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liberismo, liberalismo, liberalsocialismo

TITOLO

Un nuovo sistema paese: democrazia economica e programmazione dello sviluppo Il punto archimedico del Riformismo Socialista Luigi Fasce

DATA PUBBLICAZIONE

01/02/2010

LUOGO

Roma


Ass. LABOUR "Riccardo Lombardi”
Ass. SOCIALISMOeSINISTRA
www.socialistiesinistra.it
Assise Nazionale dei
SOCIALISTI per la costruzione della NUOVA FORZA DELLA SINISTRA Un progetto riformatore per confermare L'IDENTITÀ COSTITUZIONALE della DEMOCRAZIA Italiana
lunedì 1° febbraio 2010 ore 16.00 [Centro congressi Cavour - Via Cavour 50/a – Roma]
Ricomposizione delle tutele del lavoro e nuovo patto tra le generazioni
Redistribuzione del reddito, criterio di valore del modello economico
L’equità ed efficienza fiscale, strumenti del riequilibrio sociale
Un nuovo sistema paese: democrazia economica e programmazione dello sviluppo
Ass. SOCIALISMOeSINISTRA - Ass. LABOUR "Riccardo Lombardi”
I socialisti e le associazioni socialiste firmatarie della dichiarazione del 20/12/2009 per la nuova forza della Sinistra
info@socialismoesinistra.it
Presentazione Convegno e illustrazione del Documento
Renzo Penna
Relazione introduttiva
Franco Bartolomei
Comunicazioni di
M. Beschi, R. Gatti, F. Anghelone
Contributi di
Alfonso Gianni, Paolo Leon
Interventi dei compagni delle Federazioni del PSI e delle Associazioni Socialiste
Presidenza Convegno
A. Germoni, G.De Maio, S. Pasquali
Concludono il dibattito
M. Andreini, S. Ferrari, G. Pesce
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Un nuovo sistema paese: democrazia economica e programmazione dello sviluppo
Il punto archimedico del Riformismo Socialista
Luigi Fasce

E’ questo il tema che ho ritenuto da dover sviluppare perché è il tema della nostra ragion d’essere socialisti riformisti. Se non riusciremo nel compito di riformare radicalmente il capitale fino al punto di farlo diventare di proprietà dei lavoratori noi socialisti avremo fallito la nostra missione politica.
Mantenere il nome di partito socialista italiano e fare come si è fatto negli ultimi 30 anni del riformismo … neoliberista e recentemente con in più sudditanza clericale è alto tradimento ideologico che grida vendetta.

Rinnovato posizionamento a sinistra del PES
Noi socialisti italiani per SEL dobbiamo compierla questa vendetta. E’ scelta obbligata dopo il Manifesto di Madrid del dicembre 2008, poi dopo che i compagni tedeschi di SPD di novembre 2009 che in casa loro si sono liberati dei liberisti e da quanto è stato sancito al Congresso del PES a Praga nel dicembre scorso da tutti i rappresentanti dei rispettivi Paesi che hanno fortemente criticato il lungo periodo liberista e deciso in economia – verde – il nuovo corso socialdemocratico (è mancato il pronunciamento del PSI perché il segretario del nostro partito proprio non c’era, ma c’era Bersani e l’acuto pensatore D’Alema che a parte gli applausi di cortesia alla fin fine il PD si è trovato fuori dalla casa socialista (il PES come tutti sappiamo è tuttora raggruppamento di partiti socialisti europei e non dunque un organico partito transnazionale).
Dunque, la buona notizia è quella che i partiti socialisti dell’U.E. sono rientrati nel loro naturale alveo: laici, liberali in campo dei diritti individuali dei cittadini, ma questi principi valoriali possono essere anche quelli di riferimento di molti altri partiti liberaldemocratici, mentre quello che invece è peculiarità esclusiva del socialismo riformista è quella di essere i porta bandiera dei diritti del lavoro e sociali.
Senza questa missione, cessa la stessa ragion d’essere socialista. E’ quello che è successo nell’Unione Europea nell’ultimo trentennio.
Mentre fino agli anni 70 il riformismo socialista in ambito economico era ancora in fase di espansione: nazionalizzazioni di im prese (ENEL) gestione pubblica di imprese (IRI, ENI, ecc.),trasporti pubblici (FF.SS, Autostrade, traghetti, flotta navale e aerea pubblica); in ambito bancario, la Banca d’Italia era dello Stato italiano, diverse banche erano d’interesse pubblico; poi riforma scolastica, sanitaria). Dopo ha dilagato l’armata liberista mondiale prima con Reagan, Thatcher, supportata dal conservatorismo cristiano-cattolico, poi con Blair e Schroeder che se ne sono fatti paladini all’interno del fronte socialista in Europa.
Contesto politico dell’ Unione Europea
La brutta notizia è che ci troviamo a operare in un contesto europeo “marcito” dalle politiche neoliberista dell’ultimo trentennio che si sono trasformate in leggi nazionali e europee che hanno quasi totalmente sradicato negli stati membri dell’U.E. le basi di economia mista e di gestione pubblica di beni e servizi essenziali.
Basti ricordare il trattato di Maastrich e l’impossibilità dei governi, tanto dell’unione Europea tanto dei governi nazionali di poter scalfire anche minimamente scelte monetarie e finanziarie (penso sappiate tutti che la nostra Banca d’Italia non è più pubblica ma privata, e il padrone della stessa è un pool di banche). Anche il Trattato di Lisbona in economia lascia intatto l’impianto liberista tanto gradito alle Multinazionali reali imperi economico finanziario internazionali al di sopra degli Stati. Se si aggiungono le leggi nazionali, parliamo qui ora solo dell’Italia, che hanno svenduto al privato quasi tutte le grandi imprese (cito solo le acciaierie) e servizi pubblici quali le autostrade, trasformato in Multinazionali imprese come ENI ENEL (questa ultima è diventata l’impresa scelta per costruzione e gestione delle centrali nucleari) e con la chiusura del cerchio che vede la privatizzazione di tutti i possibili beni e servizi pubblici (Legge 133 art. 23 bis ACQUA, TRASPORTI, ENERGIA, RIFIUTI FUORI DAL CONTROLLO PUBBLICO agosto 2008),a cui ha fatto seguito il recente Il decreto legge 25 settembre 2009, n. 135 (per l’adempimento degli obblighi comunitari all'articolo 15, modifica la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica) che rende definitivamente privata anche l’acqua, cancellando l’intero titolo III della Costituzione dedicato ai rapporti economici. E nessuno neanche a sinistra ha denunciato questa voragine ampia e profonda che si è verificato all’interno della nostra Carta Costituzionale.
Quello che in parte è stato realizzato del titolo terzo è stato annullato da leggi ordinarie liberiste nell’ultimo ventennio, mentre alcuni punti qualificanti di una visione socialdemocratica quale è la cogestione delle imprese non è mai stata nemmeno prese in considerazione a parte qualche convegno negli anni 70 mi pare, posso sbagliare, proprio dai lombardiani della CGIL.
Mentre in Germania e in Svezia la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è stata in buona parte realizzata.
Per non parlare del paradosso sul piano meramente politico per cui dopo tanto parlare di federalismo e autonomia municipale da parte della Lega, questi si prestino a varare leggi nazionali che d’imperio cancellano tali autonomie. I partiti di sinistra quando cominceranno a denunciare la Lega di queste profonde contraddizioni oltre che a impegnarsi più decisamente sul fronte della tutela delle libertà individuali per fermare xenofobia, razzismo e omofobia di questi nuovi nazisti.
Dunque il pur recente ravvedimento ideologico del PES di fronte a una UE liberista vede i socialisti in forte difficoltà per cambiare l’attuale modello di economia. Il percorso è tutto in salita ma dobbiamo farlo e noi socialisti italiani dobbiamo fare la nostra parte.
Certo l’attuale dirigenza del PSI è restata decisamente liberista nonostante l’art.1 al punto 1 dello statuto che così precisamente recita
<1. Il Partito Socialista nasce dalla convergenza di differenti tendenze culturali e politiche ispirate al pensiero socialista, socialdemocratico, liberal-socialista, laico e nella pluralità delle esperienze storiche riconducibili alla tradizione democratica e riformista della sinistra e del movimento operaio italiano. Il Partito assume queste tendenze consapevole della necessità della loro continua rielaborazione per reggere il confronto con le sfide della modernizzazione e del mondo globalizzato, nonché per contribuire alla costruzione di una società aperta e plurale, libera e solidale, giusta e sicura, fondata sulla valorizzazione del merito e sulla capacità di soddisfare i bisogni economici, umani, civili, sociali ed ecologici dei cittadini. Ci riconosciamo nei principi sanciti dalla Costituzione Italiana, per una economia sociale di mercato, per il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, e nell´ottica del riformismo socialista promuoviamo la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali delle imprese.>(cionostante Nencini lo ignora e elogia ancora il blairismo definendolo alto pensiero del socialismo. Si capisce con questo perché sia diventato indifferente per alcuni dirigenti essere tanto di qua che di là. L’invenzione della cosiddetta “terza via” opzione del “liberismo socialista” – questo si che è un ossimoro illogico ma realizzato in Cina - ci ha regalato questa terra di nessuno tra destra berlusconiana e … PD-PSI, Bersani-Nencini).
Allora fatta l’impietosa diagnosi che cosa fare ?
Certamente ritornare a economia mista, sviluppare l’economia verde, recuperare alla mano pubblica beni e servizi di pubblica utilità ma non basta ancora visto che la mano privata, quella ferocemente competitiva animata dagli “spiriti animali” ha quasi totalmente annientato la mano pubblica quella del bene comune, solidaristica, cooperativistica, quella della programmazione economica, quella dei piani industriali, quella che detiene, e banche d’interesse pubblico, banca d’Italia per prima, che impiega fondi investimenti pubblici e indirizza gli ingenti utili delle Fondazioni bancarie a fini sociali. Questo solo per ripristinare quanto prescritto nel titolo III della nostra Carta Costituzionale. Programma politico già di per sé ciclopico visto che per costruire questo sistema economico ci sono voluti retaggi liberali del primo novecento, welfare municipale, pubblicizzazione delle ferrovie, e fascisti, poste italiane, IRI, INAIL, INPS, ecc., sono stati necessari i primi ottanta anni del novecento e distrutto in un solo vent’ennio di sfrenato liberismo.
Ma questo è il modello a noi tutti noto che si tratta di ricostruire non tralasciando di rivisitarlo alla luce del principio di tutela ambientale e di regolazione di finanza globalizzata e di ripristino di garanzie internazionali dei lavoratori in qualunque parte del mondo si trovino. Occorre rimettere in servizio l’ILO Industrial Liaison Office o come viene meglio ricordato • International Labour Organization - Organizzazione Internazionale del Lavoro mandato in sonno negli ultimi trenta anni ma lasciando ben svegli gli emissari del liberismo mondiale WTO, Banca Mondiale e Fondo Investimento mondiale Internazionale, che dei lavoratori del mondo ne hanno fatto merce a bassissimo costo, sfruttati in modo disumano peggio che al tempo degli schiavi. A questo ricordo sempre con Giovanni Sartori che non si stanca mai di ripeterlo, la madre di tutti i mali, la questione dell’espansione demografica nel terzo e quarto mondo. Questione da governare anch’essa globalmente al pari della finanziarizzazione dei mercati.

Democrazia economica
Per quanto riguarda il più ampio discorso che questo tema include rimando a alla mia relazione fatto al convegno di Genova del GdV il 20 giugno 2009 “Nel solco del riformismo socialista quale modello di economia per il terzo millennio” e sull’attualità della socialdemocrazia di Bad Godesberg al mio intervento al convegno di Volpedo 2 nell’autunno 2009 che potete rintracciare in www.circolocalogerocapitini.it
Qui intendo concentrami sulla questione del capitale che detiene i mezzi di produzione di marxiana buona memoria e i modi di trasferire ai lavoratori il capitale.
Questo il punto archimedico di un radicale riformismo socialista.
Abbiamo constatato che il capitalismo di stato ovvero la statalizzazione dell’economia e non solo di quella ma anche della proprietà privata in URSS è stato un sistema sbagliato che le vicende storiche hanno già fatto fallire impietosamente. Così come lo ha fatto fallire la svolta in Cina che dall’originale modello economico comunista di Mao si è trasformato in comunismo liberista, sistema inconcepibile sul piano logico che i comunisti cinesi però sono riusciti a tradurla in cruda realtà, almeno per i lavoratori. Il governo politico e con la proprietà delle banche in mano alla casta del partito comunista e “laissez faire” a valle nella mischia competitiva del mercato. Il prezzo disumano per i lavoratori è sotto gli occhi di tutti. Svolta che ha determinato anche la distruzione di reti di welfare pubblico quali scuola e sanità. Anche qui faccio notare l’intreccio spaventoso tra mercato selvaggio e fenomeno demografico, Cina con 1miliardo e 417 milioni (incremento di +11,9% entro il 2050), India 1 miliardo e 600 milioni (con un incremento di 54,8%). L’India che è formalmente uno stato democratico con al governo il Partito del Congresso anch’esso formalmente socialista.
Il piano Meiner
Far passare di mano il capitale dai padroni in carne ed ossa che ancora esistevano 40 anni orsono ci hanno provato assieme al Sindacato i compagni socialdemocratici svedesi.
Aldilà della cogestione dei lavoratori delle grandi e medie aziende acquisita per legge negli anni 60-70, negli anni 70-80 si cercò da parte del governo socialdemocratico di Olof Palme di attuare il piano Meidner. Il disegno di legge che lo prevedeva fu bloccato dall’assassinio di Olof Palme e poi accantonato dai governi successivi tanto socialdemocratici che conservatori.
Si era già entrati nel flusso dell’offensiva liberista mondiale che come già detto ha avuto il suo epicentro negli USA di Reagan e poi nell’ Inghilterra della Thatcher a cui si prostrarono, dopo il crollo dell’URSS dei primi anni novanta, anche i governi socialisti dell’U.E., prontamente convertiti al .
pensiero unico del neoliberismo-teocon.
Sarà pensiero paranoico ma credo che i mandanti del killer di Palme, mai trovato, abbiamo molto a che fare con quelli che hanno fomentato e appoggiato il golpe di Pinochet in Cile.
A quel tempo le cose andavano così, appoggio a giunte militari in America del Sud e in Europa strategia della tensione e di tanto in tanto stragi quale contr’altare al terrorismo rosso.
Impossibile riprendere il filo rosso del riformismo socialista nell’ultimo ventennio liberista ma dopo la crisi delle borse mondiali partita da Wall Street alla fine del 2008 e tutt’ora perdurante con gli effetti devastanti sulla economia reale, pare giunto il momento di riprendere lena per parlare di riformismo socialista e ripartire dal suo punto archimedico, quello di mettere il capitale nelle mani dei lavoratori. Per fare questo abbiamo un preciso punto di riferimento, il Piano Meidner che pur essendo stato messo in freezer per ben trenta anni resta a mio avviso sostanzialmente valido. Ce ne parla stesso Rudolf Meidner nel suo libro “Capitale senza padrone – Il progetto svedese per la formazione collettiva del capitale” edito da EL Edizioni lavoro in Italia nel 1980 (la prima edizione svedese con titolo Prisma-Lo è del 1976).
Dal libro si comprende molto bene il grado di democrazia raggiunta all’interno del sindacato svedese (Confederazione generale dei sindacati svedesi – Lo) - che ha coinvolto nel progetto i lavoratori formulando questionari e analizzando risposte, cosa abbastanza inconsueta, secondo la mia esperienza, qui in Italia. Partecipazione dei lavoratori che ha portato alla decisione di formulare il piano. Cito testualmente.
Sulla base della condivisione dei lavoratori dello scopo lo studio del progetto andò avanti per diversi anni e fu presentato in diverse occasioni a congresso del partito socialdemocratico svedese.
Scopo che viene ben evidenziato nel libro con le seguenti parole.
Il piano dobbiamo dirlo aveva anche irriducibili nemici tanto a destra, cosa assai ovvia, ai capitalisti svedesi non garbava per nulla avere un consistente gruppo di minoranza in assemblea degli azionisti e eletti molto più forti nel consiglio di amministrazione che non quelli imposti in base alla legge sulla cogestione e motivavano il rifiuto non sulla base di vedersi gradualmente espropriato il capitale ma per questioni di burocratizzazione della gestione aziendale. Insomma non si potevano prendere fulminee decisioni necessarie al successo dell’impresa. Possiamo immaginare invece che la reale avversione fosse quella di perdere la proprietà dei mezzi di produzione sempre avuta a disposizione del capitalista-padrone.
Erano contrari perché
Ma erano anche nemici acerrimi i comunisti che volevano il totale superamento del capitalismo e lo vedevano nel modello del capitalismo di stato dell’ URSS.
Era stata individuata anche una terza categoria di oppositori al Piano, quelli che in assoluto non vogliono cambiamenti di sorta. Noi diremmo i qualunquisti.
Tuttavia le tre categorie di nemici del progetto di appropriarsi del capitale del padrone erano una ristretta minoranza. Tanto basta.
In buona sostanza si trattava di accumulare soldi provenienti da trattative con il padrone, di far fruttare i proventi dei fondi pensione (in Svezia mi pare di aver capito che ci fossero fondi pensione privati) e gradatamente andare costituire fondi azionari dei lavoratori. Qui in Italia si potrebbe prevedere che il TFR lasciato in azienda frutti, a un tasso concordato a livello governativ,o un monte azionario da immettere nel Fondo. Altresì, visto i ricorrenti vari incentivi imprese, penso alla Fiat, si dovrebbero attribuire in proporzione azioni al Fondo dei lavoratori)
Il dibattito che questi fossero accentrati a livello nazionale, regionale o aziendale è dettaglio al momento poco importante da chiarire. –
Resta valido a mio avviso il concetto di creare un fondo azionario dei lavoratori.
Fondo che pur autonomo giuridicamente doveva essere emanazione del Sindacato.
Ci sarò molto da dibattere su questo punto per riuscire a non fare diventare il fondo azionari dei lavoratori in conflitto d’interessi col sindacato in special modo nelle vertenze di rinnovo contratto e di tutto quanto attiene le politiche industriali con rappresentanti delle organizzazioni padronali.
Non entro nel merito degli aspetti tecnici, giuridici, tecnici, finanziari che la realizzazione di questo ente necessariamente comporta.
Penso che se questo progetto avrà seguito nel nostro prossimo partito di sinistra di governo ci sarà bisogno di molti contributi di alto spessore professionale. Per questo possiamo pensare fin d’ora a un gruppo di studio.
Credo che diversamente dagli anni 70, quando si realizzo il Piano Meidner il capitalista o il gruppo capitalista con più del 51% del capitale era ben individuabile in Svezia, ma era così anche in Italia con Agnelli, attualmente il capitale di ogni singola impresa è fortemente diffuso nei mercati finanziari di tutto il mondo e che tutt’alpiù si può parlare di azionista di riferimento con un pacchetto di azioni molto al disotto del 51%. Da verificare, ma si può ritenere che chi detiene poco più del 20% del capitale azionario può ritenersi il “padrone” e nell’assemblea annuale degli azionisti riesca a fare il bello e il cattivo tempo. E pur sempre questo “padrone” deve subire le decisioni dei CdA.
In entrambi i casi i rappresentanti del fondo azionario collettivo dei lavoratori – tanto in assemblea quanto in CdA, magari assieme ai rappresentanti dei lavoratori previsti dalle leggi sulla Cogestione, diritto mai realizzato in Italia sebbene previsto dalla nostra Costituzione (Art. 46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.), potrebbero diventare uno straordinario strumento di potere che oltre a contribuire attivamente indirizzare le scelte aziendali.
Scelte aziendale che certamente non potranno essere quelle di delocalizzare fabbriche e quant’altro (lasciando sul lastrico i lavoratori) in Paesi del terzo e quarto mondo per sfruttare in modo ignominioso i diseredati di quel mondo.
Mi rendo conto che tutto questo pur ragionevole, praticabile ma radicale riformismo socialista nell’attuale disastrato contesto europeo è progetto di difficile realizzazione. Pur tuttavia dobbiamo averla questa prospettiva senza la quale o stagnazione dell’attuale sistema liberista o fughe in avanti nell’utopico sistema comunista di là da venire.

Piano per la riconversione di medie piccole imprese
Mentre a proposito del Piano Meidner si trattava di grandi aziende tanto che si è parlato società azionarie e delle modalità di trasferire queste azioni dal capitalista al lavoratore in corso d’opera, ovvero mentre l’impresa è attiva che fa utili e magari in fase di sviluppo aziendale, oggi in Italia assistiamo quotidianamente a chiusura, fallimentare di diverse centinai di medie e piccole aziende o nel caso di multinazionali di delocalizzazione in Paesi esteri di attività lavorative. I lavoratori con le loro organizzazioni sindacali (è il caso delle Multinazionali) che in molti casi non riescono nemmeno a rintracciare la controparte padronale. E’ dissolta nel limbo dei mercati finanziari. Il loro interlocutore è il tagliatore di teste di turno pagato profumatamente da non mandante ignoto (significativo a questo proposito il film attualmente in programma nelle sale italiane “Tra le nuvole” con Gorge Clooney). Siamo di fronte a una situazione del tutto irreale e anomala rispetto al tempo del “padrone delle ferriere” in carne ed ossa, per cui i lavoratori (dalla dirigenza in giù) ora sono costretti a fare manifestazioni eclatanti per rendersi visibili a opinione pubblica e pubblici poteri nel tentativo di riuscire a trovare appoggi per la loro difesa del posto di lavoro. Confidando che il tagliatore di teste comunichi a chi di dovere che opinione pubblica e pubblici poteri sono allertati e potrebbero produrre effetti negativi per le quotazioni in borsa dell’azienda o per le possibili contrazioni di vendita o negative conseguenze di immagine della multinazionale stessa. In questi casi le vertenze odierne cercano di sollecitare questi fattori generali e a volte con qualche successo … quasi sempre temporaneo. Per cui prima o poi i lavoratori si trovano licenziati.
Comincia il percorso dei singoli lavoratori di quanto previsto dalle leggi sulla disoccupazione e politiche del lavoro. Viene in questo modo distrutta l’unità produttiva che è la risultante di singole professionalità tecniche e amministrative e ogni singolo lavoratore è obbligato a iniziare un iter formativo individuale quasi sempre estraneo alla attività svolta nella azienda fallita. Abbiamo per questo leggi per cui sono stati attrezzati assessorati provinciali alle politiche del lavoro che si prendono carico dei lavoratori disoccupati fornendo loro profilo professionali, percorsi formativi, vari e diversi compresi quelli per “soggetti deboli”. E ciononostante si è così verificato un grave danno psicologico (ci sono persone che dopo un licenziamento non si riprendono dal trauma, i recenti casi di suicidio riportati dai media TV e giornali rivelano soltanto la punto dell’iceberg) ma con la disintegrazione di una realtà produttiva si determina altresì un gravissimo danno socio-economico non ancora valutato nella sua ampia e devastante portata.
Dunque strumenti abbastanza adeguati, ma insufficienti evitare queste conseguenze negative.
Penso che le e persone che sono costrette a intraprendere il nuovo percorso formativo che le politiche del lavoro attualmente prevedono debbano essere ridotte al minimo possibile e per ottenere questo risultato occorre intervenire prima. Come ? Si tratta di ideare un programma di grande rilevanza sociale che va a riempire il vuoto legislativo (Stato-Regioni) e le politiche attive del lavoro attualmente poste in essere da parte delle pubbliche amministrazioni.
La rapida formulazione di questo programma e sua pronta applicazione è imposta dall’attuale crisi finanziario-economica che vede oramai centinaia di piccole e medie aziende in crisi. Le cronache di questi eventi tanto sui giornali che in TV sono oramai fatti quotidiani.

Da una parte, attualmente non esistono leggi e strumenti istituzionali che prevedano, di fronte alla crisi di una azienda e nonostante tutti i possibili interventi tesi a sanarla, compresa cassa integrazione ordinaria e straordinaria, una qualche partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale (ricordo sempre l’art.44 della nostra Costituzione),
D’altra parte, così come stanno le cosa attualmente, in caso di annunciata chiusura di una impresa non viene prevista alcuna la possibilità per i lavoratori di potersi “comprare” l’azienda.
Eppure occorre quanto prima trovare il modo per cui siano i lavoratori a tagliare la testa del drago. Come ?
1) quella di riuscire a cogestire l’azienda assieme al padrone capitalista che si è rivelato inadeguato a far sviluppare l’impresa e l’ha portata sull’orlo del fallimento;
2) di potersi comprare i l’impresa in caso di fallimento conclamato meglio ancora se solo annunciato.

Le esperienze a cui ispirarsi ci sono, internazionali e nazionali.
Abbiamo già degli esempi concreti come quelli dell’Argentina. Non so dire in quanti casi, ma di almeno uno ho traccia, quello della fabbrica di ceramiche Zanon, che dopo la serrata padronale è stata occupata dai lavoratori (tutti compresi, dai dirigenti all’ultimo apprendista) al tempo della crisi economico-finanziaria Argentina a cavallo del 2000 (a proposito dell’insurrezione del popolo argentino che ne è seguito dovrei fare qui un bilancio troppo lungo e complesso che vi evito per il poco tempo che mi qui è concesso, magari prossimamente ne riparliamo), che in autogestione hanno continuato la produzione: Mentre a proposito del Piano Meidner si trattava di grandi aziende tanto che si è parlato società azionarie e delle modalità di trasferire queste azioni dal capitalista al lavoratore in corso d’opera, ovvero mentre l’impresa è attiva che fa utili e magari in fase di sviluppo aziendale, oggi assistiamo quotidianamente a chiusura, fallimentare o delocalizzazioni varie, di diverse centinai di medie e piccole aziende.
I lavoratori, è il caso di medie aziende o di sedi italiane di Multinazionali, in molti casi non riescono nemmeno a rintracciare la controparte padronale. E’ dissolta nel limbo dei mercati finanziari. Il loro interlocutore è il tagliatore di teste di turno pagato profumatamente da non mandante ignoto (significativo a questo proposito il film attualmente in programma nelle sale italiane “Tra le nuvole” con Gorge Clooney). Siamo di fronte a una situazione del tutto irreale e anomala rispetto al tempo del “padrone delle ferriere” in carne ed ossa, per cui i lavoratori (dalla dirigenza in giù) ora sono costretti a fare manifestazioni eclatanti per rendersi visibili a opinione pubblica e pubblici poteri nel tentativo di riuscire a trovare appoggi per la loro difesa del posto di lavoro. Confidando che il tagliatore di teste comunichi a chi di dovere che opinione pubblica e pubblici poteri sono allertati e potrebbero produrre effetti negativi per le quotazioni in borsa dell’azienda o per le possibili contrazioni di vendita o negative conseguenze di immagine dell’azienda stessa. Le vertenze odierne specie se si tratta di multinazionali cercano di sollecitare questi fattori generali e a volte con qualche successo … quasi sempre temporaneo.
Occorre dunque trovare il modo per cui siano i lavoratori a tagliare la testa del drago, quella del padrone capitalista e comprarsi l’impresa. Cosa attualmente assai facile se si vuole fare. Abbiamo già delle esperienze positive fatte in grandi aziende in Argentina, un solo esempio per tutto la fabbrica di piastrelle Zanon, che dopo la serrata padronale è stata occupata dai lavoratori (dai dirigenti all’ultimo apprendista) negli anni 80 al tempo della crisi Argentina, in autogestione hanno continuato la produzione e in seguito con sentenza del tribunale sono diventati giuridicamente “padroni” dei mezzi di produzione.

qua.




Mentre a proposito del Piano Meidner si trattava di grandi aziende tanto che si è parlato società azionarie e delle modalità di trasferire queste azioni dal capitalista al lavoratore in corso d’opera, ovvero mentre l’impresa è attiva che fa utili e magari in fase di sviluppo aziendale, oggi assistiamo quotidianamente a chiusura, fallimentare o delocalizzazioni varie, di diverse centinai di medie e piccole aziende.
I lavoratori, è il caso di medie aziende o di sedi italiane di Multinazionali, in molti casi non riescono nemmeno a rintracciare la controparte padronale. E’ dissolta nel limbo dei mercati finanziari. Il loro interlocutore è il tagliatore di teste di turno pagato profumatamente da non mandante ignoto (significativo a questo proposito il film attualmente in programma nelle sale italiane “Tra le nuvole” con Gorge Clooney). Siamo di fronte a una situazione del tutto irreale e anomala rispetto al tempo del “padrone delle ferriere” in carne ed ossa, per cui i lavoratori (dalla dirigenza in giù) ora sono costretti a fare manifestazioni eclatanti per rendersi visibili a opinione pubblica e pubblici poteri nel tentativo di riuscire a trovare appoggi per la loro difesa del posto di lavoro. Confidando che il tagliatore di teste comunichi a chi di dovere che opinione pubblica e pubblici poteri sono allertati e potrebbero produrre effetti negativi per le quotazioni in borsa dell’azienda o per le possibili contrazioni di vendita o negative conseguenze di immagine dell’azienda stessa. Le vertenze odierne specie se si tratta di multinazionali cercano di sollecitare questi fattori generali e a volte con qualche successo … quasi sempre temporaneo.
Occorre dunque trovare il modo per cui siano i lavoratori a tagliare la testa del drago, quella del padrone capitalista e comprarsi l’impresa. Cosa attualmente assai facile se si vuole fare. Abbiamo già delle esperienze positive fatte in grandi aziende in Argentina, di cui provo solo a riportare qualche frase che però riesce a farci intendere il clima di quel periodo >Il 16 e 17 febbraio 2002 in un atmosfera elettrica fu compiuto un passo decisivo in questa direzione con la convocazione dell’assemblea nazionale di duemila delegati eletti in tutto il paese in rappresentanza delle organizzazioni dei lavoratori disoccupati, ma anche da sezioni locali di sindacati, gruppi di lavoratori in lotta, rappresentanti delle fabbriche occupate e delle assemblee popolari cittadine, ecc. L’arrivo delle delegazioni tra cui spiccavano quelle delle fabbriche occupate, in particolare la Ceramica Zanon di Neuquen e l’industria tessile Brukman di Buenos Aires venne salutato da una folla di migliaia di persone. Il giorno seguente i delegati si riunirono per elaborare una piattaforma e un programma di lotta comune fra disoccupati e lavoratori.>
Emblematico il caso della fabbrica ceramiche Zanon, che ai primi anni del 2000 al tempo della crisi Argentina dopo la serrata padronale fu occupata dai lavoratori (dagli alti dirigenti fino all’ultimo apprendista), e in autogestione hanno continuato la produzione, e in seguito, con una recente sentenza del tribunale di Buenos Ayres, i lavoratori sono diventati giuridicamente “padroni” dei mezzi di produzione.
Anche negli USA la crisi finanziaria ha prodotto un evento che a mio avviso epocale, proprio perché si è concretizzato nella patria del capitalismo prima padronale (Ford una citazione per tutte) e poi del capitalismo finanziario che ha causato crisi e fallimento non solo di aziende Finanziarie che fabbricano soldi da soldi ma anche di imprese materiali, quali le fabbriche di automobili, per cui la Chrysler è stata comprata dal fondo pensione dei lavoratori che attualmente ne detiene il 55% del capitale azionario. Mentre la tanto strombazzata Fiat ne ha acquisito soltanto il 25%. Di i fronte a questi dati si può realisticamente supporre che Marchionne, in conflitto di interessi tra azionisti Fiat e azionisti Chrysler sia costretto a fare gli interessi dell’americana Chrysler piuttosto di quelli della italiana Fiat. Vai a sapere perché lavoratori della Fiat dopo i ricorrenti reiterati interventi dello stato italiano in favore degli Agnelli padroni non abbiamo mai rivendicato una loro presenza in consiglio di amministrazione. Questo apre la questione di come reagiranno i Sindacati italiani a queste mie proposte, che spero diventino anche, prima di noi tutti socialisti qui riuniti e poi anche di SEL.
Ma senza andare così lontano abbiamo esperienze italiane certamente meno eclatanti ma significative a cui possiamo ispirarci per formulare il Piano italiano per l’autogestione dei lavoratori delle imprese.
Ho recentemente avuto informazione della quasi quarantennale esperienza in questo campo della MAG-Verona. Allego all’intervento una scheda riepilogativa assai aggiornata delle loro attività.
Piano che può essere utilizzato tanto per la creazione di nuove aziende tanto, e a maggior ragione, considerati i tempi, per quelle in crisi e per quelle fallite.
Ci sono dunque le condizioni già nell’immediato per sviluppare un programma per cui i lavoratori si approprino del capitale.
Il programma da predisporre deve prevedere due possibili casi
1) di crisi dell’azienda ma ancora nella coda finale prima del fallimento o di semplice dichiarazione di chiusura della sede dell’impresa nei casi di aziende multinazionali;
2 ) dopo che si sia decretata la chiusura dell’azienda per fallimento o per soppressione definitiva della sede.

Attualmente nel primo caso, magari passando per un periodo di cassa integrazione ordinaria o straordinari (pagata dallo stato con le tasse dei cittadini), l’azienda viene salvata e tutto ritorna come prima, il padrone del capitale può bellamente continuare a gestire l’azienda come meglio gli pare, mentre i lavoratori, passivi, si tengono il posto di lavoro, magari cominciando l’iter della diminuzione del salario il nostro Piano deve prevedere che l’azienda salvata con il contributo di risorse pubbliche anche rilevanti non ritorni più alle condizioni originari ma che ai lavoratori venga assegnato un ruolo attivo nella gestione aziendale. Si tratta in definitiva solo di attuare quanto previsto dall’art.44 della nostra carta costituzionale.
Mentre nel secondo caso con intervento pubblico si mettano i lavoratori in grado di rilevare l’azienda tanto in forma cooperativistica se trattasi di piccola impresa, tanto se trattasi di grande o media impresa prevedendo un fondo azionario del lavoratori-padroni dell’azienda. Tra le e rivendicazioni dei lavoratori argentini durante la crisi c’erano pure la richiesta di nazionalizzare alcune banche con lo scopi preciso di investire in imprese autogestite.
Come procedere qui da noi in Italia in concreto ?
Si tratta di formulare il Piano compiutamente in tutte le sua parti e poi stilare una proposta di legge regionale da fare approvare e così tradurre il Piano in linee attuative da parte delle Amministrazioni Provinciali che in questo modo riusciranno a riempire l’attuale lacuna delle politiche del lavoro.
Speriamo che a proporre questa legge siano i consiglieri di SEL eletti alla prossima tornata elettorale !

Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .