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liberismo, liberalismo, liberalsocialismo

TITOLO

POMIGLIANO una sconfitta, causata da fuoco nemico ma anche amico, che viene da lontano Luigi Fasce

DATA PUBBLICAZIONE

14/07/2010

LUOGO

Genova


“C’è riformismo e riformismo;la riforma
può essere radicale, cioè giungere
alle radici, superficiale cercando
di rimuovere i sintomi senza toccare
le cause. La riforma che non sia radicale
in questo senso non raggiungerà mai i
suoi fini e porterà infine nella direzione opposta.
Il cosiddetto radicalismo, d’altra parte,
che credeva si potessero risolvere
i problemi con la forza quando occorrevano
osservazione, pazienza e attività continua,
è altrettanto fittizio e poco
realistico del riformismo.”
(Erich Fromm)

POMIGLIANO una sconfitta, causata da fuoco nemico ma anche amico, che viene da lontano
Luigi Fasce
Occorre avere consapevolezza che la vertenza Fiat – Sindacato si situa nel tessuto “tramato e ordito” pazientemente nell’ultimo ventennio dai super ricchi del mondo (circa duecento) costituito dall’insieme delle leggi liberiste attualmente in vigore in tutti i mercati globalizzati. L’Unione Europea vi si è conformata (tanto dai governi di destra così come dai governi di sinistra) quasi totalmente (dal Trattato di Maastrich al recente Trattato di Lisbona) nonostante che molti Paesi tra i quali Germania e Italia abbiano Carte Costituzionali che confliggono con tale impianto legislativo liberista.
Queste le condizioni da cambiare che l’attuale vertenza di Pomigliano sottende, con questo in testa da una parte FIOM e dall’altra parte con gli altri sindacati che oramai hanno accettato in pieno il disegno liberista. Questi ultimi, il fronte del SI, sarebbero i “realisti”, che hanno accettato il mondo globalizzato plasmato normativamente in modo implacabile dal pensiero neoliberista e che pertanto, incuranti dei diritti negati dei lavoratori, si accontentano soltanto di salvare il posto di lavoro, sull’altro fronte, gli “idealisti” che invocano il No, pur consapevoli che questo scelta comporta la chiusura della fabbrica vogliono “stoicamente” impedire il gravissimo precedente che si verrebbe a creare (pronto a essere generalizzato dalla Confindustria e con governo subito pronto alla modifica costituzionale dell’art.41, magari lasciando all’uopo liberista del “laisser-faire”, solo il primo comma “L'iniziativa economica privata è libera”. Così finalmente sopprimendo gli odiosi vincoli costituzionali alla più sfrenata “libera concorrenza” previsti dal secondo e terzo comma dello stesso articolo. La Fiom in questa circostanza, nello specifico, difende non solo statuto dei lavoratori ma le basi costituzionali su ci è stato possibile edificarlo. Personalmente ritengo che faccia benissimo la FIOM a non firmare il “lodo” Marchionne. Che si facciano schiavi gli altri ma senza il suggello del Sindacato che se conflittuale lo è su basi costituzionali dello Stato italiano e non per la rivoluzione bolscevica.
La questione è che nel frattempo (ultimo ventennio neoliberista-teocon) tra i due impianti costituzionali, quello italiano (in economia sostanzialmente socialdemocratico) e quello dell’Unione Europea è prevalso quello dell’U.E. .
Infatti la Costituzione Italiana è stata semplicemente sostituita dall’impianto legislativo liberista che l’U.E. ha adottato – dicevo da Maastrich al Trattato di Lisbona – il cui principio in economia è diventato quello della libertà d Impresa, assoluta mobilità di capitali e persone, senza vincoli di sorta, né per il lavoro né per il sociale, né per l’ambiente.
Il punto che non è dunque, come ci insegna la psicoanalisi, accanirsi sul sintomo Pomigliano (quello che sta facendo nobilissimi motivi la FIOM) non fa guarire dalla malattia oramai troppo estesa. Individuate le cause occorre operare sulle stesse e non sarà lotta breve e di poco conto. Questo è soprattutto compito dei partiti della Sinistra più che del Sindacato.
La sinistra italiana deve risolutamente difendere i principi calpestati della Costituzione Italiana e contestare su questa base tanto le leggi liberiste attualmente in vigore in Italia e poi collegarsi con gli altri partiti socialisti (primariamente Tedeschi e Francesi che hanno attualmente sottoscritto concordemente un documento (fonte lista discussione Rosselli Milano che allego) a fare fronte comune contro le leggi liberiste attualmente vigenti. In economia occorre contrapporre il costruttivo pensiero socialista cooperativistico a quello distruttivo della competitività, purtroppo, pensiero liberista attualmente egemone. Dunque questa la possibile via d’uscita che la sinistra deve indicare nel contesto italiano, europeo e internazionale.
Inutile accapigliarsi oltre modo nell’attuale situazione che vede sospesa la Costituzione italiana in materia economica e ampiamente sostituita da leggi liberiste attuate dal parlamento italiano a cominciare dal governo Prodi di centro-sinistra e completate da quello attuale di destra di Berlusconi. Il suggello del programma liberista in Italia, complice anche l’Unione Europea, è stata la Legge 6 agosto 2008, n. 133 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria"e specificatamente Art. 23-bis.“Servizi pubblici locali di rilevanza economica.”E in corso d’opera (leggi Compagnia delle Opere) la predazione del nostro welfare universale: scuola pubblica e sanità, mentre per quanto riguarda il comparto assistenziale è già quasi tutto in mano al “privato” cattolico. Occorre aggredire le cause patologiche del liberismo che ha infettato il mondo intero. Che vede perdente il “lavoro” forza vitale che produce beni e servizi per il bene dell’umanità, rispetto al “capitale diffuso e disperso nel mercato finanziaro globalizzato”, anonimo, ma pur sempre detentore dei mezzi di produzione, che conculca diritti del lavoro, strappa reti sociali, inquina, forse irrimediabilmente, l’ambiente.
Col senno di poi, per onesta intellettuale voglio ricordare anche qualche irresponsabilità della sinistra massimalista.
Se si fosse a suo tempo saggiamente attuato anche in Italia la Cogestione, prevista dalla Costituzione vigente (Art. 46 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.) magari, forse, nel caso specifico della FIAT che ha avuto sempre congruo sostegno dallo Stato italiano, le dinamiche interne decisionali avrebbero potuto essere di altro tipo.
Sempre per fare un po’ di storia patria, bisogna sapere che l’art. 46 (così come altri articoli del titolo terzo della costituzione (regolamentazione del diritto di sciopero, ordinamento per legge del sindacato, ecc.) ha trovato sulla sua strada l’azione frenante di tutti coloro che non hanno mai voluto in Italia l’attuazione del modello socialdemocratico voluto invece dalla parte più lungimirante e responsabile dei Padri costituenti.
Cogestione (Mitbestimmung), in generale va indicata ancora come utile norma per affrontare la questione della gestione (capitale-lavoro) delle grandi imprese attuata in buona misura in Germania ma totalmente disattesa qui da noi in Italia. Trattasi di realizzazione socialdemocratica per contribuire alla gestione effettiva dell’impresa facendo pesare in modo adeguato il “lavoro” la componente essenziale della produzione aziendale. Ma l’attuazione del dettato costituzionale poteva avvenire dal dopoguerra fino agli anni 80 tempo in cui sebbene in modo lacunoso era ancora vigente il modello di economia previsto dalla Costituzione italiana (Titolo terzo – parte economica). Ma a quel tempo non è stato possibile realizzarlo per cause tutte interne italiane Quelli che storicamente non l’hanno mai voluto sono stati i comunisti, italiani e CGIL che volevano “un altro sistema alternativo”, quello dell’URSS, ma anche i socialisti in allora “massimalisti” così come per altro motivo sono stati anche tutte quelle altre forze politiche e sindacati CISL-UIL) che hanno preferito avere totale “rappresentanza” dei lavoratori nella conflittualità tra capitale – tanto pubblico tanto privato – e lavoro senz assumersi nessun grado di responsabilità nella conduzione dell’azienda, pretendendo che il salario fosse ritenuto variabile indipendente dal processo produttivo. L’eventuale deficit tanto lo ripiana il capitale o lo ripiana lo Stato.
Nell’attuale contesto la cogestione ha ben altri oppositori. E’ persino messa in discussione dai “padroni” nella Svezia che più di ogni altra nazione europea l’ha attuata. Pochi i padroni svedesi ma potentissimi che negli anni 70 prima dell’assassinio di Olof Palme hanno veramente temuto che il loro capitale passasse di mano – Piano Meidner - ai lavoratori. Piano – magari riveduto e corretto - che a partire da adesso dobbiamo alacremente rimettere ai primi posti della nostra agenda.
Detto questo c’è anche da dire che al momento non c’è molto da illudersi dato l’attuale contesto liberista europeo. Anche i compagni del sindacato tedesco, che la “Mitbestimmung” l’hanno responsabilmente attuata, stanno anch’essi sotto la mannaia di delocalizzazioni che il possente malefico Leviatano (Multinazionali o Corporations come a Ruffolo piace dire) della competizione internazionale pretende. Leviatano mondiale lasciato erigere anche da quei stati europei anche con governi socialisti. Gli attuali esiti del blairismo sono purtroppo ancora devastanti.
Dunque arduo compiti ci aspetta care e cari compagni, in primo luogo la difesa ad oltranza dell’intera nostra costituzione ma con particolare attenzione - perché siamo socialisti - del III Titolo – Parte Economica, che forse sarebbe bene tenerlo bene in memoria.
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Titolo cubitale grande paginata su La Stampa del 22 luglio 2010 (replay del 4 luglio 2010)
< Il paradosso dell’amministratore delegato: criticato in Italia,portato a esempio e acclamato in America>
Articolo a firma Teodoro Chiarelli – inviato a Detroit

