiamati a produrre robots che generino nuove generazioni di robots sempre più avanzati ed autoapprendenti, fino a rendere superflui quegli stessi lavoratori del cervello che hanno prodotto i primi robots.
Il rapporto uomo macchina ha quindi il seguente cammino: dall’attrezzo che aiuta l’artigiano nella sua creazione manuale intellettuale, alla macchina che usa il lavoratore sottomettendolo ai suoi tempi e metodi; dall’uomo che inventa e progetta macchine ai robots che inventano e progettano nuove generazioni di robots eliminando l’uomo dalla produzione.
Se quindi l’attenzione è dedicata alla struttura di un nuovo modo di produzione, la dialettica dovrebbe focalizzarsi sulle conseguenze sovrastrutturali che investono i conseguenti coerenti rapporti fra le forze sociali, la regolamentazione di questi nuovi rapporti in particolare per quel che riguarda gli aspetti redistributivi, la collocazione nella società dei nuovi cittadini senza lavoro, la proprietà dei nuovi mezzi di produzione e, di conseguenza, le decisioni sul cosa e quanto produrre, la funzione dello stato in questa bufera che investe la società nel ridisegnare i fondamenti della comunità.
Scrive Gramsci che:  ”In realtà le maestranze italiane, né come individui singoli, né come sindacati, né attivamente né passivamente, non si sono mai opposte alle innovazioni tendenti a una diminuzione dei costi, alla razionalizzazione del lavoro, all’introduzione tecniche del complesso aziendale. (…) proprio gli operai sono stati i portatori delle nuove e più moderne esigenze industriali e a modo loro le affermarono strenuamente si può dire anche che qualche industriale capì questo movimento e cercò di accaparrarselo”.
Il punto centrale per il mondo del lavoro quindi, non è di opporsi alle innovazioni tecnico-produttive, quasi un luddismo di ritorno, ma di diventare i portabandiera di queste innovazioni che, è bene ricordarlo, sono un prodotto sociale cui il capitale è estraneo. Tutto il bagaglio di innovazioni deriva dalla società organizzata come scuola, università, centri di ricerca, enti culturali, ricercatori di base e applicati; basta chiedersi dove è nato internet, il GPS, l’IOT, i big data, l’I.A., la fisica quantistica etc. e la risposta vede lo Stato innovatore come protagonista di queste scoperte; lo stato italiano investe poco in questo campo (anche se i ricercatori italiani hanno riconoscimenti internazionali quale il Breakthrough 2019 per la fisica fondamentale assegnato al fisico del Cern Sergio Ferrara) e poco investe l’imprenditoria privata. Di conseguenza la produttività ristagna, il PIL non cresce, non crescono i salari e ristagnano i consumi.
Lasciare la gestione della rivoluzione 4.0 nelle mani dei possessori dei robots, che si appropriano del bene comune rappresentato dalla tecnologia e dalla produttività, sarebbe un errore strategico che disegnerebbe tutte le sistemiche sovrastrutturali in senso neo-schiavistico.
La vera lotta di classe si sta svolgendo ora, in questo momento storico con due soggetti schierati su due fronti opposti: da una parte il capitale che nella ricerca del profitto vede nell’investimento nella produzione solo una delle opportunità di scelta tra l’altro superata, in questo momento storico, dall’investimento finanziario, dall’altra parte il mondo del lavoro, in cui io includo l’imprenditore schumpeteriano così come il ricercatore scientifico, che incarna un modello di accumulazione concentrato sul mondo della produzione e sulla sua razionalizzazione.
Proprio come Gramsci dobbiamo interrogarci sulla possibilità di una risposta diversa, rispetto all’americanismo, ai problemi dei nostri tempi; una risposta che dovrebbe essere trovata nel mondo del lavoro, cioè in coloro che “stanno creando, per imposizione o con la loro sofferenza, le basi materiali di questo nuovo ordine: essi devono trovare il sistema di vita originale e non di marca americana, per far diventare libertà ciò che oggi è necessità”.
E’ solo nel mondo del lavoro che si può elaborare, con la partecipazione di tutti i soggetti che in esso si riconoscono, una dialettica che ricerchi una coerenza storicamente determinata tra la struttura del nuovo modo di produzione sempre più sociale e le meccaniche sovrastrutturali e filosofiche che si elaborino sul fatto che il lavoro non è più una necessità per la quale bisogna produrre merci per sopravvivere, ma diviene una espressione della libertà di impegnarsi, occuparsi, lavorare per finalità più consone all’umanesimo. 

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GIOVANNI ALPA Genova
(In rappresentanza Risorgimento Socialista)

ANTONIO GRAMSCI - GIACOMO MATTEOTTI:
due giganti a confronto.
Discutere su Gramsci e su Matteotti, due uomini di pensiero e azione fra loro contemporanei, così simili e al tempo stesso così differenti, può essere semplice e al contempo difficile. Come si formano il loro pensiero politico e la loro militanza?
Gramsci aderì al Partito Socialista con una fresca ventata rivoluzionaria ma la sua provenienza non è di un marxismo originario, bensì di un impegno in seno agli anarco -sindacalisti che porterà una certa componente non dogmatica della storiografia di sinistra a dubitare che, alla vigilia della Prima guerra mondiale, Gramsci fosse neutralista.
Matteotti, invece, è un socialista originario che sin dall' età di quattordici anni si volle iscrivere al Partito e alla vigilia della Grande guerra si schierò col neutralismo al punto di essere processato per disfattismo e successivamente recluso in campo di concentramento.
Questo senza nulla voler togliere a Gramsci che, comunque, non partecipò al conflitto a causa della sua salute cagionevole e che, immediatamente dopo, si impegnò come organizzatore in quel biennio rosso che culminò con l' occupazione delle fabbriche.
In quel periodo Matteotti non partecipò attivamente alle sollevazioni proletarie. Diffidava di quei moderati come, nel suo Polesine, era Nicola Badaloni e diffidava di quegli estremisti come Michele Bianchi che successivamente diventerà quadrunviro della Marcia su Roma o quel Marinelli che, nell' estate del 1924, farà parte del gruppo dei suoi assassini assieme a Dumini, Volpi, Poveromo e Rossi.
Mentre per Gramsci quegli anni furono intensi anche in preparazione della futura scissione comunista, per Matteotti, particolarmente in Polesine, lo furono nell' organizzazione delle cooperative rosse e delle casse mutua...
Lenin aveva asserito che, compito dei bolscevichi, fosse insegnare ad una cuoca come si amministra un Paese. Matteotti, dal canto suo, aveva dimostrato come si insegna ad un contadino ad amministrare una cooperativa socialista di consumo. Questo, a suo dire, era il suo marxismo, un marxismo indubbiamente limitato nella teoria ma non nell' applicativo, visto che Matteotti già pensava ad una repubblica socialista "dal basso" in cui fosse necessario, per il proletariato, saper amministrare.
Quali le concezioni di socialismo per i nostri due grandi dirigenti del proletariato italiano?
Propongo di partire da una apparente eresia pubblicata da Gramsci sia sull' Avanti che sul Grido del Popolo, in un articolo intitolato: La rivoluzione contro il capitale di Marx. In questo articolo, Gramsci asserì che i bolscevichi avessero operato ad una rivoluzione contro l' opera di Marx "Il capitale", che nelle Russie di allora, era un' opera molto letta non tanto dal proletariato quanto dalla borghesia, intenzionata all' edificazione del capitalismo prima che il proletariato potesse pensare alle sue rivendicazioni.
A Matteotti, invece, questi particolari ideologici, poco interessavano e nel gennaio del 1921 poco si interessò, contrariamente a Gramsci, della Scissione di Livorno.
Gramsci, da parte sua, seguirà Bordiga col quale, sin dall' inizio, sarà comunque in dissenso e con Fortichiari, Scoccimarro, Li Causi, Longo, Togliatti... guiderà la scissione comunista.
Qui vedremo un Matteotti fortemente convinto della necessità di non dividere il Partito e con Turati si porrà su una posizione di principio asserendo che "socialismo" non ha bisogno di ulteriori aggettivi.
Anche i massimalisti rimasero nel Partito, quegli stessi massimalisti che reggevano la segreteria nella persona di Costantino Lazzari e reggevano la direzione dell' Avanti nella persona di quel Giacinto Menotti Serrati che già Mussolini aveva svilaneggiato col nomignolo di Pagnacca.
Con loro restò la maggioranza del Partito, con nomi di spicco come Graziadei o la Maestra Zanetta.
Con Turati, Matteotti osservava il quadro e capì che i massimalisti erano rimasti nell' indecisione. Si giunse così al 4 ottobre 1922, quando Turati, Matteotti, Gonzales, Treves, Modigliani... daranno vita a quel Partito Socialista Unitario che aderirà all' Internazionale di Vienna.
Il resto, compagni, è storia di martirio. E' storia conosciuta, è martirio di entrambi.
Onoriamoli proponendo il loro insegnamento alle generazioni future.

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SERGIO DALMASSO

Osservazioni al convegno “Gramsci- Matteotti”, Genova sab. 28 dicembre 2019

L'iniziativa organizzata da Luigi Fasce è positiva, perché permette una discussione tra persone che vengono da percorsi anche diversi, in un momento, non breve, di totale incertezza, di mancanza di riferimenti e di prospettive.
- Riprendo, con lui, una discussione già svolta in più casi. E' sacrosanto il riferimento alla Carta costituzionale, ma occorre sempre tenere presente che questo rischia di essere astratto se non si tiene conto dei rapporti di forza sociali. Perché diritto al lavoro e allo studio non sono applicati? Perché alcune riforme sono avvenute in anni di forte spinta sociale, quando movimenti sociali e culturali hanno imposto cambiamenti (sanità, legge Basaglia, divorzio, Statuto dei lavoratori, consigli di fabbrica, qualche forma- per quanto discutibile- di democrazia dal basso...)?
Ricordo che già nel 1946-1947, durante la stessa stesura della Costituzione, i rapporti di forza in Italia piegavano verso le forze moderate. De Gasperi parlava di un “quarto partito” (la finanza e gli affari) come determinante nelle scelte, l'atlantismo- che oggi ci dà basi, servitù militari e bombe atomiche- segnava una precisa scelta di campo (con tutte le critiche verso l'altro campo, autoritario e burocratico). Il caso francese (carta avanzatissima, per di più laica) è simile. Anche là l'intervento statale previsto su settori determinanti è stato ridotto, se non cancellato, da governi di destra e socialisti. L'impegno per l'applicazione dei caratteri qualificanti della Costituzione deve essere rilanciato, ma è possibile solamente se si supera il massacro sociale degli ultimi decenni.
• Ognun* ha un proprio altarino, con questa o quell'altra figura. L'accostamento Gramsci-Matteotti è interessante, è motivato nel documento, accosta figure vittime del fascismo e coerenti, ma è parziale. Gramsci è autore, con dubbi e contraddizioni, della scissione del PCd'I nel 1921, Matteotti nel 1922 scinde il Partito socialista in nome di una posizione riformista/riformatrice. Ambedue colgono le caratteristiche del fascismo come soggetto politico nuovo (si pensi alle successive Lezioni sul fascismo di Togliatti), ma è ovvio che ognuno avrebbe il diritto di citare, in questa necessità di ricostruzione Rosa Luxemburg o Trotskij, il Che o Tomas Sankara, Gobetti o Lombardi, don Milani o Raniero La Valle. La filiazione Gramsci- Matteotti è quindi giusta e nobile, ma è parziale, discutibile, arricchibile.
• Viviamo in una frammentazione grave e colpevole. La morte del PCI e del PSI, la crisi di Rifondazione hanno lasciato un vuoto non colmato dalle cento sigle. I recenti movimenti (Sardine, Friday...) non hanno riferimento alcuno nelle formazioni esistenti. Tutti i frammenti stentano anche a dialogare tra loro (vedasi le tre liste a sinistra, alle regionali in Emilia Romagna), ogni formazione è convinta della propria identità, gli elementi ideologici prevalgono negativamente. La follia prevale anche a livello locale. Ogni iniziativa, dibattito, conferenza... è seguita dagli aderenti al gruppo che la propone. Il tentativo di dare vita ad un circolo/associazione/gruppo che proponga iniziative comuni e trasversali cozza contro gravi difficoltà. L'ARCI non riesce a svolgere questa funzione. L'altra Liguria e Potere al popolo, nati come sintesi di posizioni differenti, sono divenuti per mille motivi, una sigla in più.
• La crisi della politica e dei partiti ha prodotto un fenomeno tragico e di lungo periodo: il distacco della sinistra dai suoi riferimenti storici (classe operaia, ceti popolari,,,). Si veda la “narrazione” (per citare Vendola) di Salvini e Meloni, la maggioranza del voto operaio che in Francia va a Le Pen, il trionfo dell'elemento nazionalista e identitario su quello di classe nelle recenti elezioni in Gran Bretagna, il crescere di Vox in Spagna.
• In Italia, l'assenza di una forza politica ha impedito di dare continuità alla vittoria nei referendum sull'acqua-beni comuni (2011), riforma costituzionale (2016). Tralascio il vecchio referendum sulla scala mobile, dopo la sconfitta del quale Rifondazione- che ne era il perno- non capitalizzò il risultato, ma piegò verso gli accordi di governo. Ancora, l'assenza di una formazione politico-sociale ha impedito di costruire una alternativa davanti alle sciagurate politiche del centro-sinistra, in particolare di Renzi (jobs act, massacro dell'art. 18, buona scuola). Lo stesso termine sinistra (come in Francia dopo la presidenza Hollande e la loi travail) è divenuto impronunciabile. I comici usano l'espressione “Partito dei fighetti”, mentre il dibattito politico si è imbarbarito (basta accendere la TV).
• La presenza di una destra populista, razzista, fascista, integrista, accompagnata a leggi elettorali infami, spinge a semplificare il sistema: meno parlamentari, meno consiglieri, meno partiti e liste, maggiore difficoltà per la presentazione delle candidature, sbarramenti. La logica maggioritaria è stata introiettata con i risultati perversi che ognuno ha potuto vedere in questi trenta anni, a cominciare dal personalismo. Il bisogno di semplificazione, di “un uomo solo” (Matteo) al comando, di cancellare le manfrine, le perdite di tempo, i riti della politica è molto sentito. Ricordiamo tante valutazioni dei 5 stelle sul superamento del parlamento. L'opposizione alla destra, in assenza di una credibile sinistra alternativa, si manifesta in un nuovo meccanismo bipolare Salvini/Zingaretti (in Emilia Borgonzoni/ Bonaccini) che taglia e cancella qualunque ipotesi alternativa (dalla politica estera al no alla NATO, da una politica economica antiliberista a scelte ambientaliste, al rifiuto del regionalismo differenziato che aumenterà ancora le fratture sociali esistenti)
Un circolo politico-culturale, aperto e plurale quale ci viene proposto, può pensare di:
a) organizzare confronti a largo raggio con forze politiche e sociali. E' positivo l'incontro del 7 dicembre a Roma (PCI, PCL, Sin, anticapitalista). Questo è un passo, ma l'obiettivo deve essere più largo e deve coinvolgere associazioni, gruppi, movimenti, settori sindacali.
b) contribuire a una campagna (giornali, iniziative, volantini...) a favore del sistema proporzionale, storicamente sempre sostenuto dalle forze popolari, che cancelli il personalismo, il “voto utile” e permetta di votare per opzioni politiche, programmi...
c) sollevare la questione lavoro, come centrale. Le forze sono minime, ma occorre ricordare come la vittoria politica e culturale della (estrema) destra derivi, in gran parte da una sconfitta sociale. Le maggioranze di destra in tutti i comuni liguri non derivano dal deserto industriale che è stato creato?
ci) Legare il tema ambientale alle questioni sociali. Il rapporto (se ne siamo capaci) con Friday for future e con il sentimento comune in tanti strati della popolazione non deve essere di saccenza, ma di discussione aperta, anche se difficile.
cii) L'abolizione del Decreto sicurezza (legge Salvini) deve essere elemento prioritario. Davanti ad un fenomeno di massa e di base, quale quello delle Sardine, non servono giudizi di superiorità. ma se ne avessimo la forza, dovremmo chiedere: perché il governo non muove un dito su questo tema? Pensate di poter combattere Salvini se non modificate la legge elettorale e gli garantite il trionfo in gran parte del paese e il monopolio sui ceti emarginati?
Resta centrale un fatto: occorre discutere con tutti, è sbagliato isolarsi, ghettizzarsi, ritenersi i primi della classe, ma è fondamentale avere una discriminante di fondo ovviamente verso la destra in tutte le sue forme, ma anche verso posizioni liberiste che tanti danni hanno creato, dal sistema maggioritario al pacchetto Treu, dal jobs act alla riforma Fornero, dai governi con Berlusconi all'idea che la destra si batta con candidature di destra (Callipo, Umbria, industriali che licenziano centinaia di lavoratori, ex ministri di Berlusconi...). Una sinistra non si può ricostruire se non riparte da questo nodo e se ipotizza “tornare allo spirito del centro-sinistra”. La destra si può battere non con accorpamenti e carrozzoni, ma se si rimettono al centro le grandi “verità sociali”. E' difficile, quasi impossibile, ma ogni altra strada è destinata a nuovi fallimenti e nuove delusioni.
Interventi successivi
Giunio Luzzatto
E Carlo Rosselli ?
(Un contributo all’iniziativa avviata con i nomi di Gramsci e Matteotti)

Una iniziativa mirata a far riflettere su quale debba essere, oggi, “la sinistra” viene caratterizzata attraverso una coppia di nomi prestigiosi che si collocarono in settori diversi della sinistra del loro tempo. Questa scelta rappresenta una provocazione molto apprezzabile per almeno due ragioni. In termini generali, perché rifiuta la vulgata secondo la quale le analisi storiche non sono utili per affrontare i problemi del presente; in termini specifici, perché -implicitamente- evidenzia il male che hanno fatto le contrapposizioni interne, spesso violentemente polemiche.

Desidero contribuire al dibattito rilevando che centrare l’attenzione su due soli nomi, rappresentativi di “comunisti” e “socialisti”, ignora la presenza di correnti di pensiero eretiche, e in particolare -per l’Italia- del filone liberalsocialista. Filone certo trascurabile se si guarda alle “masse”, ma non quando se ne considera il peso nell’antifascismo prima della Resistenza e nel corso di essa: non più dopo, anche perché emarginato -all’alba della Repubblica- dalla mancata difesa, da parte di comunisti e socialisti, del Governo presieduto da Ferruccio Parri (un esempio delle nefaste contrapposizioni già ricordate).

Gramsci e Matteotti vengono ricordati dai proponenti anche per la lucidità delle loro analisi circa il fenomeno del fascismo e del successo da esso conseguito; non minore lucidità riscontriamo negli scritti di Piero Gobetti prima, di Carlo Rosselli poi. La lettura, in particolare, del testo rosselliano che presenta il “Socialismo liberale” può essere utile anche per l’attualità; in esso si coglie il senso di una “strategia delle riforme” per nulla minimalista o rinunciataria, ma anzi molto radicale e capace di individuare, senza chiudersi in dogmatismi, risposte forti alle trasformazioni, anche economiche, che si verificano nel mondo circostante.

Tutti i personaggi ricordati ci richiamano a ciò che differenzia la Politica con la maiuscola dal populismo. E’ la ricerca del consenso “popolare” non attraverso l’offerta di benefici immediati, ma attraverso la proposta di strategie che costruiscano un assetto sociale più equo e atto a garantire i diritti di tutti.

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Peppino Coscione

" IN NOME DELLA COSTITUZIONE DIALOGO GRAMSCI-MATTEOTTI:
Manifesto politico per un nuovo ordine economico e sociale

Confesso di non avere avuto il tempo in questo mese per riflettere a sufficienza al fine di dare un valido contributo al tema posto dal convegno e dal manifesto, in particolare in che modo il dialogo Gramsci-Matteotti possa dire qualcosa di nuovo o comunque ancora essere utile a coloro che sono impegnati ad una trasformazione positiva della società nazionale e mondiale di questi tempi.
Matteotti e Gramsci hanno fatto i conti, in modo differente ma anche con aspetti convergenti con una forma di società molto diversa da quella che abbiamo vissuto dopo ed in particolare da quella che viviamo da almeno una trentina di anni.
Una società complessa con una dialettica lacerante tra globalizzazione e silicolonizzazione, tra frantumazione e disarticolizzazione, dominata ma, a mio modesto avviso non governata, da una cupola incarnata da una triplice cinquina.
Da un lato le cinque principali società di intermediazione immobiliare – JP Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc Usa e le cinque banche – Deutsche Bank, UBS, Credit Suisse, Citycorp Merril Linch, Bnp Paribas e dall'all'altro lato i cinque colossi hi-tech – Microsoft, Apple, Google, Facbook e Amazon. Dopo aver sciolto le briglie sul collo delle finanza, i governi dei maggiori paesi capitalistici, chi più chi meno, hanno smantellato le conquiste sindacali e i diritti acquisiti con le lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta, comprimendo i salari reali, promuovendo la precarizzazione e la parcellizzazione dei lavori ( una forma moderma di taylorismo fuori le fabbriche), sottraendo i servizi sociali al controllo pubblico; dinamiche finanziarie, sociali, politiche e culturali che Luciano Gallino ha ben delineato sia nella sua intervista a Paola Borgna dal titolo LA LOTTA DI CLASSE DOPO LA LOTTA DI CLASSE del 2012 sia nel libro IL COLPO DI STATO DI BANCHE E GOVERNI -L'ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA IN EUROPA del 2013.
Le principali armi di distruzione di massa utilizzate per vincere questa lotta ( evito sempre di dire guerra ) sono state l'economia del debito, la globalizzazione ed in ultimo l'uso elitario e spesso strumentale di quella che chiamano Intelligenza Artificiale.
Certamente per me pensare Matteotti e Gramsci è cercare di fare anche mia la passione per l'analisi politica, l'impegno irriducibile non ad un semplice cambiamento ma da una trasformazione profonda di questo cattivo presente , con la convinzione profonda che la politica non può essere separata dalla morale, quella che pone la vita di ogni persona prima e al di là di ogni forma di profitto.
Una riflessione mi permetto di fare a partire dalla mia esperienza di prete sposato che ha 77 anni , già insegnante di storia e filosofia nei licei.
Occorre uscire da un linguaggio storicamente condizionato come le coppie dicotomiche: credenti-non credenti, laici e credenti; esse non dicono una realtà in continua evoluzione ( e pensare che i greci definivano”laico” - dal greco “laikòs – chi faceva parte della massa non istruita ); la differenza non è tra “laici” e “credenti” ma tra laicità e integralismo/fondamentalismo, presente in ogni dimensione dell'esistenza personale, religiosa, sociale, economica. Possono dirsi laici coloro che affermano che non c'è alternativa a questa forma storica di società? Possono dirsi davvero laici coloro che sostengono che il neoliberismo è l'unica ricetta per la convivenza umana? Un mio sentito grazie a coloro che hanno stilato il manifesto; esso è un invito al viaggio, a non stancarci di camminare, consapevoli che come scrive E. Bloch nel suo capolavoro “Il principio speranza” <> o <>; pensiero questo, mai così pertinente e pungente in questo tempo in cui si diffondono idee e pratiche disumane e inumane.

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Contributo di Giorgio Benvenuto al Seminario “In nome della Costituzione. Dialogo Gramsci-Matteotti”

Il richiamo a due figure di grande valore etico e politico come Gramsci e Matteotti è senza dubbio utile per indicare la necessità di elevare la riflessione politica e la ricerca di un nuovo costume etico in politica. Gramsci e Matteotti restano due protagonisti del passato assai diversi fra di loro ma in grado di sottolineare l’esigenza di costruire una classe dirigente all’altezza di sfide decisive per la società italiana. Ed è la attuale povertà delle classi dirigenti il primo problema da affrontare in un ottica di ricostruzione di una sinistra riformista nel Paese.
Inoltre sia Gramsci che Matteotti, nella loro testimonianza politica segnalano l’importanza di due scelte: la prima è quella di agire con coraggio fino al sacrificio della propria vita per gli ideali ai quale hanno dedicato il loro impegno. E certamente quegli ideali sono oggi da recuperare, sottraendoli ad una retorica che dà spazio, specie fra i giovani, a nuovi estremismi ed egoismi quanto mai pericolosi ed al tempo stesso insidiosi per la sopravvivenza della democrazia.
Infine i due protagonisti sono certamente agli antipodi delle “forme” di politica oggi di moda e che, svuotata quella dei partiti, si mostrano come strutture verticistiche, cordate di puri interessi contingenti, senza alcun interesse a confrontarsi, dialogare, progettare. Non si spiega altrimenti la demonizzazione compiuta nei confronti dei corpi intermedi che da ogni parte, destra, centro e sinistra, è stata tentata per non avere a che fare con forze in grado di contraddire e di avanzare proposte alternative proprio perché più vicine alla realtà del Paese che sta cambiando ed alle necessità sociali ed economiche inevase.
Ecco perché sarebbe utile ripensare ad un terzo protagonista che possiede le stesse caratteristiche dei primi due: Bruno Buozzi, ovvero la riscoperta della centralità del valore del lavoro sottoposta ad una rivoluzione tecnologica che attraversa tutti i settori della nostra società ed è talmente impetuosa da non risparmiare alcun comportamento collettivo. La centralità del lavoro va riproposta anche perché ad essa è legata una prospettiva nuova di solidarietà fra le classi di età, fra i diversi territori, fra le questioni della crescita economica e della tutela dell’ambiente. Ma è anche la linea di ripartenza per affrontare, probabilmente in una logica internazionalista aggiornata, la questione cruciale del rapporto fra finanza e politica, fra lo strapotere dei giganti tecnologici e le regole che devono garantire tutele e diritti di lavoratrici e lavoratori. Evitando quella sudditanza che ha grosse responsabilità nello sfarinamento delle sinistre in Italia ed in parte anche in Europa.
“La divisione del lavoro ha creato l’unità psicologica della classe proletaria” scriveva Gramsci. Oggi purtroppo quell’unità è ben lungi dall’essere tale per rispondere alla evoluzione tecnologica e finanziaria. Eppure esistono ancora le condizioni per tracciare un nuovo percorso di iniziative e di proposte, non solo sindacali, per restituire alla società italiana prospettive meno deludenti. Ed in questo percorso la sinistra italiana non può non porsi una rinnovata attenzione verso l’unità sindacale, ovvero un terreno sul quale rianimare confronti e tensioni ideali che certamente potrebbero scuotere anche il mondo della politica.
Matteotti e Buozzi del resto ebbero il pregio proprio dei riformisti di muoversi nella realtà, di cercare di comprenderla e di farla comprendEre alle classi più povere. In questo senso fedeli a quella concezione del riformismo che vede nella conoscenza un potente alleato nella lotta per la promozione della dignità della persona. Ed è anche questo un capitolo che una riflessione politica nella sinistra andrebbe riaperto ed affrontato con coraggio e determinazione per evitare nuove diseguaglianze e nuove emarginazioni.

PERCORSO SUCCESSIVO AL SEMINARIO

ASTENGO-FASCE
Caro compagno Franco, metti al centro il problema al quale, a partire dall'appello di Norma Rangeri, che citi, propongo questo mio contributo integrativo.
Luigi Fasce - Genova


2020)



Marca male per il PD. Che osa scimmiottare l'originale "partito nuovo" del PCI Togliatti.
Troppo speranzosa Norma Rangeri.
Il PD che ha svenduto il modello di economia sancito nel 1948 dalla Costituzione italiana con quello neoliberista, e non c'è cipria e belletto ecologico che possa fargli ritrovare una pur minima identità
di sinistra.
Persino Renzi con la sua nuova creatura politica "Italia viva" marcatamente neoliberista, ha la sfacciataggine di parlare bene di Greta. Per questo, qui a Genova ha ingaggiato - incredibile ma vero - l'antico mbientalista De Benetti.

Marca peggio per i M5S
<...giustamente il sociologo De Masi mette in discussione perché nel momento in cui le diseguaglianze zavorrano la stessa tenuta democratica della nostre società con l´evaporazione del ceto medio, «non resta che la contrapposizione frontale tra neoliberismo e
socialdemocrazia», e dunque anche i 5Stelle devono dire da che parte della barricata stanno.>

Per poter dire da che parte stanno dovrebbero saperlo il significato di neoliberismo e socialdemocrazia. Basterebbe che Grillo andasse a lezione di Costituzione e poi indicasse la "via di mezzo" in campo economico colà prescritta.

Nel mondo limbico della sinistra/sinistra
<...la sinistra/sinistra sembra invece riflettere lo status quo delle sigle partitiche, delle autoreferenzialità, delle indiscutibili
identità pregresse.
Nulla si sta muovendo a sinistra del Pd, nessun protagonista di questo non marginale spazio politico sta offrendo segnali utili a un ripensamento generale sul
proprio ruolo.
Ma servono uomini e donne che con coraggio, determinazione e idee siano in grado di dare una risposta diversa da quelle che sono in campo. Se non altro per rispetto di quei due, tre milioni di elettrici e di elettori che aspettano da anni una forza di sinistra non più minoritaria.>
Di quale sinistra trattasi ?
Sinistra costituzionale o sinistra pre costituzionale.
Purtroppo le varie micro-forze gagliardamente "comuniste" che hanno scelto l'arroccamento identitario vogliono ritornare alla diaspora delle radici ideologiche mai risolte della rivoluzione d'ottobre del 1917.
Quando dalla parte de pensatori italiani Gramsci Togliatti veri innovatori del pensiero di Marx che unici al mondo hanno contribuito a stilare nel 1948 una Costituzione giustamente definita giustamente
"via italiana al socialismo" Dunque possiamo contare solo sulla sinistra/sinistra costituzionale per rispondere in positivo "...ai due o tre milioni di elettrici e di
elettori che aspettano da anni una forza di sinistra non più minoritaria."
Ci vuole però un Manifesto per definire l' identità certa della "nuova" sinistra costituzionale. Con Astengo e Besostri qui a Genova il 28 12 2019 abbiamo cominciato
il percorso a partire dal dialogo Gramsci Matteotti.
Vedasi: http://www.circolocalogerocapitini.it/eventi_det.asp?ID=467
Il percorso continua: Savona, Milano e si concluderà auspicabilmente a Roma nel prossimo febbraio con Manifesto politico per una "Alleanza
Costituzionale".
Invito tutte e tutti i partigiani della Costituzione a contribuire alla realizzazione del progetto, il solo che può rispondere all'appello di Norma Rangeri.



From: Franco Astengo
Date sent: Wed, 15 Jan 2020 09:33:12 +0100
Subject: Fwd: sinistra
To: Luigi Fasce



UNA SINISTRA CHE NON STIA A GUARDARE   di Franco Astengo
Norma Rangeri tocca il  punto nel suo articolo "La sinistra che resta a guardare" e scrive: "Ma servono uomini e donne che con coraggio ,determinazione e idee siano in grado di dare una risposta diversa da
quelle che sono in campo. Se non altro per rispetto di quei due, tre milioni di elettrici ed elettori che aspettano da anni una forza di sinistra non più minoritaria".
Senza rivendicare nulla rispetto a ciò che si sta cercando di fare con il il "Dialogo Gramsci - Matteotti" si ricordano semplicemente questi punti che ispirano la nostra azione così come questa si sta sviluppando sulla base di una elaborazione avviata attraverso un
testo redatto da chi scrive e da Felice Besostri.
1)Viviamo tempi nel quali appaiono dominanti ben altre forme politiche rispetto a quelle di quei partiti che hanno segnato il perimetro della nostra militanza politica. Quello di ricostruzione di una soggettività politica organizzata potrà apparire di questi tempi
un tentativo del tutto marginale. Pensiamo, invece, di poter portare avanti una ricerca di innovazione nei contenuti progettuali e programmatici partendo dalla memoria storica dei filoni tradizionali della sinistra italiana: quello comunista e quello socialista,
identificati simbolicamente nelle figure di coloro che abbiamo pensato possano essere considerati i pensatori maggiormente preveggenti per entrambe le tradizioni politiche: Gramsci e Matteotti;
2) Nel mondo della sinistra appare evidente come siano indispensabili elaborazioni rivolte al futuro e in grado di aprire un confronto con quanto si sta muovendo sul fronte di movimenti che attraverso veri e propri "sommovimenti carsici" si stanno presentando come protagonisti di una profonda domanda di rinnovamento dell´agire politico.
Movimenti che stanno rivolgendosi a una sinistra che tutti ormai riconoscono essere da molto tempo immobile e subalterna all´ideologia dell´avversario; ideologia dell´avversario che si sta esprimendo
nella sue forme più pericolose di individualismo revanscista e di totalitarismo razzista;
3) Potrà apparire allora paradossale proporre la ricostruzione di soggettività organizzate e fondate su basi apparentemente rivolte al
passato. In realtà la nostra ricerca si basa, prima di tutto, sull´individuazione delle nuove contraddizioni sociali che hanno modificato il quadro di relazione storicamente esistente tra l´idea di uguaglianza, quella di solidarietà e quella di
libertà nell´ideazione che appare quanto mai urgente di un socialismo del XXI secolo. Il tema è quindi quello del raccordo tra la migliore tradizione della sinistra storica (avendo presente peraltro tutte le
difficoltà che ne hanno contrassegnato il cammino nel secolo alle nostre spalle), le nuove contraddizioni sociali, l´elaborazione di una progettualità rivolta ad affrontare la modernità nei suoi vari
aspetti partendo dal dominio della tecnica e dell´economia sulla politica. Una tendenza che vogliamo rovesciare ristabilendo il primato di una politica dove le istituzioni fissano confini e regole
per i vari attori economici e sociali. Gli attori presenti sul terreno economico e sociale non debbono poter imporre i loro traguardi e le loro finalità di tipo corporativo contrapponendoli all´interesse generale. E´ necessario un sicuro rilancio delle idee
di programmazione economica, di intervento pubblico in economia, di equità sociale, di welfare universalistico, di progettazione di
percorsi democratici all´interno delle strutture sovra nazionali, in primis nell´Unione Europea. Così come sarà necessario riflettere su forme di partecipazione dal basso al dibattito e alle scelte tenendo
conto del peso e del valore degli strumenti della nuova tecnologia
mediatica senza però concedere nella a illusioni di esclusività di
una democrazia "manipolatoria" esercitata attraverso il web.
4) Potrà apparire banale richiamare la necessità di incontro tra movimenti e organizzazione politica verificando le forme presenti di spontaneità e superando il rischio contrapposto di impoverimento
burocratico. Eppure si tratta di un tema di assoluta pregnanza e attualità che sarà necessario declinare in tempi brevi. E´ necessario individuare, anche e soprattutto sul piano europeo, una forte
coesione tra la radicalità della proposta e la capacità di relativa concretizzazione . In questa fase non ci si potrà che esprimersi in una ferma opposizione alle ipotesi di destra che stanno circolando
con grande forza e pericolosità. Sarà altrettanto indispensabile una espressione di volontà egemonica e di alternativa al riguardo di opzioni di governo basate su di una sostanziale acquiescenza a una
ipotesi subalterna al liberismo e all´idea di governabilità intesa quale fine esaustivo dell´agire politico. Da questo secondo elemento, quello riguardante la totalità dell´idea governista è derivata una
concezione dell´autonomia del politico, della personalizzazione, del dominio di piccoli gruppi autoreferenziali sulla cui base si è
determinato un vero e proprio tracollo per le forze ritenute (forse a torto?) progressiste e di sinistra che hanno perso identità e radicamento di massa;
5) Sul piano della dinamica politica immediata il nostro intendimento rimane quello di considerare centrale il disegno di democrazia repubblicana contenuta nella Costituzione. Da questo punto di vista è
sicuramente mancata una risposta politica a quella parte di voto sul referendum del 2016 che oggettivamente la richiedeva da parte della sinistra. Gli aspetti che ci stanno particolarmente a cuore sono
quelli della centralità del Parlamento e della possibilità di espressione istituzionale per tutte le sensibilità politiche presenti nel Paese in adeguata dimensione. Alle soggettività esistenti, oggi
impegnate nell´appoggio al governo , si tratta di proporre un progetto di ricostruzione di una presenza a sinistra adeguata alle contraddizioni dell´oggi. Si tratta di porsi anche in relazione con
quelle forze che hanno recentemente dato vita a un coordinamento dell´opposizione di sinistra. Quelle forze vanno invitate a riflettere su di un punto, posto per tutti oltre la dimensione
identitaria che ciascuno di noi può rivendicare sul piano ideologico:
il punto è quello della connessione tra progetto e programma in un visione (finalmente!) di "pensiero lungo" da misurarsi sul piano sistemico.

SAVONA 17 1 2020

SAVONA: LA DEMOCRAZIA IN DIBATTITO di Franco Astengo
Il tema della democrazia, della sua crisi, delle specificitàdel “caso italiano” nel quadro di assetto costituzionale che rimane validamente peculiare, il tema del governo dell’intreccio tra le fratture create dalla finanziarizzazione dell’economia e dall’innovazione tecnologica e la sovrastruttura politica è stato al centro di un intenso e partecipato dibattito svoltosi a Savona il 17 gennaio, presso la sala della biblioteca dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea.
Scopo dell’iniziativa era quello di presentare il progetto del “Dialogo Gramsci /Matteotti”, tentativo di ricostruzione della sinistra che ha già avviato la sua attività sul piano nazionale.
La scelta di un“Dialogo Gramsci – Matteotti” per un superamento di divisioni nella sinistra giudicate ormai antistoriche ha come obiettivo, come già accennato, un progetto di ricostruzione della sinistra.
 Un semplice assemblaggio delle residue forze esistenti è giudicato del tutto insufficiente.
Il richiamo rivolto dal “Dialogo Gramsci –Matteotti” è destinato sia alle forze di sinistra che attualmente sostengono il governo, sia a quelle che recentemente hanno costituito un “coordinamento della sinistra d’opposizione” e che risultano, a questo punto, prive di rappresentanza parlamentare.
La scelta di Gramsci e Matteotti come riferimenti è stata dovuta all’analisi della capacità di preveggenza che i due esponenti, l’uno del socialismo riformista, l’altro del comunismo italiano, seppero esercitare al loro tempo soprattutto nella tempestività d’individuazione del pericolo del fascismo.
 In realtà la ricerca avviata dal “Dialogo Gramsci – Matteotti” (come del resto quella del gruppo savonese che ha organizzato l’iniziativa) si basa, prima di tutto, sull’individuazione delle nuove contraddizioni sociali che hanno modificato il quadro di relazione storicamente esistente tra l’idea di uguaglianza, quella di solidarietà e quella di libertà nell’ideazione che appare quanto mai urgente di un socialismo del XXI secolo. Il tema è quindi quello del raccordo tra la migliore tradizione della sinistra storica (avendo presente peraltro tutte le difficoltà che ne hanno contrassegnato il cammino nel secolo alle nostre spalle), le nuove contraddizioni sociali, l’elaborazione di una progettualità rivolta ad affrontare la modernità nei suoi vari aspetti partendo dal dominio della tecnica e dell’economia sulla politica.
 
Il confronto del 17 gennaio, organizzato proprio dal gruppo spontaneo “Quelli della Rebagliati – Il rosso non è il nero” come seguito di altri appuntamenti che si sono sviluppati nell’arco di diversi mesi d’attività e in previsione di altri impegni, èstato impostato da una relazione svolta dal sen. Felice Besostri co – autore del testo sulla base del quale sta sviluppando la sua attività il “Dialogo Gramsci –Matteotti” (Dialogo Gramsci – Matteotti “Linee di successione” Un Manifesto per un nuovo ordine politico e sociale).
Besostri, nell’occasione, era reduce dalla discussione in Corte Costituzionale al termine della quale l’Alta Corte ha bocciato il referendum proposto della Lega per ridurre il sistema elettorale alla sola parte maggioritaria.
Sia pure in una realtà piccola e periferica come quella di Savona l’incontro ha dimostrato come sia presente in molti militanti, magari già appartenenti ai partiti della sinistra storica, il senso della riappropriazione dei termini di sviluppo dell’agire politico nel senso del rapporto diretto con la cultura e l’espressione di un pensiero rivolto in modo non episodico alla progettazione del futuro invece del semplice “apparire“ (frutto di un’episodica improvvisazione) come accade nella maggior parte dell’attualità.
 Un punto di sicuro rilievo emerso nella discussione è stato quello del porsi la questione della sovrastruttura politica in diretto raccordo con l’articolazione a livello europeo della crisi economica e sociale.
In questo senso è stata richiamata la necessità di non ridurre alla sola governabilità l’obiettivo dell’azione politica portando al centro del dibattito pubblico nuovamente il tema della rappresentatività e, di conseguenza, delle strutture di esercizio della democrazia, in primo luogo dei partiti.
Si è toccato anche il tema di scottante attualità del referendum confermativo sulla legge costituzionale riguardante la riduzione del numero dei parlamentari: pur avendo presente tutte le difficoltà di un’espressione contraria al taglio, in ispecie in tempi di grossolano populismo, è emerso complessivamente un orientamento a giudicare questa riduzione (frutto di un’impostazione meramente demagogica) un momento di vera e propria riduzione dei margini di agibilità democratica.
Nel corso del dibattito presieduto da Franca Ferrando, a seguito della relazione di Felice Besostri sono intervenuti Dilvo Vannoni, Franco Astengo, Luigi Fasce, Giorgio Amico, Anna Traverso, Sergio Acquilino.

18 gennaio 2020 Enzo Paolini - Felice Besostri

https://ilmanifesto.it/dopo-la-lezione-della-corte-ripartire-da-una-legge-proporzionale/

<...In questo sciagurato mo(n)do il parlamento viene nominato dai cosiddetti leader, non viene assicurata alcuna governabilità politica, le maggioranze sono drogate dai premi, la vera volontà popolare non conta niente e le elezioni sono solo esercizi di posizionamento personale. Ciò è peraltro affermato dalle ripetute sentenze della Corte costituzionale sui parlamenti che ormai da un decennio sono eletti sulla base di leggi dichiarate incostituzionali. Il problema si acuirà con la riduzione del numero dei parlamentari.
Meno rappresentanti, più potere nella nomina, più controllo di pochi. Si chiama oligarchia.

In pieno mese di agosto questo giornale ha pubblicato un appello, «Il governo riparta dalla Costituzione», sottoscritto da tanti autorevoli osservatori.
Ne riproponiamo il brevissimo, fulminante ed imprescindibile punto 1: «Legge elettorale, proporzionale pura: l’unica che faccia scattare tutte le garanzie previste dalla Costituzione. Per mettere in sicurezza la Costituzione stessa, cioè la democrazia».>

14 aprile 2020

- Mancava il viatico del compagno Formica a sostegno di
nostra giusta causa.
Link articolo per completezza di informazione:
http://www.domanisocialista.it/15042020.htm
Luigi Fasce

«SERVE UN PENSIERO NUOVO. E per cercarlo bisogna tornare alla Costituente. Il vero compromesso alla base della Costituzione fu quello fra due pensatori autonomi, uno del mondo cattolico e uno del mondo laico-socialista, La Pira e Lelio Basso, che si confrontarono nella Prima Sottocommissione. Fra loro vi fu un compromesso fondato
su un´ideologia nuova. Che poi però fu imbrigliata dal pragmatismo politico-istituzionale, da Dossetti e Togliatti, le due chiese».
Ecco, per Formica si può ripartire da lì.
«Mi dicono che l´emergenza sarà economica, che primum vivere deinde filosofari. È vero il
contrario: primum filosofari. Altrimenti non si saprà quali scelte
fare per vivere».

http://www.domanisocialista.it/15042020.htm
 
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ADDIO GIULIETTO,
IL “COMPLOTTISTA”
BEN INFORMATO
» UGO MATTEI


Il Fatto Quotidiano 27 aprile 2020
IN RICORDO DI CHIESA
È morto ieri a 79 anni
lo storico corrispondente
da Mosca de “l’Unità ”,
inventore di Pandora Tv,
impegnato fino all’ultimo

ADDIO GIULIETTO,
IL “COMPLOTTISTA”
BEN INFORMATO » UGO MATTEI
Giulietto Chiesa era una di quelle persone che
mi sembrava di conoscere da sempre, anche
se soltanto da poco avevamo incominciato a lavorare insieme ad un ambizioso progetto di Politica,
con la P maiuscola. Giulietto guidava infatti un gruppo di raffinatissimi intellettuali critici chiamato
“Centro di Gravità” che, insieme al nostro “Comitato Rodotà”e a un nutrito gruppo di altre organizzazioni
di diversissima ispirazione politica, sta lavorando alla costruzione di una infrastuttura permanente, capace
di funzionare come una sorta di rete di salvezza nazionale per le generazioni future ed i beni comuni.
FRA I TEMIa lui più cari, in questo lavoro
di tessitura Politica, che nelle ultime settimane si è intensificato
non poco, c’è quello sulla libertà di
stampa, oggi quanto mai vittimizzata
da censura su internet ed oligopoli.
Giulietto, da giornalista di razza,
considerava il rispetto dell’ A r t. 2 1
Cost. prodromico ad ogni trasformazione
radicale del presente. Per
questo cinque anni fa aveva fondato
Pandora Tv, cui dedicava molto del
suo tempo e delle sue energie. Nulla
meno di un cambiamento paradigmatico
interessava a Giulietto, che
restava prima di tutto un materialista
dialettico, dotato come pochi altri
degli strumenti culturali per interpretare
in modo critico l’e s p erienza
del mondo ex sovietico e cinese.
Un’esperienza, quella del “so -
cialismo realizzato”, cui mai aveva
fatto sconti, ma che aveva sempre rispettato
profondamente, sfuggendo
tanto dall’ incondizionata adesione
quanto dall’orientalismo degli stereotipo
dominanti. Giulietto era
giunto a Mosca nel 1980, come corrispondente
dell’Unità, e vi si era
trattenuto a lungo. Aveva conosciuto
il burocratismo di Breshnev, la Pe -
restroykadi Gorbachev, il neoliberismo
violento di Eltsin e Gaidar (letto
come un golpe di origine statunitense)
e la ristrutturazione di Putin. In
Russia era rispettatissimo, tanto dal
potere quanto dall’ opposizione, ed i
suoi libri erano tradotti e conosciuti.
In una lunga conversazione telefonica
di qualche giorno fa ho avuto il
privilegio di goderne a fondo l’acu -
tezza geopolitica e la completa assenza
di quegli stereoptipi occidentalisti
che intossicano le analisi dei
nostri principali mass media. Avevamo
condiviso la critica severa di
Gorbachev e Obama, ultimi epigoni,
mutatis mutandis, dei due modelli
che si confrontarono nella Guerra
Fredda. Entrambi interpreti ipocriti
e impotenti dell’inevitabile crollo,
puntualmente avvenuto, del socialismo
realizzato e del costituzionalismo
liberale. Mi aveva dato una lezione
sull’attuale “spettacolo integrato”,
per dirla con Gui Debord, in
cui la Cina si trova naturalmente in
una posizione di vantaggio geopolitico
avendo raggiunto, gradualmente
e senza sbalzi, il modello politico
del controllo totale. Il coronavirus
sta cambiato l’egemonia planetaria.
Per Giulietto in queste condizioni i
rischi reali sono generati dai sussulti
guerrafondai del modello atlantista,
il cui principale interprete non è Donald
Trump ma il Partito democratico
dell’establishment. Insieme abbiamo
scerzato sul complottismo, di
cui sovente Giulietto era accusato.
In realtà lo stato del mondo, nell’era
della post-verità, è tale per cui anche
soltanto una descrizione pluralista
della realtà, ossia una che consideri
davvero tutte le sfaccettature di ciò
che appare, sembra un complotto.
Giulietto era in possesso di tali e
tante informazioni di prima mano
sul mondo ed era dotato di
una tale velocità nel collegarle
l’una con l’altra, che
la sua intelligenza vivissima
vedeva nessi che la cacofonia
dominante occulta.
Quando è un megacomputer
di Google a funzionare
così, analizzando rapidamente
big data ch e
non possono essere per loro
natura “p r ov a t i”, perché
la complessità non conosce
nessi causali lineari,
si esaltano le meraviglie del mondo
smart e dell’intelligenza artificiale.
Quando a funzionare così è il cervello
di un uomo eccezionalmente colto,
libero, sinceramente preoccupato
per le sorti del mondo, indomito
nella sua volontà rivoluzionaria, si
parla di complottismo.
Addio Giulietto ci accorgeremo
presto tutti di quanto lungimirante
fosse questo tuo “complottismo”.
---
Ultima video intervista

https://youtu.be/qSUOwF8ATSI

Sergio Dalmasso ricorda Giulietto Chiesa

27 aprile alle ore 02:07 · Amici di Sergio
Capita sempre maggiormente, in particolare in questi mesi, di ricordare persone che se ne vanno. Non posso dire di avere conosciuto Giulietto Chiesa, ma la sua improvvisa morte, richiama alla mente alcuni fatti/aneddoti.
1) 1967, lo avevo scoperto, studente liceale, nelle cronache del congresso nazionale dell'UGI (la sinistra universitaria), dove esponente della FGCI aveva contribuito all'elezione a segretario nazionale di Valdo Spini (socialista) , mettendo in minoranza i giovani PSIUP e della nascente nuova sinistra.
2) lo avevo poi incrociato a Genova all'università, durante la prima occupazione di Lettere (dicembre 1967). Era studente fuori corso di fisica, funzionario di partito e aveva partecipato ad una assemblea, chiedendo che si elaborasse una piattaforma rivendicativa su punti precisi, rifiutando (schematizzo) la "contestazione generale". In assemblea era bravissimo, diretto, preciso, ma le logiche erano diverse e la diffidenza di molt* verso i partiti era netta.
3) lo avevo poi visto in alcune riunioni della FGCI, cui non ero iscritto. Tentava sempre di portare le lotte studentesche nell'aleo della strategia complessiva del PCI. Longo, segretario nazionale, era dialogante e apriva spazi. Ad un federale- aperto ai "giovani"- aveva partecipato Occhetto, allora considerato la sinistra interna.
4) ad una riunione della FGCI, Chiesa aveva introdotto sostenendo che la via nazionale fosse un strumento giusto, ma male applicato. Oppositore partitista dialogante, avevo chiesto se il problema non fosse proprio nella "via nazionale" che allora mettevamo in discussione. L'amico Manlio Calegari mi aveva risposto. "Non fare l'illuminista".
-- A fine anni '70, certo per problemi interni al PCI, Chiesa lasciava una sicura carriera politico-istituzionale per il giornalismo. I suoi scritti mantenevano la chiarezza, la preparazione, la precisione.
--- Le scelte degli ultimi anni sono state contraddittorie. Dalla scelta per Di Pietro- Occhetto ad una visione "complottista"; dalla giusta opposizione alle guerre e alla politica statunitense al discutibile rapporto con settori della destra.
Resta, in questo ricordo, credo inutile, l'immagine di un dirigente politico, di livello alto, in una fase complessa, ma ricca, come quella del primo movimento studentesco. Oltre mezzo secolo fa. Anni importanti.
Luigi Fasce commento
<4) ad una riunione della FGCI, Chiesa aveva introdotto sostenendo che la via nazionale fosse un strumento giusto, ma male applicato.
Oppositore partitista dialogante, avevo chiesto se il problema non fosse proprio nella "via nazionale" che allora mettevamo in discussione. L'amico Manlio Calegari
mi aveva risposto. "Non fare l'illuminista".
Mmentre alla fine dei suoi anni è stato qualificato superficialmente come "complottista" indicando gli USA come i registi del nuovo nemico il terrorismo qualunque
sia non avendo più scopo la Nato, ebbene al tempo che ricorda il compagno Dalmasso "oppositore partitista dialogante", Giulietto Chiesa non aveva dubbi
"che "la via nazionale (della Costituzione italiana) fosse uno strumento giusto, ma male applicato". Però ci ha fatto diventare la quinta potenza economica nel mondo
nei trenta anni gloriosi. C'è da piangere ora che è stato ibernato "lo strumento Costituzione" ...e sostituito con il marchingegno neoliberista di cui a tutto al
mercato nulla al bene pubblico.
Lungimirante Giulietto già allora.
Luigi Fasce











Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .