Caro Marco, intanto grazie per aver accettato il metodo argomentativo aperto alle convinzioni differenti altrui non con stucchevole fair play ma in virtù del reciproco
riconoscimento di un “minimo etico” comune (sembra che non sia riconducibile al Voltaire pensiero questo atteggiamento; tant’è tutti lo consideriamo una pietra miliare del buon vivere progressista post illuminismo).
Replicherò dunque per punti al tuo sillogismo che vede nel modello di sviluppo finanz-capitalista la radice (se non unica prevalente) del problema dell’ineguale distribuzione di ricchezze tra i popoli e all’interno di ogni popolo del mondo. E da cui discende la sofferenza individuale e le imperfette società che affliggono l’umanità da sempre e per sempre in ogni angolo del globo terracqueo.
Per inciso spero di non tediare troppo la maggioranza silente di questa chat composta da una settantina di autorevoli personalità dell’attivismo civico genovese appartenenti alla migliore società progressista e prevalentemente di sinistra locale.
Tuttora mi sfugge per quali congiunture astrali io ci sia finita dentro, dato che non ricopro nessun incarico pubblico (il mio unico contributo come consigliera di municipio tra il 2012 e il 2017 è evidentemente risibile) né rivesto altri ruoli pubblici, né ho posizioni di simil potere in ambito privato e che, socialmente parlando, sono una persona identificabile con definizioni quasi prosaiche di madre – casalinga – lavoratrice – protoambientalista radicale nello stile di vita – animatrice a tempo perso di micro comunità di pensiero critico e indubbiamente senza alcuna capacità apparente di influenzare nessuno scenario politico locale figuriamoci ad altri livelli.
Ulteriormente a mio detrimento, non ho avuto una formazione accademica solida per discettare nel merito della differenza tra pensiero marxiano versus marxista, concetti che sono pur tuttavia in grado di nominare senza vergogna grazie agli esami sostenuti in età adulta (post laurea canonica in psicologia sperimentale in quel di Padova) di sociologia e storia economica; ultima precisazione: non intendo disconoscere il valore propulsivo del concetto di lotta di classe, dovunque e comunque lo si voglia collocare.
Sono più interessata dunque ad affiancare a queste importanti, ma secondo me storicamente non più abbastanza efficaci, chiavi di lettura, altre piste di indagine di tipo psicologico e antropologico delle dinamiche sociali e i successivi loro precipitati politici (ideologie e istituzioni) contemporanei.
Per farlo mi avvarrò prevalentemente del sistema argomentativo proposto dallo psicologo clinico Mattia Desmet in Psicologia del Totalitarismo (2022).
Non con l’obiettivo di mettere in cantina quei precedenti paradigmi, ma per dissodare in modo nuovo e con strumenti più adatti il terreno delle problematiche sociali contemporanee (= post fine della storia e in pieno antropocene).
Hanna Arendt ci mise in guardia, subito a valle della seconda guerra mondiale, sulla nuova veste che nel futuro avrebbero assunto i successivi totalitarismi; stessa cosa di fatto, in declinazione italiana, fece, altrettanto incompreso, Pasolini. Entrambi, mi viene da sottolineare, al netto e nonostante le lotte di classe (benemerite) avessero qua e là già fatto abbondantemente capolino in numerose location mondiali.
Per inciso: l’attuale antifascismo considera (ovviamente con ampie ragioni) i regimi che portarono all’Olocausto come il principale se non unico male assoluto da cui ci dobbiamo difendere secula seculorum, immaginando che quei metodi di governo si potrebbero ripresentare sostanzialmente tal quali a distanza di secoli: ma perché allora non avere lo stesso tipo di preoccupazione per esempio rispetto ai rischi di mattanza sul modello di quello perpetrato dai conquistadores sui popoli nativi amerindi, o dello schiavismo praticato aggressivamente in terra africana dagli stati europei colonialisti, o ancora del genocidio armeno durante la nostra prima guerra mondiale con l’allora Europa silente? Altri esempio posso essere fatti, la scelta avendo come unico parametro quello di essere di pari ordine di grandezza nel numero di vittime rispetto a quanto avvenuto durante il nazi-fascismo.
Che si chiami fascismo o colonialismo o schiavismo o pulizia etnica di stato: non sarebbe oggi più corretto affermare la necessità di definire il limite di ogni potere collettivo su chi è posizionato politicamente e socialmente in modo differente? E rispettare quindi sempre e comunque l’inviolabilità dell’essere umano? Ad esempio non consentendo che personalità con ruoli pubblici insultino e augurino il male a una minoranza dissenziente? Ogni riferimento a fatti e persone recenti non è per nulla casuale.
Come si domandano alcuni filosofi contemporanei: essere fascisti in assenza di fascismo non è un modo per avere un nemico immaginario e non vedere il nemico reale?
Il dibattito è ovviamente aperto.
Segue elenco degli indizi da tenere a mente per individuare questi attuali totalitarismi abbondantemente operanti e vitali:
PRIMO: controllo e tracciamento dei cittadini, non tramite la coercizione dei manganelli ma con gli strumenti pervasivi e onnipotenti del digitale spinto istituzionalmente come la soluzione delle inefficienze delle burocrazie pubbliche.
SECONDO: sostituzione dei gerarchi violenti con burocrati e tecnocrati in giacca e cravatta o tailleur e messa in piega (qui sento già scattare le obiezione genderiste sull’uso di metafore sessiste, ma me ne faccio una ragione).
TERZO: uso massiccio delle tecniche di propaganda (comunemente oggi detto Main Stream) da parte dei padroni universali (non i governanti democraticamente eletti ma chi detiene il potere economico, cioè in conglomerati e le multinazionali) per promuovere la “formazione di massa” implicante la disponibilità a sacrificare i propri interessi personali (benché legittimi perché sanciti dalle carte costituzionali e dai trattati internazionali) per solidarietà (sempre indotta con la solita modalità dolce dalla narrazione dominante) con la collettività (gli intellettuali di impostazione libertaria la chiamano cinesizzazione, quasi a considerarla un precipitato di un regime comunista, dimenticando che la Cina di oggi nulla ha più del precedente sistema di governo comunista ma essa stessa è diventata terra di conquista nonché promotrice del neo liberismo capitalista finanziario; tant’è che in epoca pandemica lo stesso metodo di gestione ha caratterizzato l’occidente storicamente anticomunista di area Nato e appunto la nazione cinese, diversamente, dall’India tanto per fare un esempio di vera terzietà).
QUARTO: la finzione scientifica (a volte addirittura scientista) si avvale di cifre e statistiche ma rifugge e disprezza i fatti, le evidenze e il metodo scientifico fatto di ipotesi e loro falsificazione continua e dialettica.
QUINTO: l’essere umano è ridotto a organismo biologico (la nuda vita di Agamben) disconoscendo del tutto le dimensioni psicologica, sociale, simbolica ed etica.
In conclusione, caro Marco, l’impostazione interpretativa cui fai riferimento è (inevitabilmente) storicamente determinata e anche un pochino scaduta come capacità euristica, sicuramente non è un paradigma assoluto come neppure nessuna legge della fisica, nell’epistemologia moderna, ambirebbe a essere.
Concludo ancora con Desmet: il Totalitarismo del presente non discende dai rapporti di forza politici ed economici quindi non si combatte con la sola lotta di classe; nelle sue varie sfumature di latitudine e di longitudine è già presente oggi come alter ego stabile e strutturato delle democrazie in primis occidentali (meglio definite perciò come democrature) ed è “la conseguenza logica del pensiero meccanicista-materialista (di cui anche i seguaci del marxismo sono portatori e sostenitori) e della fede illusoria nell’onnipotenza dell’intelletto umano (il positivismo moderno e al cubo di coloro che impediscono ogni tentativo di critica pur legittima con l’epitaffio lo-dice-la-scienza = Scienzah!)”, tutto ciò sommato al supponente sedicente suprematismo della cultura ex democratica occidentale (in salsa NATO) in quanto portatrice di valori assoluti e di stili di vita non negoziabili neppure per evidenti esigenze ambientali e per ciò legittimata a esportarli anche a colpi di cannone o di rivoluzioni colorate ampiamente finanziate dai nobili filantropi turbo capitalisti (sic!) di cui l’ossimoro passa in secondo piano, della serie: il fine giustifica i mezzi, perciò non può che vincere il più forte.). |