Il capitalismo globale, che è dominante, secondo la definizione di mondo
globalizzato attuale, è un sistema insostenibile da un punto di vista
economico, sociale, politico e culturale (includendo naturalmente anche l'
aspetto ambientale). La sua insostenibilità implica che il capitalismo
globale non può essere il futuro delle nostre società. Nella sezione due
verrà esaminata una società del benessere (Welfare) globale, come meta
verso la quale dovrebbero tendere i prossimi venti anni. Mostrerò come una
società del benessere globale non solo sia desiderabile ma anche
possibile.Vi sono molti segnali (sia forti che deboli) che danno un
realistico fondamento politico a questa possibilità. La sostenibilità di
un benessere globale implica che esso appartiene al futuro delle nostre
società.
Il mondo globalizzato odierno: la sua insostenibilità
Capitalismo globale. Il mondo globalizzato attuale
Il mondo sviluppato (i paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economici) rappresenta il 12 per cento della popolazione globale,
ma l'86 per cento e l'88 per cento rispettivamente della ricchezza e dei
consumi mondiali. Capitalismo globale sembra il termine più adatto per
caratterizzare il mondo globalizzato odierno. Il capitalismo globale può
essere compreso come il fatto che i principi fondativi ideologici e
teoretici, i regolamenti attuativi e le istituzioni del sistema di mercato
capitalistico occidentale guidano, determinano e controllano la
destinazione delle risorse materiali e immateriali e la ridistribuzione
della ricchezza prodotta in tutto il mondo. Pertanto, capitalismo globale
significa oggi la direzione e il controllo politico-economico presi a
livello planetario, sia per quanto riguarda le relazioni tra persone, tra
gruppi sociali, economie locali e governi, da parte di tre poteri: . il
potere del mercato; . il potere dell'impresa privata; . il potere del
capitale. Il potere del mercato è affermazione da parte delle classi
dominanti dei Paesi più sviluppati, per la quale il mercato dovrebbe
essere il meccanismo principale a controllare l'allocazione delle risorse
e la ridistribuzione dei guadagni derivanti dalla produttività, tra i
diversi componenti della produzione e all'interno della società. Il potere
del mercato non è limitato alle economie nazionali, ma raggiunge tutti nel
mondo, in accordo col concetto - promosso e imposto con successo alla
nostra gente dalle forze politico-sociali ed economiche dominanti - che la
storia si muove inevitabilmente ed inesorabilmente verso la creazione di
un singolo Mercato Globale, che si autoregola. Si dice che questo è il
destino naturale verso il quale evolvono le nostre economie,
particolarmente in seguito agli sviluppi tecnologici nell'area dei
trasporti, delle comunicazioni e dell' informatica, che hanno rotto le
barriere spaziali, riducendo le distanze e mutando la Terra in un
villaggio globale.
Chi pensasse solo di rallentare questa forma di sviluppo, non dico di
combatterla o prevenirla, sarebbe preso per cieco o matto. Questo vorrebbe
dire tentare di uscire dalla storia. L'avvento del mercato globale che si
autoregola si dice essere il corso normale della storia.
Pertanto si può capire perché le classi dirigenti dei nostri Paesi hanno
deciso, specialmente durante questi ultimi venti anni, che il loro ruolo
principale - come autorità - sia di facilitare il processo di creazione
del mercato globale e di creare nel proprio Paese le condizioni ottimali
per l' integrazione/adattamento del mercato locale (nazionale) a quello
globale, nella maniera più efficiente possibile, nell'interesse prevalente
dei soggeti economici operanti in loco.
La vita quotidiana da noi vissuta negli ultimi venti anni ce lo conferma.
I governi nazionali hanno individuato quale loro compito principale il
promuovere la migliore integrazione possibile delle loro economie nell'
economia globale. Tutto il resto è sottoposto a questo scopo: le politiche
degli investimenti, le innovazioni tecnologiche, le politiche del mercato
del lavoro, l'educazione e formazione al lavoro, la regolamentazione degli
affari e del commercio, le politiche fiscali, ed in Europa occidentale, il
processo di integrazione europea. Il potere dell'iniziativa privata è
visto nell'imposizione e/o nell' accettazione del principio che
l'iniziativa privata sia la forma di organizzazione più appropriata e
adatta per gestire al meglio le risorse disponibili. Si suppone che solo
l'iniziativa privata sia capace di farlo in maniera ottimale, in quanto il
suo scopo principale è di massimizzare il profitto, e quindi è costretta
inevitabilmente alla continua innovazione tecnologica, per ridurre i costi
di produzione e i prezzi di vendita, per migliorare la qualità del
prodotto, aumentare la varietà e promuovere flessibilità
nell'organizzazione e nel management. Pertanto il potere dell' iniziativa
privata consiste nel fatto che i nostri manager hanno affidato ad esso il
compito di definire le priorità per gli investimenti, l' organizzazione e
la distribuzione delle risorse (includendo tra queste, quelle che abbiamo
chiamato negli ultimi 20 anni, le risorse umane), e per soddisfare le
richieste del mercato.
Fra le varie conseguenze del fatto che le nostre società hanno affidato
all' iniziativa privata questo potere, vi sono due effetti, da
evidenziare. Il primo è che i nostri parlamenti, le organizzazioni che
rappresentano il corpo politico, i cittadini del Paese, non sono più
quelli che definiscono le priorità di cui s'è detto sopra. Questa scelta
viene compiuta da un' organizzazione - l'azienda privata - che in nessun
modo rappresenta i cittadini. Se rappresenta ed è responsabile di
qualcuno, l'azienda lo è verso i detentori del suo capitale, siano essi
membri di una famiglia o azionisti.
L'altro effetto è che ogni persona in età lavorativa viene ridotta allo
stato di risorsa umana. In una società sotto l'influenza del potere dell'
impresa privata, le persone in età lavorativa non sono più viste come
cittadini, come individui con dei diritti in quanto tali. Come risorse
umane, i loro diritti dipendono dalla loro redditività, secondo i criteri
fissati dalle aziende private. La loro redditività è ciò che determina il
loro diritto ad esistere. Nel momento in cui non sono più redditizi per l'
azienda che li impiega, possono diventare ridondanti, messi da parte,
espulsi, abbandonati. Questo ci porta al potere del capitale. Che
significa accettare nella nostra società il principio che la redditività
del capitale, il famoso ritorno sull'investimento, sia considerata nella
nostra vita quotidiana come il metro di misura di ogni azione, di ogni
attività economica, di ogni situazione collettiva, di tutti i beni e
servizi. Massimizzare la redditività non solo è l'obiettivo principale per
l'impresa, ma dovrebbe anche essere lo scopo dell'intera economia e di
tutti coloro che agiscono al suo interno, comprese le pubbliche autorità.
Il potere del capitale si esprime, tra gli altri, attraverso tre fenomeni
principali: la mercificazione di ogni valore. Tutto diventa merce, bene
commerciabile, che può essere comprato o venduto, commercializzato. Da cui
l 'importanza che un'istituzione internazionale come il Wto
(l'organizzazione internazionale del commercio) ha conquistato in questi
ultimi anni; l' appropriazione come proprietà privata di qualsiasi risorsa
materiale o immateriale, inclusi esseri viventi, grazie alla
generalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale. Da qui
l'importanza attribuita dalle forze economiche al Trip (Trade related
intellectual property, Proprietà intellettuale nei rapporti commerciali)
all'interno del Gats (General agreement on trades and services, Accordo
generale su commercio e servizi); la finanziarizzazione dell'economia,
cioè la crescente trasformazione dell' economia in pura finanza.
Lo sviluppo del capitalismo del mercato globale
Se l'avvento del mercato globale viene assunto come fatto inevitabile, si
capisce l'importanza data a tre principi ideologici che hanno trasformato
il sistema economico e politico-sociale nei nostri Paesi: liberalizzazione
dei mercati; deregulation dell'economia; privatizzazione di interi settori
dell' economia e della società.
La liberalizzazione dei mercati fa parte delle linee di condotta che hanno
portato a definire il Gatt (Accordo generale per le tariffe e il
commercio) e il sistema di Bretton Woods con il suo Fmi e la Banca
mondiale, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Si asserisce
che è diventato inevitabile, in seguito alla liberalizzazione dei
movimenti di capitale dentro e fuori gli Stati Uniti, deciso da Nixon nel
'74, dopo aver eliminato la convertibilità del dollaro nel '71, spingendo
l'economia mondiale verso una forte instabilità monetaria. La
liberalizzazione ha portato alla formazione di un mercato capitalistico
globale, caratterizzato dalla totale libertà dei movimenti di capitali in
tutto il mondo.
La liberalizzazione dei movimenti di capitali ha naturalmente incoraggiato
e sviluppato il processo di liberalizzazione degli altri mercati di beni e
servizi. Sin da allora il mercato libero viene visto come la fondamentale
espressione di libertà nei nostri Paesi. Ci si dice che tutte le altre
libertà dipendono dalla libertà dei mercati. Qualsiasi limitazione al
mercato libero, ci viene raccontato, porterebbe a limitazioni nelle altre
libertà, quali il diritto di proprietà, la libera iniziativa, la libertà
di commercio, di innovazione, e così via.
Da vari punti di vista la liberalizzazione è stato il primo stadio, prima
della deregulation e della privatizzazione. Ha invaso tutti i settori e si
è imposta in ogni paese; altrimenti il singolo paese avrebbe rischiato di
essere accusato di protezionismo e sarebbe stato messo al bando dall'
economia globale. Vedi ad esempio le condizioni imposte dai paesi
occidentali per gli aiuti forniti ai paesi dell'ex Unione Sovietica e dei
paesi dell'Europa Orientale negli anni scorsi, in conformità con l'Fmi e
la Banca Mondiale.
La liberalizzazione dei mercati industriali, agricoli e di servizi
(incluso il settore culturale) hanno dato un forte impulso al processo di
deregulation delle funzioni dell'economia, in particolare deregulation
dello Stato. L'unico compito, da lasciare adesso allo Stato, era di
facilitare l' integrazione dell'economia locale nell'economia globale. Da
qualsiasi altro compito lo Stato deve essere distolto, come proposto
dall'Economist del 20 maggio '95. Lo Stato deve lasciare la
regolamentazione dell'economia alle forze del mercato, per una libera
circolazione dei capitali a livello mondiale.
La (de)regulation finanziaria ha quindi preso il posto della regulation
politica. Il denaro non è più un mezzo nelle mani delle autorità
nazionali, per guidare e manovrare l'economia nazionale con lo scopo di un
sano, giusto ed efficace sviluppo umano e sociale. Il denaro è diventato
principalmente una merce, come qualsiasi altra, e viene comprato e venduto
nei mercati finanziari globali con lo scopo del massimo guadagno. Sono gli
operatori e i managers dei capitali, che mentre circolano liberamente nei
mercati finanziari, determinano in massima parte il valore delle valute.
Le autorità politiche, in particolare i parlamenti, hanno in tal modo
perso il controllo delle proprie valute, in maniera sostanziale, a
beneficio dei mercati finanziari. I finanzieri dicono che questo è normale
e giusto, in quanto è previsto che i mercati finanziari funzionino in
maniera più razionale dei governi. Sulla base di questo presupposto (che
non è confermato dalla realtà) si considerano autorizzati a imporre quella
che essi chiamano disciplina finanziaria sulle autorità politiche
nazionali e naturalmente sui cittadini. Questi ultimi sono pertanto
ridotti ad essere considerati e valutati unicamente come consumatori con
denaro da spendere e azionisti intelligenti.
La trasformazione di valuta in una merce che viene trattata sul mercato
finanziario globale, liberalizzato e deregolamentato si traduce in una
serie di imperativi economici, quali: inflazione zero; bilancia dei
pagamenti stabile; budget bilanciati con conseguente riduzione del debito
pubblico; riduzione delle spese statali, specialmente per servizi sociali;
riduzione della pressione fiscale sui capitali e incentivi fiscali atti a
favorire gli investimenti privati. In queste condizioni, l'osservazione
fatta dal presidente della Banca Federale di Germania al Forum Economico
Mondiale di Davos, il 3 febbraio 1996, che i leader politici dovrebbero
sapere che da adesso in poi sono sotto il controllo dei mercati
finanziari, è solo una constatazione oggettiva dello stato dei fatti.
La trasformazione delle regole economiche in finanza pura sta avendo luogo
in un contesto caratterizzato da una sempre crescente e chiara
dissociazione tra economia finanziaria ed economia reale. Dei due miliardi
di dollari rappresentati dalle transazioni finanziarie che avvengono ogni
giorno nel mondo, si stima che solo il 10 per cento finanzino
effettivamente la crescita di nuova ricchezza (investimenti diretti
all'estero, commercio internazionale di beni). Tutto il resto è
semplicemente rapina, strappando profitti, ovunque esista ricchezza,
speculando sul valore reale e su quello anticipato per le varie monete.
Un altro aspetto importante dell'attuale trasformazione dell'economia in
finanza è la trasformazione delle imprese, che producono beni e servizi.
Rimanere competitivi nella corsa verso l'innovazione tecnologica e nella
conquista di una maggiore fetta di mercato sta diventando sempre più
dispendioso anche per le corporazioni multinazionali. Ne deriva, ogni
anno, la sempre crescente ondata di fusioni, megafusioni, piccole o grandi
scalate, associazioni, che stanno spingendo il mercato mondiale odierno in
una configurazione fortemente oligopolistica, quasi monopolistica,
praticamente il contrario di quel mercato competitivo ed autoregolato che
dice di essere, secondo i suoi capi promotori e i suoi servitori. Da qui
deriva anche, seguendo la massiccia riduzione del ruolo di intermediari
che veniva svolto dalle banche la tendenza delle aziende a giocare
contemporaneamente con i propri assetti industriali e finanziari, con
questi ultimi diventati prevalenti negli anni recenti rispetto alle
strategie industriali. Come si dice ovunque il vero amministratore
delegato di una qualsiasi azienda è il direttore finanziario.
La privatizzazione di interi settori dell'economia, in un ambiente
politico-culturale in cui non vi è più alcuna opposizione al considerare
tutto come oggetto di privatizzazione, diventa logicamente l'inevitabile
processo complementare alla liberalizzazione e alla deregulation. Dopo
aver privatizzatole attività agricole ed industriali, gettando a mare
anche le imprese di tipo cooperativo e mutualistico, i nostri leader hanno
anche privatizzato la maggior parte dei servizi, quali le banche, le
assicurazioni, le telecomunicazioni, i trasporti aerei, i sistemi di
trasporto urbano, le ferrovie, l'elettricità, il gas, e anche l'acqua, la
salute e l'educazione scolastica.
Inoltre, a partire dal 1996, con la sua decisione di non legiferare in
materia, il Congresso degli Stati Uniti ha aperto la strada all'industria
privata di impadronirsi anche degli esseri viventi, poiché qualsiasi
specie biologica può essere brevettata. Questa libertà, con alcune
limitazioni, è stata garantita anche dalla Comunità europea nel maggio
1998, a seguito dell 'approvazione da parte del Parlamento europeo di una
direttiva che autorizza a brevettare materiale genetico. Pertanto da
adesso in poi, anche il corpo umano può diventare proprietà, parte del
patrimonio del capitale privato. C'è stato un cambiamento radicale
rispetto al concetto della nostra eredità naturale, l'eredità umana comune
a tutti noi. Nel garantire il diritto di brevettare organismi viventi, i
nostri attuali leader stanno legittimando l' ingiustificata richiesta
degli scienziati e delle industrie bio-tecnologiche, di inventare la vita,
di creare nuove specie viventi. In effetti quello che stanno facendo è di
manipolare vite che già esistono. Nell'effettuare la procreazione
assistita (come la fertilizzazione in vitro), essi proclamano che stanno
aprendo la strada verso una nuova società post-umana. Pertanto, essi
dicono, tutto deve essere disponibile per essere preso e diventare
proprietà privata di coloro che lo hanno scoperto e quindi inventato. La
stessa pretesa di essere entrati in una nuova era di civiltà post-umana
viene dichiarata dagli ingegneri e dalle corporazioni che si occupano di
intelligenze artificiali e di reti intelligenti. Il capitale ha raggiunto
un livello (ed un contenuto) di potere tale che non è stato mai
eguagliato, eccetto, ceteris paribus, al tempo della trionfale
industrializzazione della seconda metà del XIX secolo.
Di fronte agli sviluppi e agli sconvolgimenti che ho appena descritto,
anche se in maniera troppo rapida e sommaria, i leader dell'economia del
mercato capitalistico globale sono chiamati a spiegare le basi per
legittimare tali sviluppi e sconvolgimenti. Poiché i governi nazionali,
che derivano il loro potere di decidere e di intervenire dalla loro
rappresentatività politica (parlamenti, democrazia rappresentativa), sono
stati sostituiti dal mercato, quale principale fonte di regolamentazione,
il mercato da dove prende la sua legittimazione? La risposta, ci
direbbero, è insita nel principio di competizione, che è stato elevato al
rango di scopo principale delle strategie degli attori privati e pubblici
nel campo dell'economia. Il culto della nuova bibbia della competizione è
stato predicato, rivelato e imposto ai popoli, sia dei Paesi ricchi e
potenti del mondo, sia a quelli delle nazioni deboli, povere e
svantaggiate, attraverso una moltitudine di rapporti di esperti, studi
accademici, conferenze nazionali, continentali e mondiali, da numerosi
comitati europei e mondiali di altissimo livello. Poiché la mia azienda è
la più competitiva, io ho il diritto, dopo aver preso il potere nel
mercato mondiale, di tenere sotto controllo il destino del mio campo di
attività. La stessa cosa succede per tutte le altre aziende insieme.
Quelle che sono sopravvissute, vengono considerate essere quelle che hanno
dimostrato di essere migliori delle altre. Da adesso in poi hanno il
diritto legittimo di gestire l'economia mondiale. Il mondo è stato ridotto
ad una serie di mercati liberalizzati e deregolamentati da conquistare, ad
un palcoscenico privilegiato per guerre tecnologiche, industriali e
commerciali tra gruppi mondiali di corporazioni multinazionali, con ogni
gruppo che cerca di conquistare la sovranità, o per lo meno di entrare a
far parte dell'oligopolio globale, del club esclusivo dei primi cinque o
dei primi tre del mondo, verso il quale ogni mercato globale sta tendendo.
Alla luce di quanto sopra si possono sottoscrivere le scelte che le classi
dominanti, politiche, economiche, sociali hanno fatto negli ultimi 25
anni? Io credo proprio di no, ed ecco quali sono le ragioni.
Le devastazioni dell'attuale economia capitalistica globale
Sin dall'inizio degli anni Ottanta io ho tentato, come del resto molti
altri ricercatori e scienziati in vari Paesi del mondo, di portare alla
luce l' impoverimento e la perdita di autonomia che sarebbe risultata
dallo scegliere di dare la precedenza all'integrazione e all'adattamento
delle economie nazionali (soggette agli interessi delle più potenti
corporazioni dei nostri paesi) all'economia globale, alla mercé delle
libere forze di mercato. Oggi nessuno può negare i profondi e radicali
cambiamenti che hanno portato la devastazione fino alle fondamenta delle
nostre società. Il direttore generale della Banca mondiale ha dovuto
ammettere, nel gennaio del 1999, che purtroppo va riconosciuto, alla luce
del massiccio ritorno della povertà nel mondo a partire dagli anni
Ottanta, che le politiche della Banca degli ultimi venti anni sono state
cattive politiche.
Governo gettato a mare: ritirata della leadership della pubblica
amministrazione, supremazia crescente degli operatori privati. Democrazia
politica in pericolo - Il Governo ha abdicato dalla sua autorità
attraverso la pratica dei principi della santissima trinità:
liberalizzazione, deregulation, privatizzazione. Il potere delle pubbliche
autorità di guidare e regolamentare è stato ovunque sensibilmente ridotto,
cominciando dai parlamenti, espressione principale della rappresentatività
politica dei cittadini in uno Stato democratico. Non sono più i parlamenti
a definire l' agenda e le priorità.
L'agenda viene stabilita dagli operatori privati, in particolare dai
mercati finanziari. Questa agenda diventa per i governi esogena, un
vincolo proveniente dall'esterno e - così dicono- non c'è niente da fare
se non adattarvisi.
Il discredito verso la politica (e non solo la politica nazionale) è oggi
ampiamente diffuso tra la gente dei nostri paesi. Quando si raccomanda,
come ha fatto il gruppo Bangemann nel 1994, con il supporto della
Commissione Europea, sotto la presidenza di Jacques Delors, di lasciare
interamente al mercato e al settore privato di guidare le società europee
verso la società dell'informazione globale, non vengono gettati a mare
solo i governi, ma con essi anche tutti i cittadini. Vengono relegati a
ruolo secondario in rapporto al mercato e all'impresa.
L'aspetto più grave di questo sviluppo è che, diventando campioni dell'
adeguamento/integrazione dell'economia nazionale con l'economia globale, i
leader dei governi non riescono a stabilire le condizioni per uno sviluppo
di un potere politico mondiale. Al contrario, contribuiscono a far
emergere e consolidarsi il potere globale privato - governo globale senza
nazionalità.
La stessa cosa succede per la costruzione dell'Unione europea. Più sono
gli Stati membri che hanno praticato i principi della liberalizzazione,
deregulation e privatizzazione, e più hanno creato le condizioni obiettive
per rendere politicamente difficile, se non impossibile, di creare un
potere politico federale europeo nei prossimi 10-20 anni. Hanno
contribuito invece alla definitiva frammentazione dell'Europa, un'Europa
ridotta sempre più alle dinamiche del mercato (mercato unico integrato,
unica moneta europea.). La mancanza di una iniziativa europea e di una
politica autonoma durante la crisi balcanica ha drammaticamente messo in
evidenza questo fenomeno. Inoltre più i Paesi dell'Unione hanno fatto in
modo che le politiche nel campo della tecnologia servissero le esigenze
delle industrie, e più hanno contribuito ad aumentare le divisioni tra gli
europei e ad aumentare il potere dell'industria di stabilire l'agenda per
lo sviluppo delle nostre nazioni.
Abbandono del sistema di Welfare; smantellamento della ricchezza comune;
indebolimento dei vincoli sociali. Un duro colpo al principio di
solidarietà. Cosa sta succedendo ai cittadini nella società? - Il
massiccio ritorno della povertà non rappresenta soltanto la negazione
dello stato moderno. Dimostra anche che l'economia odierna è nemica dei
cittadini. Negli Stati Uniti d'America, il più ricco e potente paese del
mondo, più di 36 milioni di abitanti (circa il 14 per cento della
popolazione) vengono ufficialmente riconosciuti vivere sotto la soglia
della povertà. Più di 52 milioni (su 300 milioni) vivono in povertà nei
paesi dell'Unione europea, la maggiore potenza commerciale del mondo.
Nella sola Gran Bretagna, nel 1994, 13,9 milioni di abitanti erano
registrati come poveri, su circa 60 milioni di persone. Lo stesso vale per
l'esclusione sociale. La Gran Bretagna è il Paese con le maggiori
disuguaglianze di reddito nel mondo. È seguita a ruota dagli Stati Uniti
dove nel 1996 l'1per cento della popolazione possedeva il 42 per cento
della ricchezza del Paese, circa il doppio della percentuale posseduta nel
1960 (22 per cento).
La tecnologia è uno dei fattori principali dell'esclusione sociale, nell'
attuale contesto delle politiche della tecnologia. Quando un dirigente, un
ingegnere, un operaio o un impiegato, viene espulso dal mercato del
lavoro, essendo stato rimpiazzato da uno sviluppo tecnologico, questa
persona ha ben poche probabilità di potervi rientrare. Potrebbe solo farlo
acquisendo nuove conoscenze più avanzate e nuove specializzazioni; queste
potrebbero garantire la sopravvivenza a questa persona per un po', fin
quando non verrà minacciata da nuovi sviluppi tecnologici, che offrano
prestazioni ancora maggiori.
La distribuzione dei guadagni dovuti alla produttività crescente, operano
anch'essi in favore del capitale e contro la manodopera. Non c'è questa
grande differenza tra neo-liberisti e social-democratici negli ambienti
politici dei Paesi economicamente più sviluppati del pianeta. Secondo il
molto rispettato editore del Financial Times, Martin Wolf, la
globalizzazione dell'economia ha portato benefici a tutti, e non solo nei
paesi più sviluppati. Questa tesi viene contraddetta dai dati pubblicati
durante gli ultimi 15 anni dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite
(Undp), dalla Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo
(Unctad) e persino dalla Banca mondiale.
All'interno dei Paesi sviluppati le persone non hanno più molto in comune,
anche al di fuori da quanto rimane dello Stato sociale, e che i nostri
leader stanno cercando di distruggere sempre più. L'economia odierna ci
sta facendo perdere il senso di essere, fare e vivere insieme, il senso
del bene comune. Viene data priorità alle nostre carriere individuali (il
mio livello di istruzione), alle strategie per la sopravvivenza
individuale (il mio lavoro, il mio reddito, la mia pensione), alla
proprietà privata (la mia auto, il mio computer) come espressioni
fondamentali e insostituibili di libertà. La logica della competizione
porta all'inevitabile conclusione della vittoria di un individuo
sull'altro, dell'eliminazione dell'altro. La solidarietà viene adesso
considerata dispendiosa in modo intollerabile, una macina da mulino al
collo delle corporazioni e della loro possibilità di competere nel mercato
mondiale. Il principio che il vincitore prende tutto è accettato
unanimemente.
Secondo le forze che hanno portato al trionfo dell'economia del mercato
capitalistico globale, liberalizzato, deregolamentato, privatizzato e
competitivo, com'è attualmente lo smantellamento del Welfare state era
inevitabile e anche giustificato, e questo per due ragioni.
Primo, essi non riconoscono alcun diritto sociale umano né alcun diritto
dei cittadini. Per l'economia di mercato, dicono, non esiste nessun
diritto dei cittadini in quanto tale, riconosciuto per decreto; la
cittadinanza si acquisisce, può essere tolta, annullata, sospesa. Tutto
dipende da come il mercato si sta comportando e dalle condizioni
finanziarie. Se le risorse finanziarie per la spesa pubblica sono carenti,
non vi può essere previdenza sociale, diritti del cittadino nella società,
anche se i mercati finanziari scoppiano di salute. E infatti: i mercati
finanziari vanno bene, la sicurezza sociale sta andando male.
Secondo, mettono in evidenza il supposto fallimento della battaglia del
Welfare state per la piena occupazione e contro la povertà. Il Welfare
state è fallito, dicono, in quanto era fondato su di un difetto economico
di base (genetico). Questo difetto consisteva nel non riuscire a
comprendere che in ogni economia capitalistica - e tali erano le economie
nelle quali si è sviluppato il Welfare state, - vi sono dei limiti
strutturali al possibile livello di tassazione. Usando questo argomento,
si trascura di ricordare che - in una società capitalistica - il limite
strutturale viene fissato al valore massimo accettabile, e accettato, dal
capitale. E, sicuramente, per il capitale, il livello di tassazione
ottimale è la tassazione zero.
La vendita sotto costo di città, regioni e paesi a causa delle guerre
economiche globali - Il progresso tecnologico viene spesso citato per
spiegare e giustificare la distruzione del tessuto economico e sociale di
intere regioni, e l'abbandono di città, regioni, nazioni che non riescono
a riconvertire rapidamente e in maniera competitiva le loro economie e ad
adattarle ai cambiamenti sopravvenuti nello scenario globale. Anche la
rigidità sociale viene citata, con la quale molti dei nostri leader
tendono ad identificare le forme più avanzate di previdenza sociale, la
regolamentazioni del mercato del lavoro, la presenza di sindacati forti o
un
dialogo sociale intenso, quali ragioni principali per la dislocazione e
la
mancanza di interesse da parte degli investitori stranieri, per tali
regioni o paesi che stanno perdendo impulso. Quello di cui spesso non si
parla è la logica della esclusione e della segregazione, che è insita
nell'odierna economia.
Comunque il più recente rapporto dell'Unctad conferma che l'85 per cento
degli investimenti diretti effettuati da Paesi stranieri nel mondo, si
indirizzano verso le nazioni più sviluppate, così come sta avvenendo da
oltre 15 anni. I ricchi investono dove c'è già ricchezza, cosa che è del
tutto logica in un'economia competitiva, in quanto l'obiettivo principale
è quello di aumentare il valore del patrimonio di coloro che detengono il
capitale. Gli investimenti vanno dove si può ottenere il massimo profitto
e nella maniera più rapida. Vanno verso quei mercati dove vi è il più alto
potere di acquisto (o dove lo sarà in prospettiva breve).
La liberalizzazione dei mercati e del commercio internazionale, sotto il
vessillo della competizione, nella conquista dei mercati ha costretto i
Paesi più poveri ad orientare le loro economie verso la produzione di beni
da esportazione, in maniera da generare beni sufficienti in valuta
straniera per pagare il loro debito verso l'estero. Comunque, in seguito
al deterioramento dei loro rapporti commerciali con l'estero questa
politica non ha loro permesso di rifondere i loro debiti, che sono quindi
aumentati. Il risultato è ben noto: i Paesi meno sviluppati sono diventati
più poveri e le disuguaglianze tra le esigue minoranze del loro Paese, che
sono coinvolte nelle attività di esportazione, e il resto della
popolazione sono aumentate considerevolmente.
La presa di possesso dell'economia globale da parte dei privati è in
continuo aumento e porta alla segregazione e alla vendita sottocosto
(dumping). Questo fenomeno viene illustrato in maniera paradigmatica non
solo dai dati contenuti nel libro di David C. Korten Quando le
corporazioni dominano il mondo ma anche in maniera più significativa dal
nascere negli Stati Uniti di un fenomeno nuovo: lo sviluppo di città
private all'interno delle città esistenti. Queste città private (o città
recinto) vengono formate da imprese di beni immobiliari che acquisiscono
quartieri vicini, li chiudono con muri di cinta e cancellate, dove le
famiglie benestanti possono vivere tranquille, sfuggendo alla violenza
urbana e al crimine. Come una nuova forma di apartheid a rovescio, in
quanto sono i ricchi che si chiudono dentro nel loro ghetto, con una
protezione di tipo militare di alto livello, la città privata illumina la
logica di base che opera in un'economia fondata sulla cultura della
conquista e del gioco a chi vince e chi perde.
Non più dirigenti, operai, impiegati: siamo diventati tutti risorse umane,
utili solo su base temporanea e interinale - Come si diceva prima, il
diritto al lavoro non esiste più. I leader delle nostre economie
continuano a ripetere senza sosta che non è possibile per tutti avere un
lavoro. La piena occupazione dei vecchi tempi è finita, dicono
insistentemente. E - continuano - se in futuro si dovessero riproporre in
qualche modo condizioni di piena occupazione, tutto questo dovrebbe
avvenire su basi nuove: maggior flessibilità, part-time, contratti a
termine, mobilità. Persino gruppi progressisti hanno accettato l'idea che
la piena occupazione richieda una massiccia riduzione in termini di orari
(lavorare meno, lavorare tutti), e di salari. Comunque sia, nelle nostre
società tutto resta ancora legato al lavoro che ciascuno ha: i redditi,
l'integrazione sociale, la propria posizione nella scala sociale, la
soddisfazione di sentirsi utili e riconosciuti, la propria capacità di
autorealizzazione. E allora perché si verifica la discrepanza cui
assistiamo oggi tra i valori della società da una parte e dall'altro il
funzionamento dell'economia, che dice di non poter garantire a tutti un
lavoro o una paga decente? Molte sono le ragioni di tutto questo. Il
diritto al lavoro è morto quando, negli anni '70, gli esseri umani sono
stati trasformati in risorse umane. Non siamo più lavoratori, muratori,
tranvieri, contadini, professori universitari, impiegati di banca,
giornalisti, agenti assicurativi. Siamo tutti, senza eccezione alcuna,
stati ridotti a risorse umane, parti del patrimonio complessivo di risorse
di un Paese o del mondo intero, alla stregua di risorse naturali,
tecnologiche o finanziarie. Come risorsa, gli esseri umani hanno il
diritto di esistere solo nella dimensione in cui contribuiscono alla
produzione efficiente di beni e servizi, che possono essere venduti sul
mercato contro danaro. Il loro diritto all'esistenza non è più
riconosciuto nel momento in cui, come risorse umane, non possono più
assicurare il livello di efficienza desiderato dall'azienda, cioè dai
proprietari, dai manager e/o dagli azionisti. Può essere che costino più
di altre risorse umane altrove, chesiano diventati obsoleti, che l'uso di
altro tipo di risorse per la medesima produzione garantisca un migliore
ritorno sull'investimento. In queste condizioni, vengono eliminati,
gettati via come vecchie automobili che non funzionano più o come utensili
che non possono più espletare la funzione per cui erano pensati ed
utilizzati.
Come semplice risorsa, un essere umano non è più un soggetto in senso
sociale, con diritti, desideri e bisogni, ma è diventato un oggetto di
costo per la propria azienda che deve essere costantemente comparato con i
costi degli altri oggetti.Ogni altro valore o dimensione sociale,
culturale, umana, politica o etica è stato subordinato ai criteri
dell'efficienza e delle performance economico-finanziarie. Questi criteri,
oggi, determinano un ciclo di vita delle competenze umane che varia da tre
a sette anni. Le qualificazioni di ciascuno di noi diventano rapidamente
inutili e passé. Per questo, siamo oggi obbligati a continuare a formarci
e riciclare le nostre competenze. La formazione permanente nella vita
delle persone, quindi, è diventata un bisogno assolutamente imperativo.
Procedendo in questa direzione, dicono, non c'è società che possa
garantire a chi oggi lavorano, il mantenimento dell'impiego oltre il tempo
di cinque/sette anni da oggi, poiché tutto potrebbe cambiare ed è quasi
certo che nessuno avrà più bisogno allora delle conoscenze, delle capacità
e dell'esperienza accumulate sino ad oggi. Non si può più considerare
legittima la richiesta di lavoro a tempo pieno e indeterminato, nemmeno
nel pubblico impiego. Ciò che una risorsa umana deve attendersi è un
impiego temporaneo, meglio se part-time, e, ovviamente, privo delle
garanzie sociali che si legavano al lavoro fino a circa 20 anni fa. Come
risorse umane dobbiamo essere flessibili, malleabili, adattabili,
trasferibili, preparati al nomadismo spazio-temporale, e addirittura
preparati a scomparire (temporaneamente?); tutto in nome della
competitività globale.
Welfare globale. Nuove regole per la casa sono possibili
(nota: Economia viene dal greco oikos nomos; oikos è il milieu, il
contesto, la casa e nomos sono le regole)
I leader attuali del capitalismo globale vorrebbero farci credere che le
uniche politiche possibili verso l'economia devono essere volte ad
adattarci ad essa e a trasformare in opportunità i limiti esogeni posti
dalla globalizzazione competitiva liberalizzata, deregolamentata,
privatizzata, così come dai mercati finanziari dalle nuove tecnologie. È
una libertà singolare quella che ci viene offerta dal mercato globale!
Discutere la legittimità: partire da priorità differenti.
Per esempio a proposito dell'acqua
In meno di 25 anni, all'incirca nel 2020, il mondo avrà una popolazione di
8 miliardi di persone (5.8 miliardi nel 1995), se epidemie, carestie e
guerre non avranno per allora deciso diversamente. La grande questione per
l' economia globale non è l'integrazione/adattamento delle economie locali
nel contesto più grande, ma proprio quali principi, quali regole e quali
istituzioni debbano essere definite e rese operative nel corso dei
prossimi 25 anni, al posto di quelle del capitalismo di mercato, cosicché
quegli 8 miliardi di persone possano godere dei diritti di cittadinanza e
siano capaci di soddisfare i propri bisogni in termini di acqua,
sicurezza, nutrimento, energia, salute, formazione, mobilità,
comunicazioni, espressione artistica, partecipazione attiva alla vita
delle proprie comunità. In altre parole, su che basi e con che strumenti
dobbiamo e possiamo vivere insieme e, su questo, costruire il nostro
benessere globale comune?
Per fare questo, dovremo prima rifiutare la retorica dominante, con tutte
le sue parole d'ordine e i suoi credi. Visto che l'economia del mercato
globale non intende né può promuovere le condizione per vivere insieme e
creare una comune ricchezza globale, è legittimo e corretto che i
cittadini le sottraggano il potere di governare i presente ed il futuro. È
un falso, sostenere che la competizione per sopravvivere sia un asset per
aiutare la solidarietà e la coesione sociale in un Paese e tra i popoli e
le regioni del mondo. La competitività è un processo che genera un
vincitore e un vinto. La storia non ha mai visto una società che sia stata
capace di promuovere l' interesse comune attraverso strumenti offensivi
ispirati alla difesa ed all' affermazione di interessi particolari. Per
conseguire il nostro benessere globale comune, è necessario (re)inventare
nuove forme economiche basate sulla cooperazione, sulla giustizia, sulla
solidarietà e sull'efficacia nella promozione e nell'assicurazione di
obiettivi e servizi comuni.
Prendiamo il caso dell'acqua. È urgente e necessario fermare i trend
attuali che spingono alla liberalizzazione, alla deregolamentazione ed
alla privatizzazione delle forniture e dei servizi idrici.
L'acqua, che ogni civiltà ha sempre considerato con naturalezza un
patrimonio comune, può e deve diventare il primo grande bene comune,
appartenente all'intera umanità; la possibilità di accesso alle risorse
idriche deve diventare oggetto di tutela come diritto umano e sociale. Nei
tempi passati c'erano cartelli urbani, marini o rurali. Oggi i cartelli
fluviali puntano a favorire la gestione delle risorse legate al fiume
nell' interesse comune di tutte le parti che vi ruotano intorno:
contadini, aziende industriali, associazioni di varia natura, autorità
pubbliche a vari livelli, industrie turistiche. Essi ci dimostrano che una
governance cooperativa e solidale di un bene che appartiene al nostro
patrimonio comune, non è solo possibile, ma costituisce l'indispensabile
condizione per una gestione efficiente e di lungo periodo.
Disarmo fiscale
Le idee espresse sin qui hanno ben poche speranze di successo se non
riusciamo parallelamente a disarmare il potere finanziario attraverso un'
iniziativa coordinata a livello mondiale, tra tutte le forze sociali
progressiste dei Paesi sviluppati.
A questo scopo, ecco le misure prioritarie:
. imposizione di una tassa dello 0,5 per cento su tutte le transazioni
finanziarie internazionali. Questa misura era stata proposta nel 1983 dal
Nobel per l'economia Tobin. Una simile tassa permetterebbe la costituzione
di un Fondo mondiale di cittadinanza di diverse decine di miliardi di
dollari all'anno, per finanziare un Contratto mondiale sull'Acqua o
interventi in altri campi come la formazione, la salute o la casa. L'
esazione di questa tassa sarebbe tecnicamente possibile. Dovrebbe essere
decisa a livello di G7, per evitare che ciascun Paese possa usare
individualmente la scusa che non può imporre la tassa senza generare una
fuga di capitali verso altri Paesi. Questa misura collettiva dovrebbe
essere completata da altre due tasse specifiche, una sugli investimenti
stranieri diretti e l'altra sui capital gain; . eliminazione dei paradisi
fiscali. La loro esistenza (37 in totale) costituisce una forma
legalizzata di trasformazione criminale del sistema economico, che include
l'evasione fiscale, la speculazione, il traffico illegale di armi e droga.
Grazie ai paradisi fiscali, il mondo dell'alta finanza è popolato sempre
più da predatori, di cui le aziende industriali, le vere creatrici della
ricchezza, non sono in fondo che le prime vittime. Non è interesse
dell'economia industriale che l'attuale sistema finanziario resti com'è. E
però, invece di eliminare i paradisi fiscali, i governi dei Paesi più
sviluppati stanno contribuendo alla loro diffusione, creando dei centri di
coordinamento finanziario internazionale, dove le holding finanziarie
multinazionali possono essere sistemate, evitando che i loro profitti
vengano tassati. Stiamo assistendo ad una feroce competizione tra Paesi
(specialmente in Europa) per essere accomodanti e ridurre la pressione
fiscale; . ricostituzione di un controllo democratico locale e globale
della politica sui movimenti internazionali di capitali, con l'obiettivo
di promuovere un' economia finanziaria responsabile socialmente,
economicamente, eticamente, politicamente e sotto il profilo ambientale; .
eliminazione del segreto bancario. Il rispetto per il principio della
proprietà privata ed il diritto alla riservatezza possono essere garantiti
senza questo strumento. Perdipiù, una politica fiscale davvero
progressista, basata sulla giustizia sociale e sulla solidarietà tra gli
individui, le generazioni ed i popoli di diversi Paesi via via che
diventiamo sempre più interdipendenti ed economicamente integrati,
richiede necessariamente l' abolizione del segreto bancario; . riconsegna
del potere ultimo di decisione sulle banche centrali alle istituzioni
politiche. Il principio dell'indipendenza delle banche centrali dalla
rappresentanza politica è del tutto inaccettabile; . risistemazione
trasparente dei mercati finanziari. Esistono oggi sei compagnie di esperti
privati che assegnano i rating dei Paesi. Lo fanno nel segreto dei loro
uffici, senza essere mai resi responsabili delle loro valutazioni da
alcuna autorità politica o monetaria; . autorizzazione e promozione della
nascita di nuove valute locali, come l' hour di Ithaca (NY, Usa), intese
esclusivamente a facilitare le relazioni economiche locali, urbane o
rurali che siano, soprattutto nella sfera dei servizi; . inserimento della
finanza tra le materie di insegnamento nelle scuole, per cominciare dalla
scuola elementare a diffondere la consapevolezza dei problemi monetari e
finanziari.
Tutte queste misure dovrebbero essere introdotte sotto l'egida di un
Consiglio mondiale per la sicurezza economica e finanziaria. I compiti
fondamentali di questo Consiglio dovrebbero essere legati alla definizione
delle regole per un nuovo mercato finanziario mondiale (una Bretton Woods
per il XXI secolo). La finanza è fondamentalmente lo strumento che sta
all' intersezione di risparmi einvestimenti, per tutelare il benessere di
tutta la popolazione mondiale.
Innovazione tecnologica e disoccupazione
Le modalità in cui la tecnologia è utilizzata oggi, con gli scopi di
ridurre i costi, aumentare la qualità, incrementare la varietà e la
flessibilità dei processi, determinano un problema strutturale
fondamentale. Lo abbiamo citato rapidamente, cerchiamo di approfondirlo.
Oggi, è la tecnologia a determinare in misura sostanziale la mole di
lavoro richiesta all'uomo nella produzione dei beni e servizi che vediamo
intorno a noi. L'ammontare totale di lavoro richiesto all'uomo è ormai
solo un effetto residuale della tecnologia. Nel 1971 occorrevano circa 110
ore per realizzare un'automobile. Oggi ne sono necessarie 14; tra dieci
anni, forse, solo 8 o 9. Fino a che punto i nostri sistemi economici
permetteranno che il volume totale delle ore di lavoro umano sia una
variabile dipendente della tecnologia, contando che il lavoro salariato
resta e resterà il biglietto d' ingresso fondamentale di un individuo
nella società (reddito, posizione sociale, senso di utilità sociale,
autorealizzazione etc.)? In questo contesto, possiamo davvero considerare
corretta la prospettiva di assicurare il pieno impiego, con una costante
riduzione delle ore di lavoro? Al ritmo corrente di accelerazione
dell'innovazione tecnologica, quanti anni dovremo aspettare prima di avere
24 ore lavorative a settimana, e poi 18, 12 e così via? Nel mentre, ci
sarà sempre un numero significativo (anche se in costante decrescita) di
persone che avranno un impiego più o meno stabile, pagato e stimato, su
cui graverà largamente il benessere della società intera. Dall'altra parte
ci saranno i ruoli flessibili, meno pagati e rispettati, che saranno
assunti dalla maggioranza della popolazione attiva. Siamo sicuri che
questa sia la strada giusta? Finché la società considera, e continuerà a
farlo, che il lavoro salariato resti per molte generazioni ancora
l'elemento fondante dell'integrazione sociale, le nostre economie dovranno
assicurare pieno impiego per ciascuno sull'intero pianeta. Questo è
l'obiettivo per cui dovrebbe essere utilizzata la tecnologia. Questo
dovrebbe essere ciò che sta al denominatore del concetto di produttività
per (almeno) 20 anni ancora. Questa è la ragione per cui si dovrebbe
pensare ad un nuovo ruolo per la tecnologia e l'innovazione tecnologica.
Invece di utilizzarle per garantirsi competitività e conquistare quote di
mercato sui mercati occidentali già saturati di contante, è necessario
promuovere politiche di innovazione tecnologica che inducano lo sviluppo
di tecnologie abilitanti per bisogni che ancora non sono soddisfatti del
tutto (accesso all'acqua, salute, educazione, miseria per miliardi di
persone), o che non sono soddisfatti abbastanza, o per nuovi bisogni
(sviluppo sostenibile, sicurezza, pirateria dell'informazione,
biopirateria).
Questo ci porta al quarto ed ultimo problema che affronteremo, nel
promuovere un Welfare globale.
La ridistribuzione della ricchezza
Il capitale se la passa bene. La pressione fiscale viene ridotta
cospicuamente. I flussi di capitale girano per il mondo senza alcun limite
o restrizione reale. I governi si affrettano a riempirlo di doni, pur di
attirarlo sui loro suoli. È tutelato e messo al centro di ogni priorità
nell 'allocazione delle risorse disponibili. Viene servito con risorse
umane sempre più ecnomiche, flessibili e riciclabili. Il lavoro, invece,
non se la passa bene, persino negli Stati Uniti, dove il percettore di
salario deve lavorare di più per guadagnare meno di ciò che facesse nel
'79. La pressione fiscale su di esso cresce. Gli viene richiesto di essere
sempre più mobile, senza alcuna garanzia di lungo periodo. Gli viene
richiesto di accettare ogni regolamentazione possibile e immaginabile
volta ad aumentare la sua flessibilità. Gli si dice che verrà sempre più
rimpiazzato dalla tecnologia e che deve combattere, inesorabilmente, gli
uni contro gli altri, per mantenere anche un impiego a tempo determinato.
Il lavoro si impoverisce, mentre il capitale diventa più ricco. Il lavoro
sta perdendo il suo potere negoziale. Non partecipa più alla definizione
delle priorità; è portato costantemente a reagire a decisioni prese ben
altrove. Questo non può continuare per sempre. Prima che l'economia di
mercato imploda, dobbiamo cominciare con urgenza a ridistribuire i
guadagni che ci arrivano dalla produttività in un modo nuovo, tra capitale
e lavoro e tra le generazioni, per il beneficio di persone e cittadini.
Questo deve essere fatto oggi su scala globale, perché è su scala globale
che l'economia è strutturata. Come già sottolineato, questa
ridistribuzione richiederà una politica di pieno impiego, basato sulla
soddisfazione dei bisogni fondamentali degli individui. Richiederà le tre
tasse globali sul capitale che citavo prima. Richiederà una politica
rigorosa di gestione della tecnologia (inclusi benefici fiscali che
stimolino tecnologie abilitanti di nuove capacità del lavoro umano) e
dell'ambiente (ecotasse globali). Richiederà una lotta senza quartiere
all'evasione ed alla criminalizzazione dell'economia. Richiederà una
rinascita delle organizzazioni cooperative e mutualistiche ed una
riattualizzazione profonda dei sistemi politici, soprattutto dei sistemi
assembleari di ogni livello. Una gestione fiscale efficace è ugualmente
necessaria, visto che non è ammissibile che vengano elevate le tasse sui
capitali e che poi il capitale riceva ancor di più dallo Stato in termini
di incentivi all'innovazione, all'export ed alla formazione. Per farla
breve, ci sono grandi possibilità per l'innovazione politico-economica in
questo settore. I fondi pensione, i derivati e la computerizzazione dei
mercati azionari non sono stati l'innovazione maggiore sui mercati
finanaziari negli ultimi 25 anni. Lo è stata la nascita in Bangladesh
della Banca dei poveri, la Banca Grameen.
Quel che ci manca oggi è una scelta politica chiara in favore della
ricchezza collettiva e del bene comune. Al Nord come al Sud, iniziative
sempre più numerose provano a ristabilire priorità differenti, che si
tratti di agricoltura (con la proposta di eliminazione delle colture
intensive), di vita nelle città (con la ricostruzione del villaggio
urbano), di scuole, istituzioni democratiche, ecologia, relazioni
internazionali, cura degli anziani, sanità, supporto alla diversità
linguistico-culturale, ecumenismo religioso. Al momento sono reazione e
ribellione le forme di questo dissenso. E però le vittime del capitalismo
globale sperimentano e dimostrano anche che l'economia, la finanza e la
tecnologia sono fonti di creatività per la costruzione del bene comune,
della cittadinanza di tutti e del vivere insieme.
È compito nostro, costruire il nostro destino. Appartiene ai cittadini del
mondo, e non al mercato, alle corporation o ai mercati finanziari. Uno dei
compiti fondamentali, per costruire un mondo della conoscenza, della
scienza, della politica, della creatività (le arti...) è precisamente
quello di supportare ogni sforzo fatto in questa direzione. Per questo,
possiamo celebrare ed approvare il nuovo concetto di società della
conoscenza. D'altro canto, se un mondo simile dovesse rientrare nella
logica di asservimento al potere dei mercati, dell'impresa e del capitale,
come accade oggi, ci troveremmo a dover denunciare la mistificazione su
cui i caratteri e i principi della società della conoscenza si basano..
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