Errare è umano ma perseverare nell’errore è diabolico.
Certo l’articolo è una “marchetta” per Marchionne, alla faccia della libertà di Stampa.
Sul dualismo Chrysler-Detroit /Fiat Pomigliano il Marchionne continua a mistificare coscientemente con la seguente affermazione <“Abbiamo preso gli stessi impegni in America e in Italia” dice l’ad di Fiat-Chrysler – “Ma sembra che qua in America lavorare sia un onore, mentre in Italia quasi una cosa negativa. Forese perché i lavoratori Usa si sono resi conto che l’unico modo di sopravvivere è fare vetture che vendono”>
Impossibile per Marchionne non sapere di avere due referenti ben diversi come padroni: in USA il fondo Pensione del sindacato UAW, in Italia il gruppo eredi Agnel li.

Scusate ma mi ripeto visto che sostanzialmente vale quanto ho già esposto nel mio intervento precedente a proposito dell’articolo apparso su La Stampa “Il caso” 4 luglio 2010 di Fabio Pozzo di Torino, Marchionne: “I sindacati Usa hanno capito la situazione” Fiom replica all’ad di Fiat-Chrysler:sei tu che non capisci l’Italia.
E’ il tipico esempio che dimostra che anche gli articoli dei giornali che sembrano l’approfondimento di un argomento, nel caso specifico si tratta di un argomento significativo, decisamente controverso, che ha scatenato il dibattito tra gli estimatori e i detrattori del nuovo corso delle relazioni industriali instaurati dalla globalizzazione. Chiamparino si è dichiarato: “Il caso Pomigliano deve essere occasione per una rivoluzione nelle politiche industriali e nelle relazioni sindacali in Italia”, dice il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. “Di fronte a un gruppo che ha progettato investimenti per 20 miliardi di euro in Italia – aggiunge - si avverte la necessità che politica e sindacato contribuiscano a costruire un nuovo clima, non si può misurare questa scelta, più unica che rara, con i criteri del passato. Se si dice che le industrie devono produrre in Italia non si possono poi avere atteggiamenti di sospetto e diffidenza.” O Chiamparino è ignorante oppure è passato tra le file dei padroni delle multinazionali del mondo di cui è venuta a fare parte anche la Fiat … rimasta solo emblematicamente … di Torino.
Però Chiamparino è sindaco PD eletto a suo tempo per lo schieramento ulivista, comprensivo anche della sinistra-comunista.
Il Chiamparino in cosa si differenzia in campo economico da un sindaco di centro-destra ?
E fin qui abbiamo solo verificato che l’attuale rappresentante PD in comune di Torino è per l’accordo capestro di Pomigliano.
La riprova che il Pd è rigorosamente liberista.
Ma questo è da tempo risaputo. E’ risaputo che ci sono due visioni contrapposte del modello economico, quella liberista di Marchionne e tutto il resto delle multinazionali del mondo e delle loro forze politiche che lo sostengono (compreso il PD in Italia ma anche, bisogna dirlo per onestà intellettuale, di molti partiti socialisti in Europa, e i contrari che pensano un modello economico in cui la politica mette mano all’economia con regole mondiali e con vincoli lavorativi, sociali e ecologici nei processi della produzione industriale. Al momento stravince il modello economico liberista anche con la connivenza della sinistra cosiddetta moderata di governo.
Questo è chiaro.
Penso che sia tutto questo sia anche chiaro a Giorgio Cremaschi nonostante provi a fare la necessaria resistenza, almeno in via di principio, aspettando tempi migliori. “Bisogna che lui capisca il Paese. Non può pensare di lavorare in Italia con leggi polacche o americane. Se si pensa di fare investimenti nel Mezzogiorno sospendendo il contratto, sospendendo i diritti contrattuali, lo statuto dei lavoratori, la Costituzione, non si torna alle gabbie salariali, come voleva qualcuno, ma si torna ancora più indietro e si formano le basi per la distruzione, non solo dell’unità sociale, ma della vera e propria unità del Paese.”
Il tempo è galantuomo si dice. Pare sia vero se Cremaschi, oggi invoca la Costituzione in difesa dei lavoratori, mentre un tempo, conseguentemente alla sua ideologia comunista ha sempre avversato la troppo socialdemocratica Costituzione italiana, almeno nelle parti che prevedono la regolamentazione di sindacati, di sciopero ma soprattutto la “contaminante” cogestione di cui all’
Art. 46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Ora sembra invece l’ultimo baluardo posto di fronte al barbaro liberismo mondializzato. Non è un caso se l’art.41, troppo insufficiente per i comunisti di allora e degli irriducibili di ora
(Art. 41.L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.)
E’ attualmente sotto un forsennato attacco da parte di questo governo di destra asservito dell’organizzazione internazionale del potere economico e finanziario mondiale.
Quello che poteva aggiungere Cremaschi, perchè impossibile che non lo sappia è che il Marchionne può pensare proprio di sospendere tutti i diritti sanciti dalla costituzione italiana di cui al titolo terzao parte economica, in quanto le regole mondiali acquisite per legge dal’U.E. lo consentono. Tanto è vero che Marchionne può delocalizzare la fabbrica di Pomigliano dove più gli fa comodo. Come sappiamo la prima scelta è la Polonia. Anche questo ai lettori è chiaro.
Quello che l’articolo non chiarisce molto subdolamente è se valido il confronto tra Fiat di Pomigliano e Chrysler di Detroit.
Cercherò di spiegare perché i due fronti non sono comparabili e poi cercherò di trarne qualche utile insegnamento per il sindacato, ma anche della sinistra.
Marchionne: “I sindacati Usa hanno capito la situazione” quelli della Fiom no.
Il sindacato Usa a cui accenna Marchionne sono quelli dell’United Auto Workers (Uaw) - metalmeccanici Usa - che non sono in trattativa con l’impresa automobilista Chrysler-Fiat: ne sono i “padroni” con il 55% di pacchetto azionario detenuto dal Fondo Pensioni dei lavoratori della Chrysler gestito da un organismo di emanazione del sindacato Uaw. Stavano per chiudere la fabbrica e il sindacato Uaw piuttosto che mandare a casa disoccupati i lavoratori rischiando il tutto per tutto e ha investito nella fabbrica i soldi dell’imponente fondo pensione dei lavoratori. Ha così evitato la chiusura così come anche la possibile delocalizzazione della fabbrica.
E’ certo che il sindacato Uaw ha capito ! Il ruolo di Marchionne: farla diventare competitiva ma anche convertendo la produzione delle mastodontiche auto Chrysler in macchinette economiche a impatto ambientale limitato che si spera possa mantenersi sul mercato interno americano.
Certo che il sindacato Uaw ha capito, e ha giocato il tutto per tutto. Giocato il tutto per tutto ma restando ancora in campo da padroni, con Marchionne amministratore delegato e i brevetti Fiat che servono perfettamente a questo progetto. Marchionne è dipendente, il dipendente di massimo grado certamente, ma sottoposto al consiglio di amministrazione governato in cui siedono in larghissima maggioranza (più rappresentante governo Obama) i rappresentanti dei lavoratori.
Le cose in Italia sono su ben altro piano. Il padrone è chi detiene il capitale di riferimento della Fiat di cui non sono in grado di determinare la modesta quantità e con il resto del capitalo fortemente diffuso nei mercati finanziari.
Il pur grande manager Marchionne serve questi due “padroni” il primo non vuole fallire, il secondo vuole il dividendo azionario. Nessuna coresponsabilizzazione tra capitale e lavoro. La cogestione prevista dalla costituzione all’art.46 sopra citata che sarebbe stata perfettamente da attuare alla Fiat – considerati gli aiuti di stato perennemente avuti dai tempi del fascismo e poi continuati dal dopoguerra e fino ai giorni nostri – che però non è mai stata attuata. Non solo per resistenze dell’azienda ma anche per l’estrema ostilità dei sindacati e della Fiom più di tutti che volevano avere le mani libere senza responsabilità alcuna nella gestione aziendale.
Dunque resta la classica vertenza tra Marchionne in rappresentanza del capitale (gli eredi Agnelli e gli anonimi azionisti con la maggioranza assoluta ma completamente dispersi nel mondo globalizzato della finanza) e il sindacato. Lontani però i tempi del sindacato unitario della FLM quando c’era a mediare il ministro Donat Cattin che metteva soldi per risolvere la vertenza con buona pace dei due contraenti Capitale- FIAT–Lavoro-FLM.
Von le regole di mercato universali di ogggi Marchionne se non vuole essere licenziato dal capitalista di riferimento perché non porta a casa utili sufficienti a sedare il restante popolo azionista deve comprimere inevitabilmente il fattore lavoro. Ma questa compressione può raggiungere livelli di alienazione lavorativa pazzesca e salario da fame.
Le problematiche dei lavoratori di Detroit e quelle di Pomigliano sono decisamente differenti e dunque non confrontabili. Affermare che i sindacati USA hanno capito e quelli della Fiom di Pomigliano no è falsare la realtà.
Quale lezione trarre che possa tentare di incidere sulla realtà economica globalizzata ?
Intanto che i sindacati si mondializzino rapidissimamente anch’essi. La Uaw di Detroit (portando la propria esperienza di lavoratori-padroni di impresa) che si allei con la Fiom di Torino così come con i sindacati metalmeccanici tedeschi (con esperienza specifica di cogestione) francesi e spagnoli. Una volta mondializzati dovrebbero non solo difendere il lavoro e le imprese dei rispettivi paesi ma anche aprire trattative nei confronti di G8 e G20 (per esempio chiedendo fortemente la riattivazione dello IOL) non lasciare più il compito di contestare solo ai distruttivi “black block”.



Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .