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liberismo, liberalismo, liberalsocialismo

TITOLO

GUIDO CALOGERO Guido Calogero (1904-1986) Vita e scritti.

DATA PUBBLICAZIONE

20/09/2007

LUOGO

Genova - Salone Consiglio Provincia di Genova


Nacque a Roma il 4 dicembre del 1904. Si laureò in lettere e in giurisprudenza. Docente di storia della filosofia a Firenze, Pisa e Roma . Arrestato per motivi politici nel 1942, in carcere riuscì a scrivere le Lezioni di filosofia(ed. Einaudi). Ha diretto l’Istituto italiano di cultura di Londra. Fu membro dell’Accademia nazionale dei Lincei. Morì nel 1986.
Tra gli scritti ricordiamo: I fondamenti della logica aristotelica, 1927; Studi sull'eleatismo, 1932; La scuola dell'uomo, 1939; Il metodo dell'economia e il marxismo, 1944; Difesa del liberalsocialismo, 1945;Saggi di etica e di teoria del diritto, 1947; Lezioni di filosofia, I: Logica, gnoseologia,ontologia, 1948; II: Etica, giuridica, politica, 1946; III: Estetica, semantica, istorica, 1947; Logo e dialogo, 1950; Scuola sotto inchiesta, 1957; Verità e libertà, 1960; Filosofia del dialogo, 1962; Quaderno laico, 1967; Storia della logica antica,I: L'età arcaica, 1967; Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, 1968, ecc.

Il pensiero.
Ne La conclusione della filosofia del conoscere, Guido Calogero sostiene che “come nel secolo decimo-ottavo morì la metafisica, nel XX muore la gnoseologia”. In che senso deve essere intesa questa affermazione così radicale? Egli si definisce un “misologo”, nel senso di “nemico di ogni teoria della teoria non meno che di ogni tecnologia e metafisica, avversario insofferente dei filosofi che filosofano sulla filosofia e di pensatori che pensano il pensiero, e che finiscono come chi, invece di respirare dell'aria, pretenda di respirare il suo stesso respirare”. Con questo Calogero non ha voluto negare la logica intesa come un insieme di regole del colloquio, come norme di onestà e di coerenza da seguire nell’argomentare, ma ha negato il formalismo astratto, l'intellettualismo dogmatico dei principi a priori che fatalmente conducono, secondo Calogero, alle presunzione del filosofo puro, “macchinista della verità”. E le teorie intellettualistiche dell'essere e del conoscere non hanno per Calogero alcun valore: se cade così il mondo astratto dell’apriori logico, non cade però la logica delle cose, la quale non è altro che un aspetto delle cose stesse, e da qui la necessità di una tecnica dimostrativa e il dovere della coerenza, la quale esige che “dobbiamo tenere gli occhi aperti sul reale, non stancarci di guardare il volto dell'esperienza”.
Non vi è dunque propriamente nessuna regola per il pensiero se non la regola del dialogo, che esprime la volontà morale di capire gli altri, e di rendersi comprensibile agli altri. Il principio del dialogo è il principio etico fondamentale. Il principio del dialogo è una decisione del volere, è un imperativo etico (la volontà di discutere non ha bisogno di essere discussa, perché ogni discussione la presuppone) (cfr. Filosofia del dialogo, p. 73).
In altri termini Calogero, affermando l'esclusiva indiscutibilità di questo principio, sostiene che in ogni situazione dialogica tutto può essere discusso tranne il principio che regola la discussione stessa. Ma si badi: nessuna norma può impedire la discussione, se tale norma non è frutto della volontà del singolo individuo, che preferisce non comunicare affatto e chiudersi ad ogni confronto con l'Altro.
Il principio del dialogo, dunque, si erge a principio valido per tutti, in quanto garante del rispetto di tutti. Esso va oltre il dogmatismo, poiché permette ad ognuno di esprimersi, e supera anche la critica scettica, dal momento che è esso stesso a permettere che tale critica abbia la possibilità di essere espressa (cfr. Filosofia del dialogo, p. 69).
Il nesso di teoria e di pratica è chiaro e, a proposito di morale, Calogero ritiene che noi possiamo, se vogliamo, non uscire dal nostro io, ma possiamo anche volere il bene altrui, possiamo cioè praticare l'altruismo. E ciò significa che la legge morale è un libero programma della mia volontà, che non appartiene alla sfera dell’essere ma a quella del dover-essere. Di qui l’identità di moralità e altruismo, di moralità e bene degli altri, che io non posso né devo trattare come fossero cose se voglio agire moralmente; vivere per gli altri, donarsi, limitarsi: ecco il programma morale dell'uomo e la sola maniera di evadere dal solipsismo. “L’io limita la propria libertà per quella del tu, il quale a sua volta limita la propria per promuovere quella del terzo e così via”. Il che vuol dire che “l’io pone il tu e il lui” (cfr. La scuola dell'uomo, p. 4). Vi è così l'identità tra morale e educazione. Per Calogero anzi “l’analisi dell’educazione è la stessa analisi della moralità”. “L'esigenza pedagogica, che dopo aver fatto porre all’io il proprio limite nel tu, vi fa imporre al tu e il suo limite nel lui, è la stessa più profonda esigenza della moralità”. (ibid, p.35). Nell’ambito della pedagogia l’educazione è intesa come altruismo. Il rapporto tra educatore e educando va oltre il semplice rapporto dualistico: si deve formare l’educando in modo che, sua volta, diventi educatore di altre persone e si abneghi per esse.

