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AUTOGESTIONE-COGESTIONE DELL'IMPRESA

 

TITOLO

Il coraggio dei lavoratori Luciano Gallino

DATA PUBBLICAZIONE

07/06/2013

LUOGO

La Repubblica


Il coraggio dei lavoratori
Luciano Gallino | 7 giugno 2013 | 0 commenti


Nel 2001 l’Argentina stava attraversando, come noi oggi, una disastrosa crisi economica. Centinaia di imprese

dichiaravano fallimento. Ma i lavoratori scoprirono, tra mille difficoltà, che riuscivano a mandare avanti la

fabbrica o l’impresa non meno bene del padrone che era fallito o di fronte alla crisi era scappato all’estero.

E stabilirono reti di relazione efficaci con le comunità locali e con altre imprese «recuperate». Da allora le

empresas recuperadas si sono moltiplicate

di Luciano Gallino

Nel 2001 l’Argentina stava attraversando, come noi oggi, una disastrosa crisi economica. Centinaia di imprese
dichiaravano fallimento, e i dipendenti, con una età media sopra i quaranta, erano quasi certi che mai più
avrebbero trovato un lavoro. Una ondata dissennata di privatizzazioni di aziende pubbliche aveva contribuito a
disastrare il mercato del lavoro; il resto lo avevano fatto gli “aggiustamenti strutturali” imposti dalla
Banca mondiale e dal Fmi — simili a quelli che oggi arrivano a noi da Bruxelles o da Francoforte — da cui il
drastico ridimensionamento dei sistemi di protezione sociale.
Non vi fu allora, in Argentina, alcuna particolare spinta di ordine politico a indurre i lavoratori a
impegnarsi per gestire loro l’impresa, una circostanza che pare evidente anche nel caso italiano. Molti
aspetti positivi maturarono dopo, e paiono emergere ora nel nostro paese giusto come avvenne laggiù. I
lavoratori scoprirono, tra mille difficoltà, che riuscivano a mandare avanti la fabbrica o l’impresa non meno
bene del padrone che era fallito o di fronte alla crisi era scappato all’estero. Stabilirono reti di relazione
efficaci con le comunità locali e con altre imprese “recuperate”. Approfondirono il tema dell’autogestione,
quello che negli anni 70 del Novecento era stato un tema importante per il movimento operaio, non privo di
applicazioni positive, specie in Jugoslavia. Risultato: nel 2001 le empresas recuperadas erano alcune decine.
Al presente si stima siano 350, che occupano circa 25.000 lavoratori in diversi settori produttivi.
Le imprese italiane autogestite, siano cooperative o altro, meritano quindi attenzione da parte del governo,
dei sindacati, e delle tantissime imprese che un padrone ancora ce l’hanno. Da un lato perché a fronte di una
crisi che è ormai certo durerà un altro decennio è essenziale esplorare ogni possibile strada per evitare che
le imprese, a cominciare dalle Pmi, continuino a chiudere. Dall’altro perché queste fabbriche o aziende di
servizio mostrano che se i lavoratori sono trattati come persone, piuttosto che come robot i quali debbono
attenersi rigorosamente alla metrica tayloristica del lavoro imposta dall’alto, tirano fuori una intelligenza,
una capacità professionale, una competenza nel costruire e gestire un’organizzazione, che quella metrica al
tempo stessa nega e spreca. Con un danno grave sia per i lavoratori, sia per la stessa impresa. Ciò di cui i
padroni, pur restando al loro posto, dovrebbero prendere nota. Qualche decennio fa si parlava molto, da noi
come in altri paesi, della necessità di sollecitare la creatività e lo spirito di iniziativa dei dipendenti.
Le imprese hanno preferito adottare modelli di organizzazione del lavoro che soffocavano di proposito l’una e l’altro. La crisi ha tra le sue cause anche quei modelli. Le “imprese recuperate” attestano che converrebbe
cominciare a battere altre strade.



Fonte: la Repubblica, 7 giugno 2013

Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .