www.circolocalogerocapitini.it

LAICITÀ

TITOLO

LAICITA’ E DEMOCRAZIA – INTERVISTA DI A. AMOROSO A STEFANO RODOTA’

DATA PUBBLICAZIONE

07/11/2007

LUOGO

Roma


Il 7 novembre scorso si è tenuto in Roma, piazza Montecitorio, un convegno su “Pubblici poteri e laicità delle istituzioni”.
Il nostro socio onorario, prof. Stefano Rodotà, ha introdotto i lavori con una relazione dal titolo “Laicità e democrazia”.
In quella occasione, il prof. Rodotà ha rilasciato ad Antonio Amoroso, di Resistenza Laica, la seguente intervista.

LAICITA’ E DEMOCRAZIA – INTERVISTA DI A. AMOROSO A STEFANO RODOTA’
da: www.resistenzalaica.it - venerdì 9 novembre 2007
Domanda. Buongiorno professore, partiamo con una domanda che traccia alcuni inquietanti risvolti sotto il profilo politico-sociale: come giudica gli interventi degli esponenti della Chiesa cattolica nei maggiori mass-media e, in particolare, il frequente e conseguente fenomeno dell’eco, all’interno del nostro Parlamento, di questi interventi? (come, da ultimo, quello del Papa sull’obiezione di coscienza come diritto, in capo ai farmacisti, a negare la vendita dei farmaci c.d. immorali). Siffatti interventi trovano, praticamente sempre, terreno fertile nel Legislativo, mediante la presenza di esponenti politici, anche dell’attuale maggioranza (quali quelli appartenenti al gruppo dei cosiddetti teodem), cosa che invece non accade quando istanze di altro genere provengono da ulteriori componenti della società, quali la componente laica. A tal riguardo, in un’intervista a Radio radicale, Lei, facendo riferimento ad alcune affermazioni di Leopoldo Elia, e riprendendo il discorso dell’on. Aldo Moro all’indomani della sconfitta referendaria della Dc sul divorzio, ha posto l’accento su come i valori di matrice cattolica non vadano imposti. Attualmente ci troviamo, forse, di fronte ad una realtà in cui la componente religiosa della società ha dimenticato questa lezione di tolleranza?

Risposta. Farei una distinzione: nessuno mette in discussione il diritto della Chiesa cattolica e dei suoi singoli di intervenire anche nel dibattito politico, ma diverso è, invece, il problema quando si fa appello ad una disobbedienza civile, perché l’obiezione di coscienza, per esempio, in materia di vendita di farmaci corrisponde, appunto, ad una vera disobbedienza civile.
Infatti i farmacisti operano in un regime regolato, svolgono un servizio pubblico e, dunque, ogni loro comportamento ha, come effetti, ampliamenti o restrizioni anche dei diritti dei cittadini: basti pensare ad aree dove le farmacie sono, tra loro, lontane e, dunque, il fatto che il farmacista obietti significa privare un cittadino della possibilità di accesso a determinati farmaci, mettendo quindi in discussione il suo diritto alla salute, dato che anche i farmaci cosiddetti immorali rientrano in quella grande definizione di diritto alla salute che viene data dall’Organizzazione mondiale della sanità come “benessere fisico, psichico e sociale”. Quindi, in questo senso, si entra in conflitto diretto con quelle che sono le regole proprie di uno Stato.
Aldo Moro, dopo la sconfitta referendaria sul divorzio, incitava i cattolici più a testimoniare la loro fede attraverso la presenza nella società che non a cercare di imporla attraverso le leggi. Questo rappresenta un passo ulteriore, ovvero: non solo la Chiesa non deve intervenire manifestando il proprio punto di vista, opponendosi all’applicazione di determinate leggi, ma, in questo episodio, c’è addirittura, da parte di Moro, un invito a rinunciare all’uso stesso delle leggi, quindi, alla modifica legislativa attraverso la maggioranza parlamentare per imporre un determinato punto di vista, cosa che rappresenta una contraddizione del principio laico, dato che mette in discussione i diritti delle minoranze.
D. Resistenza Laica ha già aspramente criticato il comportamento di Rifondazione Comunista sul tema dei privilegi economici concessi alla Chiesa Cattolica. Quella sinistra che tradizionalmente ha fatto della laicità dello Stato uno dei propri cardini programmatici, ha poi trasformato questo punto fermo in merce di compromesso politico nella discussione sull’emendamento alla Legge finanziaria per la reintroduzione dell’Ici anche in capo agli immobili di proprietà della Chiesa cattolica. Secondo lei, il valore della laicità dello Stato è negoziabile dal punto di vista della logica politica o rappresenta un valore imprescindibile e, dunque, su di esso non infieriscono erosioni di compromesso politico o strategie di coalizione omonima?
R. Credo proprio che il principio di laicità, che, seppur indirettamente, è riconosciuto a livello costituzionale, non sia negoziabile!
Tale principio non è negoziabile per molte ragioni. In primo luogo perché è costitutivo dei caratteri di una democrazia moderna: il fatto che, soprattutto nell’ultima fase, il terreno religioso sia divenuto non solo terreno di scontro politico, ma anche di concessione unilaterale, dato che il punto centrale del compromesso, che può anche avere una sua “nobiltà”, in realtà, in molti episodi ed in queste situazioni, ha ceduto, puramente e semplicemente, all’accettazione del punto di vista di una delle “parti in causa”, cioè della Chiesa cattolica.
Quindi, con questi presupposti, non parlerei neanche di vocazione al compromesso di alcune forze politiche, piuttosto parlerei di cedimenti, che si sono manifestati in varie occasioni, e questo mi pare una regressione politica e culturale molto grave.

D. Nell’ultima risposta, Lei ha parlato di principio di laicità indirettamente riconosciuto a livello costituzionale. Infatti la nostra Costituzione non fa riferimento esplicito (a differenza di quella francese del 1958) alla laicità dello Stato, bensì siffatto principio si è, per lo più, imposto a livello giurisprudenziale (ricordiamo in particolare la sentenza della Corte costituzionale 203/1989) per cui si è dovuto compiere un’interpretazione sistematica dei principi costituzionali ed ordinamentali per giungere alla definizione di questo valore: la sola giurisprudenza, in particolare quella costituzionale, può portare all’affermazione più o meno ampia di questo basilare principio, dato che delle riforme normative in tal senso, allo stato attuale delle cose, sembrano a dir poco utopistiche?
R. Quella sentenza è stata molto importante. E lo rimane, anche se, in misura non amplissima, la situazione è mutata rispetto all’89, quando c’erano speranze ed aperture che sono state poi smentite negli ultimi tempi. Ma, proprio per questa ragione, oggi l’ipotesi di una riforma costituzionale, che tocchi questa materia, sarebbe sicuramente una riforma regressiva: io credo che dobbiamo stare ancorati a quella che rappresenta un’interpretazione importante della Corte.
Infatti, non dimentichiamo che la Corte costituzionale, facendo quell’operazione interpretativa, ha individuato la laicità come principio fondativo e, in base ad altre fondamentali sentenze della Corte, è pacifico che i principi fondativi non possono essere oggetto di revisione costituzionale
E questo rappresenta un punto particolarmente importante!
D. Sempre in tema di interventi giurisprudenziali, nel settembre scorso è intervenuta un’importante sentenza del Tribunale di Cagliari che disponeva come legittima la diagnosi pre-impianto. Questa sentenza ha inferto un duro colpo alla legge 40/2004 (duro colpo si fa per dire, dato che, comunque, è una sentenza rilasciata da una giurisdizione di primo grado). Ed è solo l’ultimo dei tanti episodi in cui, di fronte la sordità della classe politica su temi, diciamo, sensibili, la Magistratura ordinaria è stata costretta ad intervenire per far fronte alle istanze disattese dal Legislativo e per tutelare in maniera più equilibrata i diritti degli interessati in queste delicate vicende. A tal proposito, come sempre più spesso accade, alle lamentele degli organi clericali ha fatto eco una lunga sfilza di interventi di alcuni parlamentari che chiedevano chiarezza sulla questione e che indicavano (riprendendo anche le medesime parole rilasciate, in quell’occasione, da mons. Betori, portavoce della Cei) come illegittima la suddetta sentenza, che, ad avviso di alcuni, presagiva l’ingresso nel nostro ordinamento (addirittura) di un sistema giurisdizionale a controllo diffuso di costituzionalità: dato che, nel nostro ordinamento, il potere in capo al giudice di disporre dell’equità è molto ristretto, e dato che il controllo di costituzionalità sulla legge è di tipo accentrato, si è trattato veramente di un abuso dettato dall’esasperazione di istanze sociali prive di tutela e, quindi, destinato a non avere seguito?
R. Il seguito l’ha avuto! Sia la Corte di cassazione, intervenendo in tema di “interruzione dei trattamenti medici per le persone in stato vegetativo permanente” (come nel caso “Eluana Englaro”) sia il Tribunale di Roma, prosciogliendo, in maniera definitiva, l’anestesista che aveva contribuito a dare seguito alle volontà di Piergiorgio Welby, hanno esattamente adoperato la stessa tecnica di intervento giurisprudenziale.
Questa tecnica di intervento giurisprudenziale, a mio giudizio, non è affatto espressione di un’illegittima operazione da parte della Magistratura: infatti, essa ha fatto ciò che molti studiosi hanno, da tempo, indicato come “strada maestra” in questa materia e cioè ha ragionato sui “principi”, ovvero, sul principio della “libertà personale”, su quello della “libertà di cura”, della “tutela del diritto alla salute”, della “illegittimità di trattamenti medici contrari al rispetto della persona umana” (art. 32 Cost), anche se previsti dalla legge, e così facendo, la Magistratura ha risolto problemi concreti ed è esattamente questo, quello che si chiede ai giudici.
Infatti, se questi avessero operato in maniera diversa, ci saremmo trovati di fronte a vere ipotesi di denegata giustizia, ovvero, queste su accennate sono tutte situazioni di fronte alle quali il giudice ha, non in base ad una sua particolare visione del mondo od ideologia, gli strumenti normativi per affrontare e risolvere i problemi posti dalle richieste dei cittadini.
Quindi, in queste decisioni giurisprudenziali non c’è nulla di “creativo”, ma molto di “dichiarativo”, ovvero: queste rendono “esplicita” la trama costituzionale che, come ben si sa, in queste materie, è oggetto di applicazione diretta ai rapporti tra privati. In ipotesi come queste non c’è bisogno dell’intermediazione del legislatore.
Quindi, queste reazioni del mondo cattolico sono assolutamente “illegittime” e la Magistratura ha dato prova di grande autonomia ed anche di capacità di lettura dei “principi fondativi” che, poi, sono quelli a cui, in queste materie, si deve fare riferimento.
D. In un recente intervento, lei ha parlato di eclissi dei diritti (27 settembre 2007) in relazione alla vicenda della Banca del Dna proposta dal Ministro Rutelli: sempre in riferimento al tema di oggi, e riprendendo una similitudine coniata da alcuni storici del diritto, “il diritto si deve adeguare alla società di cui disciplina i rapporti come un vestito deve essere su misura del corpo che lo indossa”, pensa che, attualmente, questo vestito sia troppo stretto per una parte della società civile (ovvero, la componente laica)? Oppure pensa che, se si facesse un vestito su misura “laica” (quindi, smisurato per la componente dei fedeli), ciò genererebbe un malumore della componente religiosa, tale da minacciare la pacifica convivenza? Oppure, ancora, questo rappresenta un rischio che viene solo avvertito insensatamente da una grossa parte della classe politica? Certo che, riprendendo la similitudine del diritto come vestito della società e collegandola al suo intervento, allora, bisognerebbe arrivare alla conclusione che apparteniamo ad una società senza vestito. Pensa che siamo già caduti così in basso, ovvero, che l’eclissi a cui faceva riferimento, abbia una portata più ampia di quella esplicitamente da Lei addotta?
R. La definizione del “diritto come vestito su misura della società” porta con sé anche molti equivoci, perché il diritto deve, in primo luogo, essere l’espressione che sono a fondamento di questa organizzazione sociale e, se ci fosse, ad esempio, in un determinato momento, un movimento di opinione che rifiuta la “libertà personale” o che vuole limitare la “libertà di espressione”, non è che si “cuce” per la società un “vestito”, che accetti questo tipo di pulsioni, anche se fossero sostenute da grandi maggioranze, più o meno individuate attraverso sondaggi.
La Corte costituzionale lo ha detto esplicitamente: ci sono dei “principi fondativi” dell’ordine costituzionale che non possono essere modificati neanche attraverso il “procedimento di revisione costituzionale” (art. 138 Cost.) e nemmeno dall’unanimità dei consociati.
Quindi, il “vestito cucito dal diritto per la società” è quello che risulta dai valori che lo stesso diritto, storicamente (è chiaro che, poi, questo assetto può mutare e deve mutare), pone a fondamento dell’organizzazione sociale.
C’è, quindi, un riferimento obbligato alla Costituzione come accade in tutti i Paesi e la “eclissi dei diritti” si ha quando da questo modello costituzionale ci si allontana e ritiene, dunque, che, sui valori costituzionalmente affermati debbano prevalere o pulsioni non mediate all’interno della società oppure imposizione di valori da parte di altri, perché il conflitto oggi esistente, che è tenuto molto “vivo” dal Vaticano, è proprio nel senso di voler sostituire, alla tavola di valori costituzionali, un’altra tavola di valori, cosa che è, dal punto di vista della politica istituzionale, assolutamente illegittima.
D. In un altro intervento pubblicato su Rai Educational, in cui si sottoponeva alle domande degli studenti (febbraio 1999), lei compie un interessante riflessione sui rapporti che intercorrono fra etica e diritto A tal proposito, in una risposta ad uno studente, lei ha fatto riferimento al diritto di resistenza di fronte alle ingiustizie normative: ricorda la vicenda del giudice Luigi Tosti? Possiamo definire la battaglia giudiziaria del magistrato romagnolo come un diritto di resistenza per via istituzionale? Finora, ha subito solo sconfitte: pensa che una “pretesa laica” come questa non potrà mai trovare accoglimento, perché è una pretesa illegittima oppure perché entrano in gioco altri fattori “sotterranei” come l’influenza della Chiesa su tali questioni?
R. Beh, la decisione con la quale il giudice Tosti ha avuto torto era molto, diciamo, “forzata”. Io credo che, quando il “diritto di resistenza” è esercitato non secondo una sua versione storica, ovvero, ad esempio, se io resisto ad un’imposizione del potere in nome di principi che non sono riconosciuti dall’ordinamento, in tale caso, agisco certamente nell’ambito del “diritto di resistenza” tradizionalmente definito.
Invece, nel caso del giudice Tosti siamo di fronte ad un “diritto di resistenza” che vuole affermare i principi già riconosciuti dalla Costituzione!
Rappresenta questa, la particolarità, ovvero, la lotta per i propri diritti già riconosciuti.
Le lotte sono sempre difficili, ma è certo che giocano, in questo momento, influenze politiche di “diverso ordine” e chiamo “influenze politiche” anche quelle che vengono dalla Chiesa, che in questi casi agisce come “potere” come è, peraltro, evidente, però nessuno si deve scoraggiare!
D. Dal 1997 al 2005 lei è stato Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Non trova bizzarro che, mentre la legge 675/96 tutela in maniera rigida il trattamento dei dati personali riguardanti anche le convinzioni religiose in quanto rientranti nella privacy di un soggetto, quelle stesse convinzioni religiose rappresentino, spesso e volentieri, il “motore” della produzione legislativa nostrana, operando così a livello pubblico-istituzionale, quindi nella sfera pubblica della società-Stato?
R. Io vorrei dire che, per molti dei cosiddetti “dati sensibili”, tra i quali sono certamente contemplati quelli riguardanti la “fede religiosa” (ma ci sono anche le “convinzioni politiche”, la “appartenenza sindacale”), la tutela più forte prevista dalla legge sulla “protezione dei dati personali” riguarda, certamente, la “sfera privata”, ma riguarda anche la possibilità od il diritto di professare in pubblico “fedi”, “convinzioni politiche” ed “appartenenze sindacali”. Certo c’è un “paradosso storico” nella disciplina della privacy, ovvero, “forte protezione privata per poter essere liberi nella sfera pubblica”.
In realtà, perché si dice che le opinioni politiche debbono essere particolarmente protette?
Questa norma entra nel nostro ordinamento con lo “Statuto dei lavoratori” (1970), ovvero, quando si giunge alla conclusione che il datore di lavoro non può raccogliere informazioni sulle opinioni politiche, sindacali e religiose dei dipendenti, ma non perché i dipendenti, nella loro sfera intima, non potessero pensare e dire quello che volevano, ma dovevano (si diceva al tempo) “poter andare in fabbrica con l’Unità in tasca” ed essere assunti anche se tenevano comportamenti religiosamente eterodossi, anche se erano iscritti a Sindacati ritenuti dal padrone troppo “aggressivi”.
Quindi, questo tipo di tutela è, in realtà, una tutela della sfera pubblica sul terreno della “eguaglianza”, ovvero, non essere discriminati per le suddette ragioni.
E, dunque, abbastanza conseguente, rispetto a questa impostazione, è che le “convinzioni religiose” possano essere fatte valere nella “sfera pubblica”: naturalmente, si tratta di vedere come queste ultime si fanno valere, dato che se (come solitamente si dice) ciò che proviene dalla “sfera della religiosità” è “non-negoziabile” e, quindi, si presenta come una “imposizione” anche agli altri, questo è un “punto di vista tra i tanti”, ma che non può essere accolto.
***************************************************
LiberaUscita
Associazione nazionale laica e apartitica
per la legalizzazione del testamento biologico
e la depenalizzazione dell'eutanasia
Via Genova, 24 - 00184 Roma
apertura sede: lun-merc-ven. ore 8:30 - 10:30
tel e fax: 0647823807
sito web: www.liberauscita.it
email: info@liberauscita.it

Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .