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GLOBALIZZAZIONE SOLIDALE

TITOLO

LORENZO PREGLIASCO - il paese che siamo Mondadori 2023 recensione di Francesco Rigatelli su Il Secolo XIX

DATA PUBBLICAZIONE

02/07/2023

LUOGO

Genova


Un articolo di Pier Paolo Pasolini del 1974, subito dopo il referendum sul divorzio, si intitolava "Gli italiani non sono più quelli". L'intellettuale teorizzava che i due grandi partiti di massa, Dc e Pci, non avevano compreso la traiettoria della società, che in appena un decennio aveva preso una nuova direzione. Ancora nel 1966 infatti un sondaggio Doxa rilevava che il 56 per cento della popolazione era contrario al divorzio.
Come può avvenire un cambiamento simile? È questa la domanda che scorre nel ricco saggio di Lorenzo Pregliasco, torinese, sondaggista e fondatore di YouTrend, "Il paese che siamo" (Mondadori), che ripercorre le grandi svolte della storia repubblicana, dal 2 giugno 1946 alla Costituzione, dal boom economico agli anni di piombo, dai referendum degli anni '70 all'individualismo degli anni '80, da Berlusconi a Grillo. Un viaggio che ricorda sociologicamente "La meglio gioventù" di Marco Tullio Giordana, ma è ben radicato nella storia grazie a una solida bibliografia.
E in effetti Pregliasco proprio questo vuole e riesce a fare: scrivere un libro per quei ragazzi che a scuola non arrivano a studiare il Novecento e non possono comprendere a pieno "il paese che siamo". Forse mancano alcuni passaggi, Prodi e l'Ulivo, l'Ue e l'euro, i sindaci e Renzi, ma la cavalcata è piena di curiosità, riferimenti e citazioni per appassionati.
Il senso della storia è che il cambiamento avviene piano piano, ma con quella «pazienza attiva» di cui parlava Tommaso Padoa-Schioppa. Tutti i successi della Repubblica sono stati costruiti spesso controvertendo i pronostici, ci fa sapere il sondaggista. «L'arco dell'universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia», disse Martin Luther King nel 1967, una frase che Barack Obama fece scrivere ai bordi del tappeto del suo studio Ovale. Nella sua versione completa quella citazione, risalente al pastore protestante Theodore Parker, faceva riferimento alla coscienza necessaria: «Ogni cambiamento, ogni progresso, ogni conquista richiedono coscienza e azione, non solo che passi il tempo dovuto», chiosa l'autore.
Per ogni trasformazione, insomma, è decisivo il ruolo dei cittadini, in particolare di «settori minoritari dell'opinione pubblica, che però si intestano una battaglia, la amplificano, la fanno vivere con coraggio e costanza. Così il tema entra nell'agenda pubblica, diventa un argomento rispetto al quale i partiti sentono di doversi schierare e i cittadini avvertono di doversi fare un'idea. Senza la miccia iniziale dei movimenti, delle associazioni, dei radicali, dei giornali forse il divorzio, o l'aborto qualche anno più tardi, non sarebbe diventato un problema di tutti».
È il caso ora del fine vita e di altri nuovi diritti ed è stato il successo nel 2016 delle unioni civili, che solo nove anni prima, nel 2007, erano sembrate inopportune nella forma ben più timida dei "Dico", abbandonati dalla maggioranza di centrosinistra che li aveva proposti.
Ne viene fuori il ritratto di un Paese di buon senso, come lo descrive anche Giuseppe De Rita, che fa ben sperare nel caso di malaugurati rischi di deriva autoritaria. Certo non mancano i nodi da sciogliere, la Costituzione in parte ancora da attuare, la criminalità organizzata, l'evasione fiscale, la scuola, ma c'è da sperare che nel giro di un decennio nuove sensibilità portino a concentrarsi su molti problemi in maniera decisiva.
Sempre con i referendum degli anni '70 gli italiani però scoprirono che si può vivere fuori dai partiti e magari farne a meno. Un fenomeno dovuto ai temi etici, all'individualismo, ma anche alla corruzione e alle mancate risposte della politica. In fondo, cosa fu il grillismo se non la reazione a un vuoto lasciato dal Pd? Sono le basi della disaffezione di oggi, quando pure il populismo è rimasto senza popolo. Dal 1979 al 1992 le schede non valide e gli astenuti passarono da 5,5 milioni a 8,2. Nel 2022 sono stati quasi 18 milioni e FdI ha raccolto il 26 per cento con poco più di 7 milioni di voti. «Con l'affluenza di qualche elezione politica fa, non sarebbero bastati per avvicinarsi al 20 per cento», ricorda Pregliasco, che mette in guardia da una percezione pericolosa: «Non solo tanti italiani considerano la politica inefficiente, miope e litigiosa; ma sempre più cittadini sentono, per dirla semplicemente, che non è il luogo in cui si decidono le cose». —

 

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Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .