Da CorrierEconomia (per g.c. del Corriere) di lunedì 5 febbraio 2006
Dossier
I cambiamenti climatici dell’economia
L’eco-socialista
Qui Europa “Le regole del mercato non sempre valgono: la salvezza di Venezia non ha un giusto prezzo”
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Ruffolo: «Crescita senza limiti? È il più ideologico degli errori»
Dice il presidente del Cer: «Smith e Stuart Mill teorizzavano un equilibrio stazionario, in grado di armonizzare risorse naturali e sociali. Poi, però...»
Con il surriscaldamento globale, qualche comparto ci guadagnerà: dai produttori di auto specializzati in motori ibridi all' industria dell' energia alternativa. Cambieranno degli equilibri geoeconomici: alcuni Paesi si avvantaggeranno nello sfruttamento del greggio, più facile da estrarre sotto croste di ghiaccio meno spesse». A Giorgio Ruffolo non piace l' iscrizione al club degli apocalittici. Ma, sull' ambiente, è molto cauto: «Al di là di tutto, una cosa va detta: la sopravvivenza della specie umana non è negoziabile». Ottant' anni, è davvero un rappresentante della vecchia Europa. Lui, oggi, si definisce un post-keynesiano. La sua cultura politica e la sua analisi delle cose hanno le radici impiantate nell' albero della sinistra continentale classica. Nel 1963, ha fatto il segretario generale alla Programmazione economica del primo governo di centrosinistra. Oggi è presidente del Centro Europa Ricerche. Allievo di Giorgio Fuà, amico di Federico Caffè e di Paolo Sylos Labini, negli anni Ottanta è stato deputato socialista alla Camera, al Senato e al Parlamento Europeo. Ha avuto in mano il dicastero dell' Ambiente nei governi Goria (1987-1988), De Mita (1988-1989) e Andreotti (1991-1992). Come tanti, è giunto ad accettare il capitalismo, a patto che ne vengano definiti i limiti. Uno di essi è il rispetto per l' ambiente, tema che ha affrontato in saggi come «La qualità sociale», «Potenza e potere» e «Lo sviluppo dei limiti».
Professore, ma siamo sicuri che gli allarmi sui cambiamenti climatici siano fondati?
«Guardi, io non sono uno scienziato, ma mi pare che non vi siano dubbi su dove stiamo andando. Dalla conferenza di Stoccolma del 1972 a quella di Rio del 1992, passando per il rapporto Brundtland del 1987, fino agli allarmi dell' Onu e soprattutto al rapporto Stern del governo Blair, è assodato che l' ambiente sta sperimentando un degrado di cui il riscaldamento globale costituisce soltanto l' effetto più appariscente e devastante. Di fronte all' inquinamento e all' esaurimento delle risorse, dobbiamo fare qualcosa. E questa consapevolezza, oggi, sta diventando trasversale a ogni posizione culturale e politica».
In che senso?
«La convinzione della necessità di un intervento rapido e corale a difesa della natura si è ormai diffusa anche negli ambienti vicini al pensiero più schiettamente liberale e liberista. Per esempio, sono apparsi articoli sull' Economist che hanno recepito le posizioni blairiane del rapporto Stern. Perfino l' amministrazione americana, anche se resta ostile al protocollo di Kyoto, ha compiuto alcune aperture sul versante dell' ambiente. E pure qualche grande industria americana ha applaudito e sollecitato questa prima svolta. Una coscienza nuova, che comunque si sta affermando soprattutto nel Vecchio Continente. Sarà perché sappiamo bene che il 90% delle specie apparse sulla terra è scomparso. Dal punto di vista cosmico, conterà poco. Ma, se pensiamo ai nipoti dei nostri nipoti, il destino della specie umana conta moltissimo».
Quali sono le ricette per contrastare il global warming?
«Bisogna adottare un modello di sviluppo che comporti una moderazione dei consumi e un trasferimento delle risorse verso i Paesi più poveri. Esattamente il contrario di quanto capita oggi: ogni anno si spendono 500 miliardi di euro in pubblicità e la maggioranza dei risparmi finisce negli Stati Uniti».
Non è una visione antimoderna?
«No, al contrario, è una visione modernissima. Basti pensare che, alla sua origine, ci sono due pensatori assolutamente contemporanei come i padri del liberalismo John Stuart-Mill e Adam Smith. La loro idea di equilibrio economico, che mette in correlazione armonica le risorse naturali e quelle sociali, è quella di un equilibrio stazionario. Esattamente il contrario della crescita senza limiti che si afferma, anche come ideologia, dopo la rivoluzione industriale».
Cosa c' è di male in un aumento costante del Pil?
«Di male ci sono due cose. Primo che il Pil, cioè il prodotto interno lordo, si trasforma irremediabilmente anche in Lip, lordura interna prodotta. Inoltre, il Pil è una misura quantitativa, mentre il progresso è soprattutto un processo di tipo qualitativo. Bisogna distinguere fra la semplice crescita e lo sviluppo, un fenomeno più complesso in cui si intrecciano elementi diversi: economici, finanziari, sociali e culturali, come il rispetto dell' ambiente da parte di tutti. Cittadini, ma anche imprenditori. Qualche settore che ci guadagnerà, ci sarà: penso alle energie rinnovabili. Ma, alla fine, oggi come oggi il bilancio è in passivo per tutti».
Alcuni osservatori, però, sostengono che i costi da sostenere per contrastare il riscaldamento globale sono superiori ai benefici che ne deriverebbero.
«Sì, peccato che i meccanismi del mercato non funzionino con l' ambiente. I prezzi sono validi quando esistono scarsità relative, a cui si assegnano valori finanziari. La scarsità delle risorse naturali è, invece, di tipo assoluto. Quando le consumi, non esistono più e non sono riproducibili. C' è un errore di pensiero, all' origine, che vizia visioni, comportamenti individuali e scelte politiche collettive».
Sì, però un minimo di calcolo dei costi-benefici va fatto. È normale nelle decisioni dei policy makers.
«Dipende da quale decisione va presa. Se sul piatto abbiamo la salvezza di Venezia, come possiamo pensare di mettere in dubbio l' investimento del Mose? Ci sono pezzi della nostra civiltà che dobbiamo salvaguardare a ogni prezzo».
In questo caso, però, la politica diventa padrona dell' economia.
«L' economia è sempre stata ancillare rispetto alla politica. Nelle scienze, ma soprattutto nella storia. Il problema del riscaldamento globale offre l' opportunità alla politica di ristabilire il suo primato. Non con una supremazia statolatrica che la imprigioni. Piuttosto, attraverso decisioni frutto del consenso democratico, in grado di porre rimedio ai fallimenti del mercato. L' economia, sia quella di stampo capitalistico e postcapitalistico dell' occidente sia quella comunista cinese, ha un potere distruttivo che va fermato. È ora che la politica riprenda il suo spazio».
Bricco Paolo
“Anche l’Economist,
faro dei liberisti europei,
ha accolto posizioni dei verdi.
John Micklethwait(The Economist)
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Giorgio Ruffolo da tempo insiste, assieme a Giovanni Sartori,a dire che "il mercato è cieco" e molto ma molto pericoloso per la stessa sopravvivenza dell'intera umanità.
Tuttavia, delle due l'una, o l’azione politica internazionale socialdemocratica riesce a governare il mercato globalizzato totalmente in mano alle multinazionali oppure se risultasse impossibile, le forze antagoniste della sinistra radicale e non è proprio il caso di stupirsi,saranno pienamente giustificate a fare la lotta, anche armata, per il sovvertimento di questo sistema.
Luigi Fasce
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