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CULTURA POLITICA

TITOLO

I nuovi diritti che hanno cambiato il mondo Una lezione nel nome di Norberto Bobbio di STEFANO RODOTA'
  introduzione di Giampietro Sestini
DATA 27/10/2004
LUOGO Repubblica

Riporto in calce l'articolo di Stefano Rodotà
pubblicato in prima pagina da la Repubblica di ieri 26
ottobre. E' una parte del suo intervento svolto al
teatro Carignano di Torino nell’ambito del ciclo di
“Lezioni Norberto Bobbio”. Rodotà individua
chiaramente il grande problema che oggi l’umanità ha
di fronte: globalizzazione attraverso il mercato o
attraverso i diritti? E poi: quali diritti? Non tutti
i diritti sono uguali ed hanno la stessa intensità nel
tempo e nelle varie zone del mondo. L’Europa, ad
esempio, è portatrice di valori storici diversi da
quelli degli Stati Uniti. Dalle “pacifiche”
rivoluzioni del Novecento sono emersi nuovi diritti
riguardanti la persona in quanto tale. Crescono i
grandi diritti collettivi, di cui sono portatori
popoli ed etnie. Sempre di più emerge la
consapevolezza che il futuro del nostro pianeta è
legato a scelte e decisioni non di singoli stati ma
dell’intera umanità. Ma chi parla (e chi decide) in
nome dell’umanità e delle generazioni future?
Sono riflessioni che ci riguardano tutti.
Cari saluti.
Giampietro Sestini


Questa è una convinta e dichiarata apologia dei
diritti in un tempo in cui l´allungamento del loro
catalogo suscita pure diffidenze, e persino ripulse:
perché di essi potrebbe farsi un uso imperialistico,
imponendo ad altri una cultura dominante; perché
l´irrigidimento di dinamiche sociali nello schema dei
diritti potrebbe tradursi in un ostacolo alla libera
azione politica; perché non dovrebbero chiudersi in
gabbie giuridiche prorompenti esigenze di vita; o
perché, al contrario, il riconoscimento di un diritto
potrebbe contrastare inviolabili leggi di natura. Ma
la realtà, la cronaca d´ogni giorno parlano piuttosto
di violazioni gravi e continue di diritti, e di
invocazioni dei diritti come strumenti di liberazione
individuale e collettiva. Proprio da qui partono le
mie considerazioni apologetiche, temperate dal
necessario spirito critico.
Così, un´espressione come «nuovi diritti» dev´essere
considerata, a un tempo, accattivante e ambigua. Ci
seduce con la promessa di una dimensione dei diritti
sempre capace di rinnovarsi, di incontrare in ogni
momento una realtà in continuo movimento. Al tempo
stesso, però, lascia intravedere una contrapposizione
tra diritti vecchi e diritti nuovi, come se il tempo
dovesse consumare quelli più lontani, lasciando poi il
campo libero ad un prodotto più aggiornato e
scintillante. Si parla di «generazioni» dei diritti, e
questa terminologia, identica a quella in uso nel
mondo dei computer, potrebbe indurre a ritenere che
ogni nuova generazione di strumenti condanna
all´obsolescenza e all´abbandono definitivo tutte le
precedenti.
Ma il mondo dei diritti vive di accumulazione, non di
sostituzioni, anche se la storia e l´attualità sono
fitte di esempi che mostrano come programmi deliberati
di mortificazione della libertà passino proprio
attraverso la contrapposizione tra diverse categorie
di diritti. Se ne enfatizzano alcune, per cancellare
tutte le altre. Le dittature concedono vantaggi
materiali e sopprimono diritti civili e politici,
prospettano uno scambio tra qualche «nuovo» diritto
sociale e i «vecchi» diritti di libertà: questi
sarebbero un insostenibile lusso quando vi sono
bisogni elementari da soddisfare.
E così i regimi autoritari si trincerano dietro la
logica cinica, e disperata, che nell´Opera da tre
soldi di Bertolt Brecht fa dire a Mackie Messer «prima
la pancia, poi vien la morale».
Ai diritti, vecchi o nuovi che siano, non si può
dunque guardare senza una continua attenzione per le
condizioni storiche che ne condizionano il
riconoscimento e l´attuazione. Norberto Bobbio ce lo
ha ricordato infinite volte, con parole forti, perché
ai diritti si addice il linguaggio della passione
civile. «L´attuazione di una maggiore protezione dei
diritti dell´uomo è connessa con lo sviluppo globale
della civiltà umana. E´ un problema che non può essere
isolato sotto pena non dico di non risolverlo, ma
neppure di comprenderlo nella sua reale portata. Chi
lo isola lo ha già perduto. Non si può porre il
problema dei diritti dell´uomo astraendolo dai due
grandi problemi del nostro tempo, che sono i problemi
della guerra e della miseria, dell´assurdo contrasto
tra l´eccesso di potenza che ha creato le condizioni
per una guerra sterminatrice e l´eccesso d´impotenza
che condanna grandi masse umane alla fame».
Questa è ancora oggi la condizione nella quale
guardiamo ai diritti. La guerra è sempre stata
considerata come una situazione che legittima
sospensioni di molti diritti. Ma che cosa accade
quando la guerra si fa «infinita»? Diventano infinite
anche le limitazioni dei diritti? La miseria è sempre
stata percepita come l´impedimento maggiore
all´effettivo godimento dei diritti. Ma che cosa
accade quando essa non è più intesa come un ostacolo
da rimuovere, bensì come la giustificazione della
negazione di un diritto - del bambino a non lavorare,
del lavoratore a non essere sfruttato - con
l´argomento che, altrimenti, si colpirebbe la
competitività dei paesi in via di sviluppo? Non a caso
si è parlato polemicamente di un «imperialismo dei
diritti umani», al quale i paesi avanzati farebbero
ricorso proprio per limitare la forza economica dei
concorrenti.
Mentre parliamo di nuovi diritti, dobbiamo fare i
conti con una contraddizione inedita. Guerra e povertà
ci parlano di un consolidamento della negazione dei
diritti. Le pacifiche rivoluzioni di questi anni -
delle donne, degli ecologisti, della scienza e della
tecnica - ci mettono di fronte ad una fortissima
espansione della categoria dei diritti, ad un
allungamento del loro catalogo.
Come si compongono queste spinte? Quale età dei
diritti ci avviamo a vivere?
Non sempre i nuovi diritti sono benvenuti. Ad alcuni
si guarda come ad una inammissibile violazione della
natura. Ad altri come ad un intollerabile intralcio al
libero funzionamento del mercato. Il campo di
battaglia, che lo sguardo presago di Alexis de
Tocqueville aveva individuato nel diritto di proprietà
ancor prima di Marx, si estende oggi fino a
comprendere l´intero ambiente e la stessa vita, in un
mondo che esige sempre più d´essere considerato come
uno. Davanti a noi si prospettano alternative
radicali.
Globalizzazione attraverso il mercato o attraverso i
diritti?
Quali sono i diritti destinati ad unificare
il mondo, e che devono essere considerati patrimonio
inalienabile della persona, quale che sia il suo
sesso, la sua nazionalità, religione, origine etnica?

Il millennio si è aperto con un fatto che può essere
considerato simbolico - la proclamazione della
Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, il primo
documento dove diritti vecchi e nuovi convivono senza
gerarchie.

Nella Carta non si riflette soltanto la
forte tensione che in questi anni ha attribuito ai
diritti fondamentali una rilevanza senza precedenti.
Si manifesta soprattutto la convinzione della
impossibilità di una costruzione istituzionale che
prescinda dalla dimensione dei diritti. Lo dice con
chiarezza la motivazione con la quale l´Unione europea
ha deciso di darsi una dichiarazione dei diritti:

«la protezione di diritti fondamentali è un principio
fondativo dell´Unione e il presupposto indispensabile
della sua legittimità»

E´ una affermazione impegnativa. Si dice che l´Unione europea non soffre
soltanto di un deficit di democrazia, ma addirittura di legittimità, che può essere colmato soltanto da un documento che segni esplicitamente il passaggio da
un´Europa fondata soprattutto sul mercato ad una in primo luogo ancorata ai diritti (...)

Forse bisogna partire proprio da qui, dai modelli di organizzazione sociale dei diritti,
per cogliere le ragioni di dissonanze che, nel tempo, si sono fatte
più marcate ed evidenti.

Si è via via delineato un modello europeo, reso possibile dalla presenza di un
nuovo soggetto storico, la classe operaia, che ha completato la rivoluzione dei diritti realizzata tra´700 e 800 dalla borghesia, aprendo la strada a una
visione dei diritti che, soprattutto nei rapporti economici, incorporava anche una funzione sociale.

La diversa vicenda storica degli Stati Uniti, dove il peso della classe operaia non è stato certo paragonabile a quello europeo, ha fatto sì che l´idea individualistica dei diritti rimanesse l´unica o, comunque, quella prevalente.

Con due conseguenze. Considerati come strumenti da usare nel proprio
esclusivo interesse, senza considerare esplicitamente quello altrui o quello collettivo, i diritti vengono sempre più adoperati in modo aggressivo, determinando una loro «insularità». Ciascuno si separa dagli altri,
si ritira nella propria isola, impugna i diritti come una clava: e questo spinge più d´uno negli Stati Uniti, con qualche scimmiottatura europea, ad affermare che non nei diritti, ma nella comunità, risiede l´unica salvezza per le persone.

Inoltre, le crescenti pressioni del mercato hanno spinto verso una
considerazione dei diritti come puri titoli da scambiare, indebolendo il profilo della loro inviolabilità.

Tener fermo il modello europeo, quindi, significa proporre un´idea più ricca dei diritti sia nella dimensione individuale che in quella sociale.


La seconda rottura, altrettanto radicale, è determinata dalle pacifiche rivoluzioni del Novecento - delle donne, degli ecologisti, della scienza e della tecnica.

La libertà concreta s´incarna nella
differenza sessuale, nell´attenzione per il corpo, nel
rispetto per la biosfera, nell´uso non aggressivo
delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Tutto
questo ha prodotto la più intensa esplosione di
richieste di riconoscimento di diritti che mai sia
stata conosciuta. Essi coprono tutto l´arco della vita
- la nascita, l´esistenza, la morte - e, anzi, si
spingono al prima e al dopo.
Si parla di un diritto di procreare o di un diritto al
figlio; del diritto di nascere e del diritto di non
nascere; del diritto di nascere sano e del diritto di
avere una famiglia composta da due genitori di sesso
diverso; del diritto all´unicità e del diritto ad un
patrimonio genetico non manipolato. Andando avanti ci
si imbatte nel diritto a conoscere la propria origine
biologica e nel diritto all´integrità fisica e
psichica; nel diritto di sapere e di non sapere; nel
diritto alla salute e alla cura, e nel diritto alla
malattia o nel diritto a non essere perfetto, con i
quali si vuole sottolineare l´inaccettabilità di
parametri di normalità, l´illegittimità di
discriminazioni o di stigmatizzazione legate alle
condizioni fisiche o psichiche. Infine, diritti dei
morenti, diritto di morire con dignità, diritto al
suicidio assistito. Se, poi, si guarda alla fase
precedente alla nascita, si trovano i diritti sui
gameti, i diritti dell´embrione, i diritti del feto.
E, dopo la morte, rimane aperta la questione dei
diritti sul corpo del defunto, soprattutto nella
prospettiva dell´espianto di organi.

Sulla scena del mondo compare così una nuova
rappresentazione dei diritti, nella quale la vita vera
fa sentire le sue ragioni e il corpo irrompe con tutta
la sua fisicità, facendo apparire sbiadita una
dimensione dei diritti riferita unicamente ad un
soggetto astratto, ad un individuo disincarnato. Ma
queste due diverse visioni possono comporsi se si
guarda alla persona nella sua realtà e integralità,
come fa la Carta dei diritti fondamentali dell´Unione
europea.
Nel suo Preambolo si afferma appunto che

l´Unione «pone la persona al centro della sua azione».
(...)
Questo processo ha via via fatto emergere una persona
«inviolabile», da rispettare in ogni momento e in
qualsiasi luogo. I diritti penetrano anche nelle
istituzioni «totali», - il manicomio, il carcere - e
non solo restituiscono almeno un brandello di dignità
a chi è costretto a vivere in quei luoghi, ma riescono
addirittura a metterne in discussione l´esistenza. I
diritti dei folli scardinano la logica della
separazione che giustificava i manicomi, e la
predicazione e l´azione di un tenace visionario, lo
psichiatra Franco Basaglia, sono all´origine di una
legge che ne decreta l´abolizione.

I diritti, prima distribuiti tra le «generazioni» che
ne scandivano l´origine storica, si riunificato così
intorno alla persona e si presentano come
indivisibili: non si possono riconoscere i diritti
civili o politici e negare quelli sociali o quelli
«nuovi», e viceversa. Se si seguono i titoli delle
diverse parti della Carta dei diritti fondamentali
dell´Unione europea, si può cogliere il filo che li
lega tutti: dignità, libertà, eguaglianza,
solidarietà, cittadinanza, giustizia.

Sono i valori che definiscono la posizione di ciascuno, ma pure le
modalità del processo democratico. Neppure questo può
essere indifferente alla concreta situazione delle
persone. Il riconoscimento per tutti del diritto di
voto libero ed eguale non può fare astrazione dalle
condizioni materiali in cui viene esercitato.

Istruzione, lavoro, abitazione diventano così
precondizioni della partecipazione effettiva dei
cittadini, dunque della stessa qualità della
democrazia.
Ma accanto ai diritti dei singoli compaiono con forza
crescente grandi diritti collettivi e, con essi, nuovi
soggetti ai quali far riferimento. Qui il catalogo si
arricchisce con inediti tratti di novità. Incontriamo
i diritti dei popoli all´autodeterminazione, alla loro
lingua, alla libera gestione delle loro risorse; il
diritto alla tutela dell´ambiente, che richiama la
necessità di uno sviluppo sostenibile; il diritto al
cibo, che diventa diritto alla vita per intere
popolazione prigioniere del dramma della fame;
il
diritto alla conoscenza, che mette radicalmente in
discussione la logica proprietaria, il copyright e il
brevetto, si tratti di assicurare le medicine agli
africani malati di Aids o scaricare liberamente musica
da Internet.

Compare il diritto di ingerenza
umanitaria, suscitando il timore che si tratti di un
nuovo travestimento del diritto del più forte. Su breitling replica
tutti si staglia, difficilissimo ma ineludibile, il diritto alla pace.


Sono tutti diritti fortemente «oppositivi» rispetto
all´ordine ed alle logiche prevalenti, proiettati
verso il futuro e nei quali si coglie una deliberata,
e persino smisurata, ambizione di ridisegnare le
coordinate del mondo. Indicano la necessità di creare
spazi e beni comuni, ai quali tutti possano
liberamente accedere, ponendo il tema delle modalità
di distribuzione dei beni: attraverso il mercato o
attraverso i diritti? E danno così evidenza anche a
contraddizioni profonde: come risolvere, ad esempio,
il conflitto tra un paese che, esercitando insieme il
diritto alla libera gestione delle proprie risorse e
quello alla sopravvivenza dei cittadini, distrugge
risorse naturali che, come le grandi foreste,
contribuiscono all´equilibrio ecologico dell´intero
pianeta?
A quali soggetti sono riferibili questi diversi
diritti? Tornano qui entità astratte e disincarnate:
l´umanità, le generazioni future, la natura, il
mercato. Ma chi parla in nome dell´umanità e delle
generazioni future? Quale peso dev´essere attribuito
alle leggi della natura e del mercato? Dopo che la
conquistata concretezza della persona aveva reso
immediatamente identificabili gli attori della vicenda
dei diritti, si fa concreto il rischio di lasciar
spazio a logiche autoritarie, a soggetti che si
appropriano del potere di rappresentare l´umanità o la
natura.
Il riferimento alle generazioni future non è una
invenzione dei tempi nostri. Nella Costituzione
francese del 1793 si dice esplicitamente che «una
generazione non ha il potere di assoggettare alle
proprie leggi le generazioni future». Questa
limitazione di potere si traduce in una più diretta
assunzione di responsabilità verso il futuro nel
suggestivo detto degli indiani d´America: «non abbiamo
ricevuto la terra in eredità dai nostri padri, ma in
prestito dai nostri nipoti» (...)






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Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .