Cari amici,
innanzitutto lasciatemi ringraziare gli organizzatori di questo incontro a cui và reso omaggio per avere messo in piedi un’occasione di incontro proficua tra persone che sono mosse dal comune intendimento di non essere trascinati dall’indistinzione dei molti, per qualificarsi quali liberi e autonomi pensatori. E questo, badate, non succede davvero di frequente.
Non vi nascondo che chi vi parla vive con grande intensità questi tempi difficili in cui diritti e doveri si confondono: il diritto sempre più contiguo all’impunità, il dovere quale male interpretato senso di colpa di cattolica memoria, laddove il principio si scambia sempre più con l’interesse personale in un quadro di riferimento in cui i valori sembrano assumere colori talmente tenui da essere anch’essi tra loro confusi, quasi a creare un’umanità affetta da una sorta di colpevole daltonismo.
Oramai entrati in una logica mediatica nella quale è possibile dire tutto di tutto, con sempre meno cognizione di causa e, lasciatemi dire, basi culturali sempre più traballanti, assistiamo ad un turbinio crescente di notizie, informazioni, dati, la cui provenienza e soprattutto attendibilità diventa sempre più non individuabile. In questo stato di fatto risulta sempre più arduo distinguere il falso dal Vero, il Vero dal verosimile.
Se questo è condivisibile, ne consegue un’obiettiva difficoltà dell’Umana Famiglia nella ricerca della Giustizia, la Giustizia con la G maiuscola, la consonante con cui inizia la parola Giusto.
Io penso a questo proposito che sia giunto il momento di porre dei limiti a questa confusione, cercando di ricercare un senso ed un significato all’agire dell’uomo libero, quale noi ci sentiamo di essere.
Jean Paul Sartre sosteneva che nell’uomo sono contestualmente presenti due diverse tendenze che possiamo così definire: l’orientamento teso a stabilire rapporti positivi con i propri simili (la cosiddetta tendenza alla socialità) e l’innata insofferenza delle limitazioni imposte dagli altri (cioè la tendenza a-sociale). L’individuo è in continuo equilibrio instabile tra queste due tendenze, senza forse mai riuscire ad integrarsi pienamente in un contesto sociale dato e viceversa senza liberarsi del tutto dei vincoli sociali.
Allora è bene cominciare a parlare dei principi a cui un uomo libero intende fare riferimento, ma anche dei valori che tali principi sottendono.
E’ in questo preciso contesto che può essere inserito un ragionamento sulla morale, andando al di là della mera speculazione filosofica, accettando al contrario di addentrarsi nel difficile percorso della ricerca del Vero e del Giusto.
La Morale quindi come uno dei principi fondanti l’agire dell’uomo libero, che si configura nella vita pratica come atto fondamentale di scelta tra il Bene ed il Male, il Giusto e l’ingiusto.
La Morale in ultima analisi come complesso delle norme accettate da una società, che stanno alla base del comportamento dell’individuo.
Importanti pezzi del pensiero occidentale affiancano al
Principio della Morale
quello della Libertà
e quello della Virtù,
creando una cosiddetta “Triade” su cui poggiano le basi della Tradizione speculativa.
A ben vedere in effetti la morale non può prescindere da un preciso concetto legato al principio di Libertà, da cui è influenzato e viceversa la Libertà non può prescindere da una precisa definizione di Morale.
A questo proposito è bene soffermarci sulla definizione di Libertà, che propongo di intendere come “il potere di compiere o non compiere certi atti secondo la determinazione della nostra volontà”. Questa impostazione è molto profonda: essa evidenzia come la libertà dipenda da un atto di discernimento e di volontà che l’individuo deve essere in grado di manifestare tramite il controllo diretto sul proprio agire e che non può essere lasciato alla mercede della passione. Già da questa prima valutazione appare, in tutta la sua evidenza, il tema della responsabilità individuale, che rappresenta la premessa indispensabile il “dovere” imprescindibile da cui partire, per poi definire i limiti del principio di libertà.
Infatti è proprio da questo dovere che nasce poi il “diritto di fare tutto ciò che non è contrario alla legge morale ed alla libertà altrui”.
Esistono più forme di libertà: tra le essenziali ricordo la
libertà religiosa,
la libertà d’opinione,
la libertà politica e via dicendo.
Sono tutte libertà fondamentali che compongono la dimensione della libertà che definirei “esteriore” . In assenza della libertà esteriore, la dignità degli esseri viventi non può raggiungere i livelli che ad essa devono competere.
Esiste però un’altra dimensione della libertà: “la libertà interiore” che è quella che consente di cercare senza vincoli la propria vera identità.
E’ contro questo processo di ricerca della libertà interiore, che si scagliano i dogmi e le ideologie, che tendono a generalizzare, a semplificare la complessità dell’esistenza, livellandone la forma e svuotandone i contenuti.
Ma accanto ai dogmi esterni facilmente individuabili, dobbiamo evidenziare altri dogmi, dogmi tutti interiori, assai pericolosi perché insinuanti e striscianti nella nostra coscienza, dogmi che si costruiscono lentamente durante la nostra esperienza di vita, che rappresentano la somma delle difese che ci siamo creati per sopportare, o meglio per gestire, il nostro dolore. Spesso questi dogmi interiori rappresentano le nostre catene, le più solide e difficili da tranciare: esse non ci permettono di volare nel cielo della coscienza. Esse si realizzano tramite quell’attitudine nascosta, ma potente, a non avere il necessario approccio critico verso le situazioni considerate scontate, impedendo quel processo di costruzione dell’immaginario individuale, fondamentale per qualsiasi forma di progresso interiore.
Allora il dubbio costruttivo risulta essere uno strumento essenziale per conquistare la nostra Libertà interiore e ritrovare la parte divina che è dentro di noi, ed esiste nonostante spesso cerchiamo di non vederla, di non sentirla e tanto meno interpretarla.
Appare dunque chiaro che la Libertà esteriore è solo condizione necessaria, ma non sufficiente, per il raggiungimento della libertà: è infatti la libertà interiore che consente di vivere una vita consapevole ed in piena coscienza.
Lo studioso Riccardo Chissotti giunge ad affermare che: ”chi è libero interiormente non teme l’esteriorità. Tuttavia chi raggiunge la piena Libertà interiore si batte perché a tutti sia data la possibilità di raggiungere la piena coscienza della propria libera individualità”.
Fortissima è poi l’interrelazione reciproca tra i principi di Morale e Libertà se correlati alla Virtù, intesa come “disposizione a fare il bene per se stesso, senza attendersi alcun utile….”.
Proprio perché penso sia il tempo, quando si parla di morale e di etica, di approfondire il tema dei principi e dei valori, vi propongo la visione che Emanuele Kant aveva maturato sul significato della Virtù. Egli passò da un giudizio sull’azione a quello sulle intenzioni della coscienza dell’agente. In altre parole è virtuoso l’agire mosso da vero amore, che si esprime con il massimo disinteresse e non si ferma dinnanzi al sacrificio.
Tra i Principi che sento essenziali mi è d’obbligo trattare quello che io definisco il Principio di pacificazione, quale concetto fondante il valore della tolleranza, inteso, lasciatemi dire, nel senso laico del termine.
Ma ancora vorrei tentare di approfondire analizzando ulteriormente il fragile equilibrio esistente tra il principio di pacificazione e quello di libertà individuale, in stretta connessione con il valore della tolleranza.
Pacificare deriva dal latino dotto “pacificare “ ed è un verbo composto pacis (genitivo di pax) e ficare (= fabbricare, fare) quindi pacificare significa riportare alla pace, calmare, riconciliare.
La pacificazione conseguentemente sta ad indicare quel processo che porta alla risoluzione di contrasti, alla riconciliazione, alla serenità
L’accezione che forse potremmo assegnare a questa parola potrebbe assumere probabilmente una precipua valenza se l’atto di portare la pace fosse riflessivo, se cioè si riferisse non tanto o non solo a soggetti terzi, ma se fosse prevalentemente rivolto a noi stessi . In altre parole forse il primo vero atto di pacificazione dovrebbe essere quello che ci consente di accettare noi stessi per come siamo nella nostra essenzialità, in termini di consapevolezza del presente, ma anche e soprattutto di propensione al cammino del miglioramento a cui siamo chiamati se siamo uomini liberi protesi verso la continua ricerca del Vero e del Giusto.
Una pacificazione interiore cioè intesa non come intimistica giustificazione delle nostre tendenze comportamentali, ma come processo di elaborazione continua e consapevole, che sposti continuamente in avanti ogni nostro comportamento umano in direzione del Meglio, superando quelle nostre tendenze che sono tipiche manifestazioni del nostro essere peggiore quali l’egoismo, l’avarizia, l’irrispettosità e tutto quanto, pur facendo assolutamente parte dell’essere umano e pur essendo presente in ognuno di noi al di là di quanto si possa credere, dicevo tutto quanto appartiene alla sfera della negatività, la parte più buia con cui non si può non convivere.
La pacificazione dunque non come rinuncia al cambiamento o peggio come rassegnazione per come siamo, al contrario intesa come sereno sforzo teso a fare emergere le parti migliori di ognuno con lo scopo di integrarle o meglio coniugarle con l’insieme delle energie positive presenti in ogni uomo, senza distinzione alcuna.
Una pacificazione portatrice di serenità, di equilibrio, di accresciuta saggezza, poiché basata su alti livelli di energia vitale.
Una pacificazione cioè che si manifesta quale attitudine intrinseca al genere umano che rappresenta la tendenza evolutiva dell’Umana Famiglia verso quella “rivoluzione umana” che, in modo non violento, è presente in alcune religioni orientali tra cui il buddismo, ma non solo.
Un buon grado di pacificazione interiore risulta essere, a mio avviso, un requisito fondamentale per potersi poi confrontare con gli altri e più in generale con la vita “in modo pacifico”.
Risulta inoltre difficile comprendere che tale attitudine/atteggiamento possa essere presente in chi, carico di risentimento e di bramosia o di invidia verso il prossimo, si proclami fautore della pace e della difesa di quei diritti che spesso si identificano con interessi personali.
E’ importante cioè in questo contesto sapere non solo in che direzione orientarsi, ma serve capire come si vuole percorrere il cammino intrapreso per la ricerca del Vero e del Giusto, poiché spesso è tramite la modalità della ricerca che si raggiungono mete insperate non di rado neppure concepibili all’inizio del percorso.
L’atteggiamento alla pacificazione penso possa essere di grande aiuto in questo processo inteso come continua riconciliazione del nostro agire con il nostro essere, della nostra individualità con la nostra socialità.
Mi pare evidente come questo atteggiamento di serena pacificazione giovi in modo rilevante all’affermazione valore di tolleranza, quale consapevole accettazione culturale della diversità intesa in senso lato.
A questo punto la domanda sorge spontanea: come è possibile coniugare pacificazione prima, tolleranza poi, al principio della libertà individuale?
Quali e dove sono i limiti che consentono di accettare l’altrui comportamento senza passare da un principio di tolleranza ad una amorfa accettazione di comodo o peggio passiva?
Quando giunge il tempo di non tollerare per salvaguardare il principio di libertà individuale?
Quando lasciare la nobile sponda della tolleranza per attraccare nell’infido porto della compiacenza o peggio della complicità?
In ultima analisi: è possibile dare una misura ed un limite al valore della tolleranza con l’encomiabile fine di rispettare il principio della libertà individuale?
Le risposte possibili sono davvero tante, non saprei valutare quante di queste possano essere universalmente applicabili.
Probabilmente il limite o meglio i limiti non sono sempre gli stessi e non sono sempre posizionati al medesimo livello, essendo funzione di tutte le variabili che contraddistinguono il contesto a cui si fa riferimento, che possono essere l’ambiente sociale, lo stadio di evoluzione culturale, il sistema dei valori, le condizioni economiche, ecc…
Pensare di potere fornire modelli di riferimento può portarci a percorrere lasciatemi dire “la cattiva strada del dogmatismo ideologico”.
In questo contesto dunque le risposte possono essere utilmente ricercate nella continua attitudine alla riconciliazione, alla pacificazione appunto come strumento di ricomposizione dell’equilibrio prima di tutto individuale e successivamente sociale, ma anche economico, politico, ecc.
Se questo è vero, allora l’educazione alla pacificazione potrebbe fornire un contributo fattivo all’evoluzione progressiva della Umana Famiglia, sostituendosi al modello material-consumistico, fondato sul principio della convenienza utilitaristica e sostanzialmente egoistica.
Cari amici,
io sento l’esigenza, che peraltro condivido con colleghi, amici, persone libere, di riprendere una pacata, ma determinata discussione sul tema dei valori, poiché essa può rappresentare la base per definire una visione globale del nostro mondo contemporaneo ricco, ma spoglio, così tondo ma così piatto.
I valori rappresentano il contenuto dei principi, ne qualificano la dimensione e la tipologia, la profondità e la vastità. Lo abbiamo appena visto trattando il valore della tolleranza.
E’ in questo mosaico, che ha come cornice i principi, che le tessere dei valori, che hanno diverse forme, diversi colori vanno a costituire rappresentazioni sempre in divenire, che danno il senso del cambiamento continuo e la direzione del senso di marcia nella più ampia libertà creatrice.
I Principi quindi quali cornici che contengono e non costringono i valori che in un continuo loro intersecarsi formano pitture sempre diverse che fanno mutare le tonalità stesse delle cornici del mosaico.
Questo è l’impianto teorico che propongo questa sera.
Se la Morale ha come peculiarità intrinseca la scelta tra Bene e Male, allora a questo punto è bene tentare una definizione di questi importanti concetti.
La storia delle religioni monoteiste ci insegna che il Bene è indicato come valore universale. Contestualmente viene messa alla berlina la concezione positivistica della scienza che fonda le sue radici sulla relatività delle teorie e sulla loro dimostrabilità fenomenologica.
La diaspora tra universalità e relativismo rappresenta un modo assai parziale e lasciatemi dire, ideologico per affrontare un tema di tale rilevanza.
Io qui propongo una nuova modalità che è basata su tre importanti principi:
1. La contestualità Bene Male nello stesso istante, nella stessa situazione, nella stessa persona;
2. Bene e Male sono due facce della stessa medaglia che è la vita;
3. Bene e Male sono funzione dello spazio e del tempo.
La prima affermazione consta nel riconoscere la realtà olistica dell’universo che tutto contiene contestualmente al suo interno: il caldo e il freddo, il secco e l’umido, il bello e il brutto, il buono e il cattivo, l’avarizia e la generosità e via dicendo.
La seconda, accettando la presenza contestuale pone sull’individuo la libera scelta di fare emergere la parte più chiara o quella più scura che giace dentro di sé; è il fondamento dell’etica della responsabilità personale.
La terza parte dall’assunto prevede che quanto è considerato Bene in un determinato contesto geografico (es. il nostro paese) può non esserlo nello stesso preciso istante in un altro paese del mondo (es. Iran) (variabile spazio). Es. uguaglianza dei diritti uomo-donna.
Ancora: ciò che oggi nel nostro paese è ritenuto Male può non esserlo stato nello stesso paese solo 50 anni fa (variabile tempo). Es. fumare.
In questo ambito di ragionamento la Morale ha dunque una valenza preminentemente a-religiosa ed assolutamente laica.
Non è facile ai giorni nostri fare un discorso sulla laicità: fa parte di quei valori che sono stati talmente annacquati da avere perso il loro sapore originario, assumendo dimensioni tanto indistinte e sottili da non essere più nemmeno percepite. Oramai siamo tutti laici.
Solo alcuni “senza dio” sono laicisti (accezione fortemente negativa con forti tratti anticlericali).
Mi pare di rivivere i tempi in cui i benpensanti usavano nello stesso modo la parola femminista, che si contrapponeva alla conformistica visione della donna giusta definita solo “femminile”.
Mi chiedo perché tutto questo. Perché bistrattare la nostra meravigliosa lingua per stravolgere il significato della parola?
La parola è un simbolo e dietro ad essa deve esserci un significato condiviso: è la base della comunicazione.
Oramai nessuno o quasi dichiara di essere comunista, ma si comporta secondo le stesse modalità ed usa gli stessi paradigmi ideologici.
I cattolici dichiarano di non essere più confessionali, ma continuano a riunirsi tra loro attendendo direttive dal Vaticano, che mai come in questi momenti sta esercitando a piene mani il suo potere di influenza nelle politiche del governo nazionale.
Ma comunque tutti si dichiarano laici.
Noi dobbiamo essere chiari sul senso e significato della parola laicità, per evitare di svuotarne il suo contenuto intrinseco.
Essere laici, a mio modo di vedere, significa certamente consentire a chiunque di esprimere le proprie opinioni su ogni tema oggetto di discussione, ma significa anche preservare lo Stato dalle indebite ingerenze da parte di Istituzioni confessionali.
Essere laico significa non essere irretito dai paradigmi rigidi e asfissianti delle ideologie.
Essere laico significa essere indipendente dai precetti delle dottrine religiose, che sono stati concepiti per “religare” cioè vincolare e legare insieme.
Significa essere uomo libero internamente ed esternamente per come prima abbiamo rappresentato il principio della libertà.
Essere laico significa non accontentarsi mai di quanto si è scoperto, ma proseguire nella ricerca del Vero e del Giusto che non può mai terminare, rifiutando ricette o modelli rassicuranti, che altro non fanno se non costruire barriere da cui non è poi più possibile uscire.
Significa altresì sentire il senso della propria coscienza, restarne sempre collegato durante l’agire per scegliere liberamente ma responsabilmente.
Questo è un modo di concepire una Morale laica che è caratteristica delll’uomo libero che, come Kant sosteneva, ha dentro di sé la legge morale, ma sopra di sé un cielo di stelle.
Cari amici abbiamo una grande opportunità che si presenta. A noi saperla cogliere per portare quel cambiamento valoriale a cui il nostro tempo ci chiama a contribuire.
Dobbiamo sentirci figli di un passato di grandi tradizioni laiche in Europa e nelle Americhe, ma anche padri di un futuro in cui la tradizione laica potrà affermarsi anche nel nostro paese.
Grazie
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