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AUTOGESTIONE-COGESTIONE DELL'IMPRESA

 

TITOLO

LE COOPERATIVE ARGENTINE: AUTOGESTIONE OPERAIA E FABBRICHE SENZA PADRONI CARLO LALLO

DATA PUBBLICAZIONE

26/12/2010

LUOGO

Genova


CARLO LALLO
LE COOPERATIVE ARGENTINE: AUTOGESTIONE OPERAIA
E FABBRICHE SENZA PADRONI
1. - Premessa.
2. - Il MNER e il MNFRT: il neocooperativismo.
3. - Statalizzazione senza indennizzo: il modello “Bajo control obrero”.
4. - Differenze e punti in comune principali tra le
tre posizioni del neocooperativismo: tabella riassuntiva.

1. Premessa
Il movimento neocooperativistico argentino nasce all’indomani del drammatico “crash” del sistema economico argentino determinato dalle politiche liberiste messe in
campo dal governo Menem sotto dettatura dell’FMI negli anni ‘90, e della conseguente dissoluzione del tessuto sociopolitico che ha interessato l’Argentina in un periodo di interregno durato per ben due anni tra il 2001 e il 2003. I prodromi di questo movimento
cominciano a manifestarsi già nel 1996 con i primi fenomeni delle imprese recuperate, quando alcuni collettivi di lavoratori decisero di occupare le fabbriche fallite e riattivare i macchinari ricominciando la produzione sotto autogestione operaia e sfidando i tabù basilari dell’economia capitalista. È stato così infranto il tabù culturale del valore assoluto della proprietà privata, della “superiorità” e della “necessarietà”
dell’imprenditore e dei rapporti economici di forza in generale. L’impresa fallita che viene chiusa dall’imprenditore non rappresenta affatto la fine della lotta e il licenziamento dei lavoratori: semmai l’inizio della lotta e il licenziamento del padrone.
Un fenomeno simile al fallimento “a domino” delle imprese argentine, d’altronde, è rintracciabile ogni giorno in Europa con le minacce di delocalizzazione verso Paesi più
“produttivi” (cioè privi di diritti e dignità per la classe lavoratrice), ma i lavoratori e una buona parte della società argentina non si sono più sottoposti al ricatto secolare del padronato. Affermare che si sono infranti importanti tabù della vecchia società e che si è
affermata nei fatti una “verità” antisistemica non vuol dire però che si è trasformata la società. In primo luogo la maggior parte del popolo argentino non si sente coinvolto nel processo, il che spiega il rapido riassorbimento dei cacerolazos, e non tutti quelli
coinvolti hanno preso effettivamente coscienza di cosa stanno costruendo: non stiamo analizzando la conclusione definita di un percorso ma l’inizio di un processo socioeconomico totalmente nuovo di cui possiamo azzardare la possibili traiettorie ad appena sette anni dal suo inizio, partendo dall’osservazione delle effettive trasformazioni nei processi e nei rapporti di produzione nelle singole imprese recuperate.
Le prime esperienze di questo fenomeno sono rintracciabili tra il 1996 e il 1998 negli impianti della fabbrica di frigoriferi industriali “Yaguané S.A.” nei pressi di La
Matanza e dell’impresa metallurgica “IMPA” a Buenos Aires, accanto ai quali si sarebbero presto unite la sartoria industriale “Brukman”, la fabbrica di ceramiche
“Zanón” nel Neuquén e l’impresa metallurgica Unión y Fuerza.
Quando nel 2001 la paralisi dell’intero sistema produttivo interno argentino fu completa, molti collettivi di
lavoratori seguirono l’esempio dei pionieri della fine degli anni ’90. Nell’aprile del 2001 presso l’IMPA nacque il Movimento Nacional de Empresas Recuperadas (MNER), con l’obiettivo di organizzare le varie entità e portare avanti la lotta comune di espropriazione, avente come principali rappresentanti Eduardo Morúa, che aveva
guidato il recupero dell’IMPA, José Abelli, rappresentante delle cooperative sorte a Santa Fe e Luis Caro, avvocato vicino alla Federación de Cooperativas de Trabajo
(FEECOTRA).
È in questo momento che le imprese recuperate scelgono di dotarsi della struttura cooperativistica come modello giuridico con cui presentarsi nelle lotte legali
per l’esproprio della fabbrica. La scelta del modello giuridico cooperativistico, vista da molti lavoratori inizialmente come una soluzione di convenienza temporanea, non ha mai voluto dire però appiattirsi sul modello di struttura cooperativistica tradizionale, dal
momento che le imprese recuperate hanno creato modelli di governo e di gestione interna socialmente molto più avanzati ed economicamente molto più innovativi delle
cooperative tradizionali, e che una parte di esse non ha mai accettato il cooperativismo come una situazione permanente. Si è trattato di una contaminazione reciproca tra cooperativismo e imprese recuperate che ha dato vita al movimento neocooperativistico.
Un’altra organizzazione che ha coadiuvato e lavoratori disoccupati durante il processo di recupero delle loro fabbriche e li ha indirizzati verso il modello cooperativo è stata la CTA, sindacato movimentista innovatore vicino alle lotte dei piqueteros e delle fabbriche recuperate. Oltre ai lavoratori delle fabbriche, cominciano ad avvicinarsi al movimento delle imprese recuperate anche i lavoratori dei supermercati, gli agricoltori
che non possono più pagare l’affitto della terra e devono essere sfrattati, e in genere i lavoratori del terzo settore: è in questo primo periodo che il MNER conia il motto “Occupar, Resistir, Producir”.
Tra il 2001 e il 2003 quasi il 60% delle imprese fallite
vengono occupate dai lavoratori e riattivate con “espropriazioni di fatto”(Julian Rebón,2004).
Il processo di riattivazione della fabbrica viene spesso aiutato dalle altre fabbriche recuperate organizzate (dal MNER o dal MNFRT), dalle banche di credito
cooperativo e dall’indotto della fabbrica stessa.
I fornitori concedono alle fabbriche a credito e senza interesse alcuni stock di materie prime in cambio dell’accordo di continuare a comprare re le materie prime dal quel fornitore anche successivamente,mentre, sia grazie ai prestiti ottenuti dal Banco Cooperativo o dal Governo (sotto Kirchner) sia lavorando senza stipendio i primi tempi, la cooperativa può riparare o sostituire i macchinari e pagare i servizi necessari (energia elettrica, acqua, gas), servizi che talvolta sono forniti da altre cooperative in un sistema a rete a costi irrisori. Anche il
quartiere gioca un ruolo importante nella riattivazione della fabbrica, educato dalle asambleas populares, sostenendo fisicamente ed economicamente la lotta dei lavoratori,diventando a sua volta indotto della fabbrica.
Il fenomeno coinvolge la totalità del Paese, trovando la maggior concentrazione nell’area di Buenos Aires, quella più popolata ed industrializzata, con il 55% dei casi
registrati, ma altri episodi sono riscontrati nelle province di Santa Fe, Córdoba, Entre Ríos, Jujuy, La Pampa, Mendoza, Neuquén, Río Negro e Tierra del Fuego (Saavedra,
2003).
Con l’ingrandirsi del fenomeno si verificano le prime divisioni in seno al movimento, la più importante riguarda la scissione dal MNER del MNFRT (Movimento Nacional Fabricas Recuperadas per Trabajadores) realizzata dall’avvocato Luis Caro che ha poi assorbito la FEECOTRA.
I settori produttivi coinvolti dal processo di riappropriazione delle fabbriche da parte dei lavoratori sono molto disparati, vanno dall’alimentazione all’alberghiero,dall’informatica all’edilizia, dimostrando il carattere estremamente adattabile del fenomeno.
I caratteri comuni di tutte queste unità produttive sono l’assenza di padroni,la comunione tra tutti i soci-lavoratori del mezzo di produzione, la solidarietà tra
compagni di lavoro e un modello di direzione democratico-assembleare.
Non esistono dati completi sull’entità del fenomeno ma è possibile farsi un idea attraverso alcuni censimenti realizzati da studiosi dell’Università di Buenos Aires come
Julian Rebón o da altri. Quello che presentiamo di seguito è una elaborazione con numero di imprese, totale lavoratori e media lavoratori per impresa realizzato a partire
dal censimento realizzato dal sito www.lavaca.org, su 155 imprese recuperate, curato dal gruppo editore della “guida alle imprese recuperate Sin Patrón” nel 2004.

Settore N° Imprese
del settore
Totale
lavoratori impiegati
Media
lavoratori impiegati
per impresa
Alimentazione 27 1419 53
Componenti per
automobili 9 271 30
Calzature e
abbigliamento sportivo 3 459 153
Edilizia 9 708 79
Cosmetica 1 36 36
Conceria 1 28 28
Educazione 5 119 24
Elettricità 1 20 20
Gastronomia 2 25 13
Grafica 9 187 21
Idrocarburi 6 102 17
Alberghiero 3 107 36
Informatica 6 77 13
Meccanica 1 15 15
Metalmeccanica 2 15 8
Metallurgia 29 1538 53
Minerario 1 6 6
Immobiliario 1 14 14
Navale 1 36 36
Cartoleria 2 40 20
Cartificio 2 115 58
Giornalismo 3 103 34
Materie
Plastiche 3 82 27
Salute 9 468 52
Sanitario 2 38 19
Servizi per
l’edilizia 1 250 250
Tessile 8 514 64
Trasporti 8 1180 148
TOTALE 155 7972 51
Fonte: elaborazione su censimento dal sito www.lavaca.org



INSERIRE TABELLA




Poiché ci troviamo di fronte ad un movimento nato da semplici esigenze materiali che debordano con la loro onda oltre i tabù e le sovrastrutture della società
precedente è ovvio trovarsi di fronte ad una realtà frastagliata.
Non esiste un modello unico ma diversi modelli, tutti alternativi e nuovi rispetto all’economia liberista, ma
differenti tra loro per rapporto socio/lavoratore, per struttura direzionale interna, per coscienza sociale e orientamento politico: la teoria nasce dall’azione.
2. Il MNER e il MNFRT: il neocooperativismo
Gli indici fondamentali con i quali si opererà l’analisi delle strutture produttive delle nuove cooperative argentine saranno fondamentalmente quattro:
1) Il rapporto tra la figura del socio e quella del lavoratore
2) La struttura di direzione della cooperativa e la democrazia interna
3) La “coscienza sociale” (inteso come livello di trasformazione dell’identità individuale e
collettiva dei soci della cooperativa)
4) L’orientamento politico (inteso come rapporto con l’esterno: lo Stato, i partiti, i movimenti, la società)

La principale discriminante rimane comunque, a mio avviso, la divisione fisica tra la figura del lavoratore e quella del socio della cooperativa, per cui possiamo avere
tre diverse possibilità:
il socio-lavoratore,
il socio non lavoratore e
il lavoratore non socio (salariato).

A seconda di quali figure sono permesse e quali sono maggioritarie nelle cooperative in esame è possibile valutare il potenziale innovatore sociale, politico ed
economico di questo movimento.
Secondo gli indici che abbiamo dato a questa indagine, possiamo distinguere due differenti posizioni all’interno del movimento delle imprese recuperate: quella del
MNER e del MNFRT da una parte, e quella delle Fasinpat (Fabricas sin Patrones)dall’altra.
Tra il MNER e il MNFRT, oggi possiamo contare circa 300 cooperative nate dalmovimento delle imprese recuperate, sparse per tutto il Paese, per un totale di circa
20.000 soci-lavoratori ed un fatturato di più di 200 milioni di euro.
Il MNER è stata la prima organizzazione delle imprese recuperate ed ha subito al proprio interno trasformazioni e scissioni. Inizialmente era l’unica organizzazione e
raggruppava in sé tutte le imprese recuperate con le più variegate posizioni sia sull’impianto giuridico da darsi, sia su quello organizzativo che politico. Il MNER non
ha mai avuto fino al 2006 una posizione univoca sull’assetto definitivo giuridico delle
imprese recuperate, né sull’assetto organizzativo. Questo magmatismo ha permesso una sostanziale libertà di organizzazione in ogni singola impresa recuperata ed ha
concentrato le forze sulla lotta imminente di espropriazione di fatto delle fabbriche ed
avvio delle stesse. Tuttavia le imprese recuperate si andavano lentamente differenziando al loro interno a seconda dello scopo che il collettivo dei lavoratori si era posto.
La prima scissione formale si è avuta con la fuoriuscita di Luis Caro dal MNER intorno al 2003, in polemica con la gestione di Eduardo Morúa appoggiato da José Abelli, ed andò
a fondare con circa una cinquantina di imprese recuperate il MNFRT (Movimiento Nacional de Fabricas Recuperadas por los Trabajadores). La divergenza tra la visione di
Caro e di Morúa era determinata dallo scopo finale da dare al movimento.
Secondo Caro bisognava interpretare il cambiamento dei tempi, comprendere che il fenomeno tumultuoso degli anni 1999-2002 era in via di esaurimento e che bisognava dotarsi di una strumentazione legislativa in grado di legittimare l’esproprio delle fabbriche e stabilizzare gli espropri già effettuati. Questa ricerca di una dimensione legale passava
necessariamente per la scelta di trasformarsi definitivamente in un movimento cooperativistico profondamente rinnovato.
Morúa, forse temendo di perdere alcune fabbriche costringendole ad abbracciare lo schema cooperativistico, non voleva vedere nel cooperativismo lo scopo finale della battaglia, lasciando sostanzialmente aperta la porta alla nazionalizzazione senza indennizzo per l’ex-padrone.
In questo periodo, tra l’altro, il MNER è influenzato dalle idee prodotte da uno dei collettivi più avanzati dal
punto di vista sociale, quello della Zanón, fabbrica di ceramiche del Nequén, che elaborerà più tardi il concetto di “Fabrica Bajo Control Obrero”, distanziandosi
anch’essa dal MNER. L’opzione di Caro comportava tra l’altro una certa uniformazione nelle strutture organizzative delle imprese recuperate, il che sarebbe risultato abbastanza difficile dal momento che molti lavoratori non si riconoscevano né nel modello
cooperativistico né in quello Bajo Control Obrero (Sotto Controllo Operaio).
Questa iniziale divisione fa allontanare le lotte del MNFRT da quelle del MNER.
Luis Caro e il MNFRT cercheranno di fare pressioni sui politici per modificare la legge e la costituzione facendo approvare ad ogni parlamento provinciale per ogni
singola cooperativa una “legge di espropriazione” che garantisse definitivamente la proprietà della fabbrica ai lavoratori riuniti in cooperativa in cambio della rinuncia agli stipendi arretrati e alla liquidazione da parte degli stessi che andavano a coprire i debiti dell’impresa. La battaglia per la “Legge di Espropriazione Nazionale” che faciliterebbe l’espropriazione da parte delle cooperative di lavoro delle fabbriche fallite (o di ogni
altra unità produttiva abbandonata dall’imprenditore) diventa il cavallo da battaglia del MNFRT che nel frattempo fa approvare attraverso un intenso lavoro di pressione
popolare e lobbyng interna tutta una serie di leggi di espropriazione ad hoc per ogni impresa recuperata, legittimando definitivamente gli espropri già effettuati ed
impedendo il ritorno del padrone.
Il MNER di Morúa non ha voluto invece inserirsi più di tanto nel dibattito legislativo perché sospettoso del modello cooperativistico come fine oltre che come
mezzo. Anche le imprese recuperate del MNER adottavano infatti il cooperativismo come modello giuridico ma non lo ritenevano in grado di risolvere il problema: la
nazionalizzazione senza indennizzo restava per molti un approdo più sicuro dell’incertezza della cooperativa. La cooperativa infatti non assicura un salario costante
e sicuro come invece potrebbe fare la nazionalizzazione sotto gestione operaia.
Questa posizione attendista ha portato il MNER ad essere molto più impegnato sul piano della lotta di piazza per il riconoscimento dei salari e delle liquidazioni non
corrisposte che non sul piano della produzione e della sua organizzazione, il che gli è valso come indice di maggiore “radicalità” nello scenario del movimento delle imprese
recuperate. Lo scontro continuo con lo Stato è inevitabile se si richiede la nazionalizzazione e non si vuole diventare una cooperativa indipendente fino in fondo.
La stabilizzazione della situazione politica argentina con la vittoria alle elezioni di Nestór Kirchner ha messo il MNER di fronte ad una scelta non più rinviabile. Morúa ha perso sempre più terreno nei confronti di Abelli, cooperativista più convinto, che ha indirizzato il MNER verso l’orizzonte cooperativo, realizzando il FACTA (Federación Argentina de Cooperativas y de Trabajadores en Autogestiòn, riavvicinando MNER e MNFRT sul piano programmatico e assottigliando di molto le differenze strutturali tra i diversi modelli di cooperativa, anche se non su quello politico, essendosi ormai cristallizzate due direzioni sociali e due tipi di organizzazione diverse.
L’analisi delle due organizzazione vede un MNFRT molto omogeneo al suo interno, composto da cooperative di lavoro con lo stesso statuto e sostanzialmente la
stessa organizzazione interna, mentre il MNER mantiene al proprio interno una certa differenziazione, per cui ogni cooperativa fa storia a sé, pur riconoscendo quattro
sostanziali caratteristiche comuni tra loro e con le cooperative del MNFRT:
1) La cooperativa come organizzazione giuridica e modello di valori (quindi il
rifiuto esplicito di un ritorno all’ottica imprenditoriale/capitalista/liberista)
2) L’orizzontalismo assembleare dei processi decisionali
3) Una retribuzione il più possibile egualitaria.
4) La Proprietà Collettiva del mezzo di produzione
Detiene la Proprietà Collettiva del mezzo di produzione
Assemblea dei soci-lavoratori
(Composta da tutti i lavoratori della cooperativa)
Dirigenza eletta
“esecutrice”
Decisione
Lavoro
umano
Beni sul
mercato
Ricchezza
Macchine/Natura

La parte superiore del grafico precedente schematizza la struttura organizzativa delle nuove cooperative, mentre la parte inferiore ne schematizza la struttura produttiva
derivante dall’impostazione organizzativa.
La differenza con la struttura cooperativistica tradizionale è palese.
Vediamo di seguito le principali differenze e i principali punti strutturali in comune tra le cooperative del MNFRT e quelle del MNER:
MNER
Struttura
Orizzontale
MNFRT
Orizzontale

Criterio salariale
MNER
Differente per categoria
MNFRT
Uguale per categoria

Dirigenza
MNER
Eletta, revocabile e rinnovabile
MNER
Eletta, revocabile e a turnazione

Controllo sulla
Dirigenza
MNER
Orizzontale
MNFRT
Orizzontale

Processo decisionale
MNER
Democratico-Assembleare
MNFRT
Democratico-Assembleare

Ruoli
MNER
Fissi
MNFRT
Interscambiabili

Proprietà
MNER
Collettiva dei soci
MNFRT
Collettiva dei soci

Variabile economica
dipendente
MNER
Capitale
MNFRT
Capitale

Variabile economica
indipendente
MNER
Lavoro
MNFRT
Lavoro

Intensità Relazionale
con la comunità
MNER
Alta
MNFRT
Bassa

Fonte: elaborazione propria sui documenti ufficiali del MNER e del MNFRT
La differenze più importanti riguardano la dirigenza della cooperativa che risulta “a turnazione” nelle cooperative del MNFRT, per impedire la divisione tra i lavoratori manuali e quelli intellettuali. Questa struttura dirigenziale garantisce a tutti il diritto e il dovere di amministrare la cooperativa secondo una strategia che mira non solo a spezzare la divisione tra proprietà e lavoro, ma anche tra amministratori e lavoratori, impedendo la formazione di una “casta dirigente”. Il MNER privilegia invece l’aspetto funzionale derivante dalla migliore preparazione di una classe dirigente esperta o
comunque non prevedendo una turnazione obbligatoria nei ruoli di responsabilità amministrativa. Anche se i salari delle cooperative del MNER non sono perfettamente uguali tra i lavoratori delle diverse categorie (principalmente tra ruoli manuali e intellettuali o di responsabilità amministrativa), le differenze non oscillano mai oltre i
300 pesos, pari a circa 75 euro e sono comunque sempre votate in assemblea.
Nonostante questo i salari dei lavoratori delle cooperative che hanno superato il periodo di avviamento sono mediamente il 20% più elevati della media dei corrispettivi nelle
imprese capitaliste (Rebón, 2005).
Un’altra differenza riguarda l’intensità delle relazioni delle due organizzazioni con il quartiere sotto il profilo della collaborazione culturale e sociale. Il MNER risulta
molto più “impegnato nel sociale” rispetto al MNFRT, e promuove tutta una serie di iniziative sociali di comune accordo con le organizzazioni di quartiere, o con
organizzazioni politiche di sinistra e sindacali.

Entrambi i modelli di governo risultano comunque profondamente diversi sia dalle imprese capitaliste, sia dalle cooperative tradizionali. In tutti i due i modelli di governo non sembra possibile l’installarsi di una dirigenza distaccata dalla massa dei soci, poiché il carattere meramente “esecutorio” del reparto amministrativo fa ricadere la responsabilità delle decisioni sempre sull’assemblea dei soci, responsabilizzando ogni singolo socio e impedendo derive “dirigistiche” o “manageriali” che potrebbero perseguire l’interesse individuale anzicchè quello collettivo.
La proprietà collettiva della fabbrica/albergo/ospedale e la prassi della democrazia di gestione hanno trasformato lentamente anche la cultura dei lavoratori e
fornito la classe lavoratrice coinvolta in questo processo di una nuova identità.
La figura del lavoratore salariato non esiste più perché sostituita da quella del socio-lavoratore che non è né un dipendente, né un capitalista, ma un compagno di lotta
e di lavoro. Dopotutto anche la nuova cooperativa è al di là degli schemi classici: non è né pubblica, pur perseguendo scopi sociali classici del pubblico, né privata, pur muovendosi sul mercato come entità privata, ma proprietà collettiva di chi ci lavora. Ilavoratori tra loro si chiamano compagni ma non vogliono avere tra i piedi i partiti di sinistra di cui temono la strumentalizzazione politica (soprattutto il MNFRT) e che vedono sostanzialmente parte del vecchio mondo e dei vecchi schemi fallimentari. Nelle cooperative si forma una nuova ideologia economica e politica che nasce dalla prassi
quotidiana del lavoro collettivo in fabbrica o in qualunque unità produttiva.
«Le fabbriche recuperate non hanno come obiettivo quello di creare una economia sociale alternativa al mercato, le fabbriche competono sul mercato e si alimentano dal mercato. Tuttavia le fabbriche recuperate non sono capitaliste, perché l’obiettivo non è massimizzare il profitto, ma il benessere dei lavoratori. […] è il mercato che diventa l’economia sociale» (Una nueva cultura productiva, Luis Caro, 2005). “…i lavoratori sono competitivi perché mantengono e migliorano la qualità, non hanno il costo dell’imprenditore e possono offrire un prezzo migliore. Qualità e prezzo sono elementi che qualunque commerciante tiene in considerazione per decidere da chi comprare. Non abbiamo bisogno di capitale per cominciare il ciclo economico, il capitale smette di essere Dio e si privilegia il lavoro. In queste fabbriche i lavoratori hanno optato per organizzarsi in cooperativa di lavoro, ma con modalità particolari, che hanno fatto tesoro delle cattive esperienze delle cooperative tradizionali […] Si raggiungono tre importanti obiettivi di unità, solidarietà e armonia, tutti i soci sono uguali e percepiscono lo stesso salario, non si accettano classi dirigenti, la dirigenza esiste ma è realizzata dai lavoratori. Tutte le decisioni sono realizzate in assemblea, è una democrazia quasi diretta, i lavoratori prendono le decisioni in assemblee ampie e
partecipative. Il consiglio di amministrazione si sottomette alla volontà dell’assemblea ed è organo esecutivo delle decisioni della stessa. L’assemblea può revocare o confermare in qualsiasi momento il mandato conferito al consiglio di ammininistrazione. […] Non siamo condizionati dal capitale, non facciamo credito, né
accettiamo prestiti di nessun tipo, il capitale iniziale lo produciamo con il lavoro. […]
Per tanto tempo abbiamo vissuto in relazione di dipendenza, ora cominciamo un processo di liberazione interiore individuale e collettiva con i nostri compagni di lavoro.
[…] Porre il lucro come motore dell’economia condusse l’Argentina alla sua più grande contraddizione, che nel Paese delle vacche e dei campi i bambini morivano di fame.
Bisogna porre al centro le necessità del popolo per progettare l’economia e la sua produzione. I lavoratori stanno dimostrando in tutto il Paese che è possibile recuperare migliaia di posti di lavoro” (Cómo los Trabajadores recuperan puestos de trabajo, Luis
Caro, 2003)
«… recuperare significa che gli operai prendono in mano la gestione della loro attività. È una forma di autogestione nuova, dettata dal momento storico in cui si
produce e dalla contrapposizione al modello neoliberista. Noi diciamo che per generare ricchezza non è necessario lo sfruttamento, il lavoro nero, il lavoro minorile, il taglio
sistematico del costo del lavoro. La ricchezza generata da una attività può trovare forme di distribuzione diverse da quelle attuali. L’esperienza argentina dimostra che sì, è
necessario ridurre i costi: ma non il costo del lavoro, bensì quello degli imprenditori.»
(Un’altra fabbrica è possibile, José Abelli, 2007)
«Siamo troppo poveri, non possiamo più permetterci gli imprenditori» (un operaio delle imprese recuperate, documentario del MNER, 2005)
«Decidiamo che qui, oggi, si comincia una rivoluzione morale e culturale con l’autogestione e la cooperazione dei lavoratori.
I lavoratori, così marginalizzati e castigati in questo Paese, prendono per le corna il toro della crisi. Il potere, la volontà di potere dei lavoratori autorganizzati trionfa […]. Il nuovo potere popolare trionfa sugli
interessi degli pseudopadroni e degli pseudoimprenditori, sfruttatori, macellai, mediocri e codardamente violenti – tale è la violenza del denaro –. Questi sono i piccoli e grandi ‘Omar Chabán’ del ‘capitalismo nazionale’. Sono i Chaban, i Samid, i Yabrán, i Taselli, etc, dello ‘sviluppo regionale’ e molti di quelli si presentano a noi come degli Oskar Schindler dell’economia nazionale. Tutti loro, presto o tardi, subiranno la condanna sociale, morale e talvolta quella legale. È questa la ‘borghesia nazionale’ di cui tanto parlarono il peronismo e l’economia dello sviluppo, no? Con loro abbiamo mai avuto una redistribuzione della ricchezza?» (Algunas ideas para el debate sobre la autogestión obrera, la autonomía social y la emancipación, Relazione finale del convegno promosso dal MNFRT e altre organizzazioni, 2005)
L’elaborazione di un nuovo sistema di valori culturali comuni che vanno dal rifiuto del capitalismo e dei capitalisti, alla solidarietà operaia, alla trasformazione del lavoratore salariato in socio della cooperativa e «insieme ai suoi compagni, artefice del proprio destino» (Luis Caro, 2005), stentano ancora oggi a organizzarsi in una ideologia organica. Non stiamo assistendo ad un remake della coscienza di classe operaia stile europeo-novecentesco, quanto alla nascita di una nuova coscienza di classe, della classe lavoratrice intesa in senso lato, dotata di una nuova cultura che non comprende più nel proprio mondo l’esistenza della figura della proprietà distinta dal lavoro.
La struttura organizzativa e la cultura produttiva nascono e si sviluppano a partire dalla proprietà collettiva del mezzo di produzione da parte dei soli
lavoratori, che rappresenta la struttura economica imprescindibile sulla quale si basano tutte le nuove cooperative argentine. La conseguenza economica principale di questa struttura produttiva è il ribaltamento del conflitto Capitale/Lavoro, con il lavoro che diventa la variabile indipendente del modello, unico fattore produttivo da remunerare. I lavoratori argentini dimostrano praticamente che si può fare a meno degli imprenditori e
che il mondo che viene fuori è molto migliore di quello che si lasciano alle spalle: nessuna teoria economica può smentire l’evidenza della realtà.
Più crescita economica, più democrazia, più posti di lavoro, più uguaglianza economica, sociale, politica sono fatti certificati da tutti gli istituti di ricerca economica internazionali. È addirittura recente la notizia che l’aumento del consumo di energia elettrica ha creato alcuni problemi di approvvigionamento perché la rete e le centrali non hanno mai sopportato una richiesta così elevata: nemmeno due anni fa, nell’argentina liberista, i figli dei lavoratori dovevano studiare al lume di candela.
L’altro elemento sociologico di estrema importanza è che la struttura produttiva delle nuove cooperative è in grado di operare una trasformazione culturale nei lavoratori che vi si trovano inseriti: lavoratori inizialmente peronisti e non socialisti si sono trovati a sostenere un modello etico di fatto socialista (Rebón, 2005).
In questo caso quindi, a differenza delle cooperative tradizionali, non è la conformazione sociologica di partenza a permettere l’esistenza delle stesse e a impedirne la deriva imprenditoriale, ma l’esatto contrario: l’esistenza delle cooperative forma una cultura etica nuova, contraria al capitalismo liberista, pur partendo inizialmente da un contesto sociale sfavorevole. Il carattere “trasformatore” delle cooperative è senz’altro l’aspetto più interessante da un punto di vista scientifico su cui abbiamo ancora poche informazioni trovandoci all’inizio del fenomeno, che è stato sommariamente indagato da Julián Rebón nell’inchiesta sociologica “Trabajando sin Patrón. Las empresas recuperadas y la producción”, realizzata nel settembre del 2005.
Dall’indagine di Rebón risulta infatti che solo il 36% dei lavoratori ritiene giusta una certa differenziazione nei salari tra le diverse categorie, mentre il 49% ritiene che i salari debbano essere tutti uguali indipendentemente da orario di lavoro e dalla categoria, mentre un 15% pensa a differenziazioni in base alle ore di lavoro o in base alla massima «a ognuno secondo le proprie necessità, da ognuno secondo le proprie capacità» ricavando senza saperlo una vecchia massima marxista.
Una problematica tutta nuova derivante dalla struttura di queste cooperative è introdotta dall’assunzione di nuovi lavoratori. Poiché il mezzo di produzione è proprietà collettiva dei soci-lavoratori riuniti in cooperativa si pone il problema delle modalità di assunzione di nuovi lavoratori che non hanno partecipato ai momenti iniziali della lotta.
Molti lavoratori considerano infatti il “lavoro recuperato” come un bene da passare ai propri figli, inoltre l’identità e la cultura si sono sviluppati all’interno di questi collettivi attraverso la lotta comune che ha visto un momento iniziale di enorme difficoltà, in cui i lavoratori hanno rinunciato anche al proprio salario pur di costruire la cooperativa.
Si profila il rischio di una differenziazione tra i soci iniziali e i nuovi arrivati che non sono considerati “degni” di entrare nella cooperativa come soci e quindi come parte integrante della struttura sopra descritta, attraverso un processo di sociocentrismo (Rebón, 2005).
Le soluzioni escogitate risultano come sempre differenti e ancora in via di definizione. Tutte hanno come obiettivo, tuttavia, l’integrazione del nuovo lavoratore nella cooperativa come socio. I modelli sono sostanzialmente due. Il primo modello prevede un periodo iniziale (da 3 a 6 mesi) in cui il lavoratore viene assunto dalla cooperativa con un contratto di lavoro dipendente (quindi senza l’ingresso nell’assemblea dei soci) e con un salario inferiore a quello normalmente riconosciuto al socio. Al termine di questo periodo il lavoratore guadagna il diritto di entrare nella cooperativa come socio, anche se può optare per rimanere ancora lavoratore dipendente.
Questo modello interpreta il periodo di “salariato” come strumento per il lavoratore di guadagnarsi il diritto ad entrare nella proprietà collettiva della cooperativa. Una volta entrato nella cooperativa come socio, il lavoratore diventa esattamente uguale agli altri, sia in termini di reddito che di responsabilità.
L’altro modello prevede il mantenimento di una percentuale dei voti dell’assemblea dei soci in mano ai soci iniziali e un’altra accessibile ai nuovi che vengono integrati con questo status immediatamente nella cooperativa. Di solito la percentuale riservata ai soci iniziali è di circa il 75% ell’assemblea. Le motivazioni che spingono ad adottare questo modello sono le paura dei soci iniziali che si smarrisca il carattere iniziale della cooperativa con l’ingresso di nuovi lavoratori.
La situazione è ancora in evoluzione e i due modelli non sono nemmeno distinti e delineati, anche perché un’ingrandimento considerevole di queste cooperative è cominciato da solo tre anni.

3. Statalizzazione senza indennizzo: il modello “Bajo control obrero”
Fasinpat è l’abbreviazione di Fábrica sin Patrones, ed è il nome che i lavoratori della fabbrica ceramista Zanón hanno dato alla propria cooperativa. Il collettivo della Zanón è il punto di riferimento di quel movimento di imprese recuperate che hanno aderito al modello bajo control obrero, perseguendo la nazionalizzazione sotto gestione operaia, e allontanandosi sia dal MNFRT che dal MNER. Non esistono statistiche affidabili sul numero di fabbriche i cui collettivi appoggino il modello bajo control obrero, perchè non esiste una organizzazione che raggruppi queste imprese recuperate.
La Zanón stessa ha dovuto dotarsi delle forma giuridica cooperativista per
motivi di pura convenienza, al fine di utilizzare l’innovazione normativa ottenuta dal MNFRT e dal MNER e impedire lo sgombero forzato da parte della polizia.
Secondo i lavoratori della Zanón la cooperativa non è la soluzione definitiva al problema e hanno elaborato il concetto di “espropriazione nazionale” come punto d’arrivo finale della propria lotta. L’espropriazione nazionale che intendono i lavoratori della Zanón è però ben diversa da quella sostenuta nella “Legge di Espropriazione Nazionale” portata avanti dal MNFRT e dal MNER. Il modello bajo control obrero rifiuta la proprietà collettiva dei lavoratori e propende direttamente per la proprietà collettiva comunitaria nazionale. Il mezzo di produzione non è quindi proprietà privata dei lavoratori che vi lavorano, ma è di tutto il popolo, “Zanón es del Pueblo” è il motto degli operai della fabbrica. La statalizzazione sotto controllo operaio è difesa,
oltre che dalle fabbriche bajo control obrero, da diversi partiti di sinistra tra cui il Partido de Trabajadores por el Socialismo (PTS), il Movimento Socialista de los Trabajadores (MST) e la Union Socialista de los Trabajadores. Essi criticano la soluzione cooperativistica e la proprietà collettiva dei lavoratori per due ragioni principali.
1) Sostengono che questa forma di proprietà è in definitiva una forma
specifica di proprietà privata camuffata e inserita in un sistema di mercato che ne modificherà senz’altro le strutture a lungo andare. Pertanto, non potrà sfuggire alla logica capitalista e finirà per consolidare l’attuale sistema economico-sociale.
2) Le cooperative non saranno in grado di affrontare la concorrenza
capitalista globale giocando secondo le regole del mercato.
Il modello bajo control obrero prevede invece l’espropriazione popolare e la
statalizzazione sotto controllo operaio delle imprese occupate, senza indennizzo per il capitale e rinnegando i debiti dell’ex-padrone. Lo Stato (anche periferico), come organizzazione democratica generale della comunità, deve provvedere agli investimenti tecnologici, a tutto quanto occorra per il funzionamento dell’impresa e ad indirizzare la
produzione verso i bisogni sociali. Gli operai della fabbrica gestiscono l’unità
produttiva in senso democratico per conto della proprietà comunitaria (che appartiene all’intero popolo-comunità) del mezzo di produzione.
Una posizione ancora diversa da rilevare è quella del P.O. (Partido Obrero) che prevede la nazionalizzazione senza indennizzo e il controllo operaio, ma senza statalizzazione. La nazionalizzazione dovrebbe avvenire attraverso la creazione di una organizzazione comunitaria alternativa allo Stato, che dovrebbe fungere da centrale organizzativa dei lavoratori delle imprese autogestite, sul modello delle Asambleas Populares.
Ci troviamo quindi di fronte alla scissione tra il modello dell’autogestione e
quello del cooperativismo, tra la proprietà e il controllo dell’unità produttiva.
La gestione della fabbrica vagheggiata dal modello bajo control obrero somiglia molto al modello consiliare proposto dai movimenti rivoluzionari del secolo scorso, soprattutto marxisti. L’organizzazione interna della fabbrica è molto simile al MNFRT, con una direzione assembleare, stipendi uguali per tutti, turnazione dei ruoli amministrativi.
L’evoluzione delle fabbriche bajo control obrero risulta però profondamente
differente sia dal punto di vista dell’orientamento politico che dal punto di vista della coscienza sociale, a causa della fondamentale divisione nella struttura produttiva tra proprietà e gestione del mezzo di produzione. Dichiarandosi “al servizio della comunità” la fabbrica Zanón ha effettuato numerose donazioni alla cittadinanza di Nequén, tra cui la più straordinaria ha portato alla costruzione di un moderno centro medico nell’umile quartiere di Nueva España, limitrofo agli stabilimenti; la campagna
di donazioni ha rafforzato il carattere solidaristico tra fabbrica e comunità locale, la quale da una parte ha sostenuto la lotta dei lavoratori autogestiti, dall’altra ha goduto del loro incondizionato appoggio in tutte le iniziative sociali. L’affinità con i partiti della sinistra socialista argentina ha portato la Zanón a radicalizzare lo scontro politico con il governo a tutti i livelli, ma questo ha anche permesso una straordinaria evoluzione culturale e identitaria del collettivo che oggi, senza dubbio, rappresenta il più avanzato
dal punto di vista sociale. Il collettivo della Zanón mette continuamente in discussone tutta una serie di sovrastrutture sociali in modo esplicito, cosa che nelle cooperative del MNER e del MNFRT avviene solo implicitamente.
«Lo scontro politico è soprattutto con il governo provinciale e il suo braccio
operativo: la polizia. In passato ed ancora oggi gli operai e le loro famiglie sono stati vittima di persecuzioni, portate avanti con minacce di morte e pestaggi. La risposta dei lavoratori è sempre stata decisa. Durante la mia permanenza, in seguito all’aggressione della polizia locale ai danni di due operai, la produzione è stata prontamente fermata e gli operai si sono riversati in massa nelle strade di Nequén. Hanno così improvvisato
una marcia che li ha portati, insieme a cittadini di ogni provenienza, tra cui Lolín e Inés, rappresentanti dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo di Nequén, dalla casa del Governatore provinciale alla sede del terzo Commissariato di polizia, protagonista,in quella come in altre occasioni, delle vessazioni nei confronti dei ceramisti». (Una fabbrica senza padroni, Ilaria Leccardi, 2006).
La produzione dei beni passa esplicitamente in secondo piano rispetto ad altri
bisogni sociali, quali la vivibilità e la democrazia: il mezzo di produzione serve
principalmente per mantenere in vita il lavoratore piuttosto che per produrre beni da inserire nel mercato. Nonostante questo il bene in sé non perde di valore ma lo acquista dal punto di vista del soddisfacimento di un benessere sociale, più che nella determinazione del prezzo di mercato (Zanón bajo control obrero, documentario, 2004).
Il lavoro smette di essere solo sforzo produttivo e diventa esplicitamente mezzo di affermazione e lotta politica. È significativo anche il rinnovo delle linee produttive delle ceramiche, per il quale sono stati scelti nomi “politici”, come Obrero, o Hebe (dal nome della presidentessa dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, Hebe De Bonafini), Kalfukurá (dal nome della comunità mapuche che fornisce l’argilla alla fabbrica).
La tipologia strutturale della fabbrica bajo control obrero permette tra l’altro di
superare le problematiche derivanti dall’assunzione di nuovi lavoratori. Laddove risulta problematico l’inserimento dei nuovi lavoratori nell’assemblea dei soci-lavoratori delle cooperative a proprietà collettiva dei lavoratori, sia nel
MNFRT che nel MNER, a causa appunto dell’ingresso nella proprietà collettiva, questo non può accadere nelle fabbriche bajo control obrero semplicemente perché non esiste alcuna proprietà collettiva dei lavoratori. In una ottica di proprietà collettiva comunitaria, il disoccupato di Nequén è proprietario della Zanón tanto quanto il lavoratore. La maggior parte dei nuovi assunti nella Zanón provengono infatti dalle fila dei disoccupati organizzati che, come tutta la comunità, hanno sempre difeso i ceramisti della Zanón dagli attacchi del governo provinciale. Il comportamento del collettivo della Zanón si differenzia nettamente in questo modo dalle cooperative del MNFRT e del MNER, come si può osservare dall’indagine del Rebón.
Il sociocentrismo, come creazione di una “casta dei primi soci” della cooperativa sembra essere un rischio che grava sullo sviluppo delle nuove cooperative argentine con la struttura della proprietà collettiva dei lavoratori.
Il punto di forza dei collettivi bajo control obrero, sia dal punto vista pratico che ideale, è l’appoggio sociale della comunità con la quale sono collegati come con “un supporto vitale”, ma questo è anche il loro punto debole.
Come le cooperative tradizionali, anche se certamente su un piano estremamente differente, le imprese recuperate bajo control obrero risentono direttamente della conformazione sociologica preesistente e quindi dei suoi mutamenti. Se la società dovesse subire una trasformazione esogena sotto la pressione della globalizzazione, le imprese bajo control obrero potrebbero essere marginalizzate socialmente ed economicamente o potrebbero scomparire così come sono scomparse le comuni europee
degli anni ’60-’70.
Un’altra possibilità potrebbe prevedere una lenta contaminazione tra tutti i modelli neocooperativistici che abbiamo analizzato finora, possibilità in fondo realistica, dato l’elevato senso di solidarietà che accomuna tutto il movimento cooperativistico argentino inteso in senso lato.
Orientamento dei lavoratori sulle categorie da
privilegiare per nuove assunzioni
0 10 20 30 40
Familiari dei soci
Ex-lavoratori dell'impresa
Disoccupati in generale
Per metodo meritocratico
Disoccupati che hanno
appoggiato la lotta
Percentuale
Buenos Aires
Zanón

4. Differenze e punti in comune principali tra le tre posizioni del
neocooperativismo

TABELLA RIASSUNTIVA
MNER
Struttura
Orizzontale

MNFRT
Orizzontale

Bajo control obrero
Orizzontale

Criterio salariale

MNER
Differente per
categoria

DMNER
Uguale per categoria

Bajo control obrero
Uguale per categoria

Dirigenza
MNR
Eletta, revocabile e
rinnovabile

DMNER
Eletta, revocabile e
a turnazione

Bajo control obrero Eletta, revocabile e a turnazione


Controllo sulla
Dirigenza
MNR
Orizzontale

DMNER
Orizzontale
Bajo control obrero
Orizzontale

Processo
decisionale
MNR
Democratico-Assembleare

DMNER
Democratico-Assembleare

Bajo control obrero
Democratico-Assembleare

Ruoli
MNR
Fissi
DMNER
Interscambiabili
Bajo control obrero
Interscambiabili

Proprietà
MNR
Collettiva dei soci

DMNER
Collettiva dei soci

Bajo control obrero
Comunitaria

Variabile
economica
dipendente
MNR
Capitale
DMNER
Capitale
Bajo control obrero
Capitale

Variabile
economica
indipendente
MNR
Lavoro
DMNER
Lavoro
Bajo control obrero
Lavoro

Intensità
Relazionale con la
comunità

MNR
Alta
DMNER
Bassa
Bajo control obrero
Altissima

Nuove assunzioni
Meccanismi di
distinzione tra soci
vecchi e nuovi
lavoratori

MNR
Meccanismi di
distinzione tra soci
vecchi e nuovi
lavoratori

DMNER Nessuna distinzione
vecchi e nuovi
lavoratori

Bajo control obrero
Nessuna distinzione
tra vecchi e nuovi
lavoratori


Conformazione del
movimento
MNR
Disomogenea
DMNER
Omogenea
Bajo control obrero Nessuna organizzazione
strutturata
Rapporto con la
politica

MNER
tradizionale
Impegno politico
autonomo al fianco
dei movimenti
anticapitalisti

MNFRT
Diffidenza, utilizzo
pragmatico per il
raggiungimento
degli scopi

Bajo control obrero Simbiosi con i partiti della sinistra socialista

Bibliografia:
- Potere e contropotere. Protesta sociale e forme di potere alternativo (1990-
2004); Guillermo Almeyra; Datanews; 2004
- Cooperativas de trabajo y empresas recuperadas, María del Pilar Orgaz;
IFICOTRA Córdoba; 2005
- Como los Trabajadores recuperan puestos de trabajo; Luis Alberto Caro;
www.fabricasrecuperadas.org; 2003
- Una nueva cultura productiva; Luis Alberto Caro;
www.fabricasrecuperadas.org; 2004
- Cómo es la Organización Interna de cada Fábrica? El caso de las fábricas
recuperadas por los trabajadores; Javier Ona; www.fabricasrecuperadas.org; 2003
- La Expropiación de plantas fabriles es una salida viable; Luis Caro;
www.fabricasrecuperadas.org; 2006
- Viabilidad Económica en Fábricas Recuperadas. Trabajo de campo sobre
fábricas recuperadas; Nicolás Klimberg; www.fabricasrecuperadas.org; 2005
- Nuovo movimento operaio e l’occupazione delle fabbriche in Argentina;
Pablo Ghigliani; www.proteo.rdcub.it; 2003
- Propuesta para refundar la Nación; AA.VV; IMFC; 2005
- Marchando sin patrón; Agencia Lavaca; 2005
- Una fabbrica senza padroni; Ilaria Leccardi; Latinoamerica; 2006
- Empresas Recuperadas; Julián Rebón, Ignacio Saavedra; Capital Intelectual, 2005
- Trabajando sin patrón. Las empresas recuperadas y la producción,
Universidad de Buenos Aires, 2005
- Algunas ideas para el debate sobre la autogestión obrera, la autonomía social y la emancipación; Mauricio Castaldo; MNFRT; 2005
- Un’altra fabbrica è possibile; intervista a José Abelli, il manifesto; 2007
Documentari
- The Take; Avi Lewis, Naomi Klein; 2004
- Zanón bajo control obrero; collettivo lavoratori della Zanón;2006
- F.A.C.T.A.; MNER; 2007
- B.A.U.E.N. en difenda de la autogestión obrera; Collettivo dei lavoratori della B.A.U.E.N.; 2007
- El Diario Cooperariva; Collettivo dei lavoratori del Diario Cooperativa; 2005
Siti d’interesse
- www.fabricasrecuperadas.org
- www.obrerosdezanon.org
- www. anter.org. ar
- www. revolutionvideo.org
- www. rebon.com.ar
- www.uba.ar
- www.sitiocooperativo.com.ar
- www.proteo.rdcub.it
- www.inaes.gov.ar
- www.lavaca.org

Socio fondatore del Gruppo di Volpedo e del Network per il socialismo europeo .