La filosofia di Calogero contiene anche affermazioni che definirei quasi esistenzialistiche: “io non posso mai non essere io”; “ogni valutazione è autonoma, compiendosi nella sfera di quella presenza soggettiva, che non può mai risolversi in nulla d'altro. Sono io che valuto, io che approvo e disapprovo, e che di conseguenza decido”. L’uomo è coscienza, consapevolezza ovvero, nel linguaggio di Calogero, “presenza”, il che implica un impegno etico, libero e responsabile. Infatti non c’è mai, secondo Calogero, qualcosa o qualcuno che si possa imporre a noi: non c’è nessuna legge o regola esteriore costrittiva al punto tale da doversi sottomere ad essa ma soltanto le nostre valutazioni e le nostre scelte. Siamo sempre e solo noi che decidiamo volta per volta, momento per momento, per il presente e per il futuro (il passato è anch’esso stato una nostra scelta). “Voler questo o quello, agire in questo o in quel modo, comportarmi moralmente o immoralmente, questo è lasciato alla mia facoltà: appartiene al regno del possibile, cioè alla sfera dei miei programmi d'azione. Seguire un certo ideale è per me un’esigenza, non una fatalità: sarà, se così si vuol dire, la soverchiante necessità interiore del mio atto, ma è comunque una necessità determinata, di cui è concepibile la mutazione, e che quindi è affatto diversa da quella per cui io non posso mai non essere io e non essere volontà. Non è, insomma, un destino: è un dovere” (La scuola dell’uomo, p. 22).
Da questo punto di vista, l’io è assolutamente libero; la libertà umana è assoluta perché l’uomo è comunque libero di decidere e scegliere quale vita costruirsi, quale desiderio appagare e a quale progetto aspirare. Ma attenzione, libertà assoluta non vuol dire né arbitrio né onnipotenza: l’uomo non può né riesce a fare tutto, “altro è infatti la libertà, altro l’onnipotenza”. Inoltre, “La libertà che si deve amare è la libertà altrui; e questa, a sua volta, solo in quanto rispettosa e promotrice di ulteriori libertà altrui”(cfr. Etica, giuridica, politica, p. 338). Solo tale tipo di libertà può essere una libertà giusta e, di conseguenza, etica.
La scelta etica è una scelta dell'Io, e perciò, contemporaneamente, sia della sua ragione che della sua volontà. La legge morale, ad esempio, può giungermi dall'esterno, ma essa diventa davvero la mia scelta morale se io ritengo giusto seguirla e non solo perché altri me la propone o addirittura me la impone.
Eticità è uscire da se stessi, volgersi all'universale. Ma da se stessi, a ben vedere, in un certo senso, non si può mai uscire. Io non posso mai, esistendo, cessare di essere io, di volere ciò che pare meglio a me. Che io “esca da me”, può solo voler dire che io, in me stesso, cerco di far posto il più possibile ad altri pensieri, ad altre volontà, ad altri sensi e gusti della vita, rispetto a quelli miei: che io faccia posto, insomma, ad altre persone, che io viva in me l’altrui gioia e l’altrui dolore, e nell’altrui bene senta il bene mio (cfr. Saggi di etica e di teoria del diritto, p. 3). “Ad essere altruisti bisogna decidersi, e per questa decisione si è soli con se medesimi: soli con la propria volontà e libertà. Non si può esigere nessun motivo o pretesto”.
L'altruismo è innanzitutto volontà di comprensione dell’Altro. Comprensione, tuttavia, non significa solo ascolto o semplice scambio di replique montre opinioni. Questo è solo l’inizio. Il riconoscimento del tu non si attua solo con le parole; la comprensione non è soltanto capire gli argomenti dell’altro ma anche le sue esigenze, “persino nel caso in cui esse non siano espresse in parole”. Infatti “Parlare con Caio non è ancora abnegarsi moralmente per Caio, cioè porre la personalità e sensibilità di Caio sullo stesso assoluto piano della propria: anche il sicario può discorrere con la sua futura vittima” (cfr. La scuola dell’uomo, p. 25). In altri termini, io non devo soltanto stare a sentire ma anche aiutare l’altro a parlare, cioè sviluppando la capacità altrui di manifestare se stesso. “Capire gli altri, significa volere che essi possano esprimersi: e non c'è riconoscimento del loro diritto fondamentale che non sia implicito in questa volontà” (cfr. Filosofia del dialogo, p. 52). Il che implica però un’altra condizione: che ogni uomo possa esprimersi liberamente ed essere compreso, abbia quindi la possibilità di vivere con dignità.
A questo riguardo, c’è un altro principio che è fondamentale per Calogero ed è compreso in quello del dialogo: è il principio del laicismo. Laicismo significa da un lato non pretendere mai di possedere la verità più di quanto gli altri possano pretendere di possederla, dall’altro il rifiuto di ogni dogmatismo e in difesa di ogni uomo dall’invadenza dei “cattivi stati e delle cattive chiese” (Filosofia del dialogo, p. 117). E si badi: laicismo anche contro il laico dogmatico che non accetta la convivenza di tutte le possibili filosofie e ideologie. L’etica di siffatto laicismo conduce alla tolleranza e alla coesistenza degli uomini in una “casa comune” che è la casa in cui “nessuno deve sentirsi come straniero, come abitante non di pieno diritto, anche se la sua fede si trovi a non essere condivisa da nessun altro”(ibid., p. 268). Ma attenzione, ciò non porta all’irenismo o al lassismo o all’estremismo di certe posizioni come gli attuali terrorismi (tanto per fare un esempio). Anzi, dice Calogero, è proprio il dovere di comprendere gli altri che ci permette di distinguere tra le varie azioni compiute e di stabilire una tavola di valori, a seconda che esse siano più o meno conformi all’imperativo supremo del dialogo. Potremo e dovremo sempre criticare certe azioni e comunicare tali critiche a chi le ha compiute.
BIBLIOGRAFIA MINIMA
Alcune opere di Calogero sono state rieditate dalle edizioni Diabasis: La scuola dell'uomo, Le regole della democrazia ecc.

Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .