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ECOLOGIA

TITOLO

Edgar Morin I cent'anni di Morin Un secolo di pensiero Il secolo XIX - sabato 3 luglio 2021

DATA PUBBLICAZIONE

03/07/2021

LUOGO

Genova - Il secolo XIX - sabato 3 luglio 2021


Federico Vercellone
L'8 luglio Edgar Morin, uno dei più grandi pensatori del nostro secolo e di quello scorso, compirà cento anni. Edgar nasce a Parigi nel 1921 da una famiglia ebrea sefardita della diaspora cacciata dalla Spagna nel 1492 e costretta all'esilio, tra Livorno e Salonicco, a causa del decreto di Alhambra emanato da Isabella di Castiglia e Ferdinando D'Aragona. I suoi genitori, Vidal Nahoum e Luna Peressi, si trasferirono a Parigi.
È indubbio che la commistione quasi alchemica di matrici del pensiero e della spiritualità contribuì al formarsi di un'intelligenza quanto mai aperta e cosmopolita.
Combinate con una passione davvero straordinaria per il presente, esse rappresentano il primo germe di quel pensiero della complessità che ha fatto di Morin uno dei
pensatori più significativi della nostra epoca globale. Il vero nome di Edgar Morin fa emergere le sue origini ebraiche: è Solomon David Nahoum.
Edgar Morin è il nome che il giovane adotta da partigiano nella Resistenza francese contro il nazismo. Emerge qui il versante dell'impegno civile che accompagna
lo sviluppo del pensiero in un intreccio inestricabile del versante etico e di quello filosofico ed epistemologico.La vicenda familiare di Morin - come ha rilevato Mauro Ceruti nel prezioso libro da lui curato "Cento Edgar Morin. 100 firme italiane per i cent'anni dell'umanista planetario" (Mimesis) - lo induce a intravvedere nel proprio stesso destino il confine tra civiltà e barbarie mentre, al tempo stesso, lo invita a concepire, sia dal punto di vista sociale che da quello epistemologico, l'ideale di un nuovo umanesimo che si nutra delle differenze come di un patrimonio e di una ricchezza. Dando seguito al motivo ispiratore della sua vita, una delle preoccupazioni principali di Morin è quella di andare al di là dell'antitesi tra le due culture, quella scientifica e quella umanistica. Il suo, inoltre, è un pensiero che non distingue tra il piano propriamente conoscitivo e quello etico-politico. La necessità di un'integrazione delle conoscenze in un sapere sempre alla ricerca di nuove connessioni trova il suo coagulo nell'idea di «complessità», la parola che riassume tutto il suo pensiero.Morin, in altri termini, è guidato dalla consapevolezza della molteplicità infinita di relazioni che s'intessono tra i diversi campi della conoscenza, facendone, quantomeno tendenzialmente, un solo caleidoscopico insieme. È quanto emerge nei
sette volumi de "Il metodo, comparsi nell'arco di trent'anni" (e tutti tradotti in italiano da Cortina). È un progetto immenso sorretto da un impianto antropologico, da un'idea dell'uomo che interseca e sovrappone natura e cultura, che invita a guardare alla cultura attraverso la natura e l'inverso. Ispirato da questa sintesi, il pensiero è sin da subito azione. Azione innanzi tutto in quanto tutela della «Terra-Patria». È una parola d'ordine da intendersi in senso politico ma anche pedagogico. L'impegno pedagogico è del tutto necessario in un quadro di ripensamento del sapere e dei suoi ambiti che contesta lo specialismo della cultura contemporanea. Se la conoscenza non è in grado di orientare gli individui nella loro esistenza, non è conoscenza vera. Morin ci invita a utilizzare responsabilmente le forme del sapere e così pure la tecnologia a favore di quel destino comune al quale l'umanità è consegnata anche in forza della globalizzazione.Alla pedagogia Morin ha dedicato numerose opere, dalla "Testa ben fatta"
(1999) sino a "Insegnare a vivere" (2014), per delineare i tratti di una formazione culturale nuova che segue la crisi delle tradizioni fondanti nell'universo globale. L'appartenenza all'universo globale ha inoltre un significato che non è solo culturale ma anche politico. Morin ci invita a diventare abitanti della Terra-Patria, di una patria che finalmente non conosce nazionalismi. In questo contesto rifioriscono parole dal sapore schietto e antico come amore e fratellanza. La fratellanza svolge un ruolo fondamentale nella vita di Morin, è sempre presente nei suoi momenti più alti e intensi, dalla Liberazione di Parigi nel 1944 al '68 parigino, al 1989 di Berlino. In breve bisogna andare oltre noi stessi.In questo quadro un ruolo fondamentale è svolto dall'arte che muove le potenze di Eros contro quelle di Thanatos, che unisce e induce a un'esperienza estatica. Ma neppure del mito l'uomo può fare a meno, quel mito che riemerge anche nelle arti più tecnologiche come il cinema - come si ricava dal bellissimo vvolume recentemente comparso ora da Cortina "Sul cinema. Un'arte della complessità" (a cura di Monique Peyrière e Chiara Simonigh). Dobbiamo perderci positivamente
quantomeno un poco per restituire l'umanità a una comunità di destino. Dinanzi alla minaccia della catastrofe incombente su più fronti, la comunità nuova si presenta
non soltanto come un ideale ma soprattutto come un dovere inderogabile al quale Morin ci richiama con un'energia pari solo al genio della sua opera.

L'anticipazione
Luisella Battaglia
Se intendiamo per Bioetica un'etica applicata al Bio-Realm, dobbiamo riconoscere che essa riguarda l'intero mondo vivente, umano e non umano, e, per estensione,
anche l'ambiente in cui si svolgono le varie forme di vita. Campo d'indagine, dunque, in cui si incontrano le più diverse discipline chiamate a riflettere su un tema
centrale - il Bios - alla luce di un fuoco d'interesse unitario, quello etico. In riferimento ai grandi temi della Bioetica, Edgar Morin è certo tra gli studiosi
maggiormente impegnati a studiare l'impatto della "rivoluzione biologica" sulle nostre vite e a segnalare il rischio di una "dittatura degli esperti", con la connessa delega da parte dei cittadini agli "specialisti" per decisioni che riguardano direttamente la loro salute. Per questo c'è bisogno, a suo avviso, di un'etica
dell'informazione, a sostegno di un'etica della responsabilità. Da qui la necessità di operare, per riprendere la sua stessa espressione, per una democrazia
cognitiva, compito che può essere intrapreso solo favorendo la diffusione del sapere oltre l'età scolare e al di là dei recinti universitari. Ma da qui anche
l'idea di una scienza con coscienza che richiami gli scienziati alle loro responsabilità e, soprattutto, l'affermazione della necessità di un pensiero complesso che riunisca ciò che appare disgiunto e sappia discernere le interdipendenze e le retroazioni tra i fenomeni. È questo, come è facile intuire, un tema di rilevanza
centrale per la riflessione bioetica.
Come ci insegna Morin, la complessità è una figura positiva giacché ripropone in termini non più antagonistici alcune coppie di concetti chiave del nostro approccio cognitivo al mondo (ordine/disordine, natura/ragione, spirito/corpo). Ne derivano il riconoscimento delle interrelazioni tra forme e aspetti del vivente, la consapevolezza delle retroazioni che si instaurano tra i fenomeni e il loro contesto e tra ogni contesto e quello planetario (ecologia delle azioni) e, infine, l'accettazione dell'incertezza, cioè degli elementi di imprevedibilità, innovazione e mutamento (fallibilismo). Ed è proprio, ancora, il pensiero della complessità a proporre un importante collegamento tra le specifiche questioni attinenti alle diverse dimensioni della bioetica: medica, ambientale, animale. Quanto alla bioetica medica, fondamentale è una nuova idea della corporeità.
Nella visione sistemica il corpo viene riguardato come un sistema complesso di parti interagenti in cui non è possibile separare il corporeo dal mentale.
Ne discende un'antropologia rinnovata che considera l'essere umano come una totalità integrata di parti e vede la malattia come un prodotto dell'uomo intero:
corpo, psiche, spirito, storia, società. I problemi della salute umana vengono inoltre collocati in una prospettiva ecologica, nella loro correlazione con la salute
ambientale: da qui una definizione più ampia di qualità della vita. Quanto alla bioetica ambientale, la visione del pianeta come sistema, unità complessa,
fisico-biologico-antropologica, in cui la vita è un'emergenza della storia della terra e l'uomo è un'emergenza della storia della vita terrestre, fa sì che la nostra relazione con la natura non possa venir concepita in maniera riduttiva e separata. L'ecologia è significativamente definita da Morin la "prima scienza nuova" in quanto ha restaurato la comunicazione tra uomo e natura facendoci scoprire la fragilità di quest'ultima e avvertire la nostra responsabilità di custodi della vita nel cosmo immenso. La rivoluzione copernicana ha cominciato a inscriversi nella nostra coscienza generando un duplice sentimento: di spaesamento (siamo su un pianeta secondario, in una galassia marginale) e di appartenenza (questa è la nostra terra, la nostra unica dimora). La consapevolezza della comunità di destino terrestre ha costituito - rileva ancora Morin - l'evento chiave di fine millennio: occorre essere solidali con la Terra giacché la nostra vita è legata alla sua. Venendo alla bioetica animale, la filosofia della complessità ci insegna a ripensare in termini non antagonistici la coppia umanità/animalità. Proveniamo da una cultura fortemente antropocentrica che ha visto nell'animalità il disordine, il caos e il male e, per contrasto, nell'umanità l'ordine, la ragione e il bene. Il superamento, sia pure lento e graduale, di tale demonizzazione dell'animalità - grazie soprattutto all'apporto dell'etologia - ha avuto significativi riflessi in ambito etico. Stiamo diventando sempre più consapevoli che l'uomo non può essere l'unico referente del discorso morale. Si apre, così, un orizzonte ulteriore del concetto di bioetica.
Come può configurarsi, all'interno del pensiero della complessità, il rapporto con l'altro da me, il non umano? Una teoria della complessità ci aiuta a prendere
coscienza della dialettica di somiglianza e di diversità che contraddistingue il rapporto uomo/animale e del valore di diversità rappresentato dall'animale che
occorre salvaguardare contro ogni antropomorfizzazione arbitraria. Quali sono, infine, i riflessi di una visione ispirata al pensiero della complessità sul concetto di qualità della vita? Occorre pensare in termini planetari la politica, l'economia, la demografia, la
salvaguardia di tesori biologici, ecologici e culturali regionali. La stessa nozione di qualità della vita dovrà essere conseguentemente ridefinita in relazione a
parametri più ampi che corrispondono agli interessi non solo dell'umanità attuale ma anche delle generazioni future, dell'ambiente e delle altre specie - i nuovi
soggetti morali emergenti dalla bioetica.
La sfida è, dunque, di integrare i principi dell'etica umanistica con i nuovi doveri verso la natura e le altre specie.
Dovremmo pensare, accogliendo pienamente l'invito di Morin, a un nuovo umanesimo, consapevole che l'esclusiva concentrazione sull'uomo significa immiserimento,
atrofia del nostro essere, disumanizzazione. Un umanesimo aperto, planetario, capace di andare oltre le mura della città dell'uomo, nel riconoscimento di nuovi
soggetti che appartengono anch'essi alla comunità di vita della terra.

Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .